Pasqua

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Sotto il cielo di Gerusalemme sogna innocenti messi a morte.

Claudia Procula, da onesta romana, chicco del granaio dell'Impero, non si scandalizza ai sacrifici, alle libagioni grumose e sanguinolente grementi gli altari inghirlandati. Il giorno stesso del suo matrimonio una pecora ha smesso di respirare, un solco gocciolante e purpureo scavato nel vello lanoso, la bestiola che si contorceva, bloccata dalle corde, belante della paura, dal coltello riflesso nei suoi tondi occhi sporgenti.

È la normalità. Dei affamati di offerte e mortali che li placano, le are elette a gogne. Pecore, vacche al macello. Perfino cavalli, in occasione dell'October Equues.

La vista del sangue non le hai mai suscitato sgomento.

Tranne ora, nella Gerusalemme focosa di ideali nuovi e rancori antichi. Tranne ora, nella frescura marmorea dei suoi appartamenti di moglie del prefetto.

Un agnello immacolato, un candore accecante, il manto che s'arriccia morbido come una nuvola. Sta in cima a un altare e non solleva un lamento, un belato, non si scompone in spasmodici, dimenanti brividi all'accanirsi furioso della lama su di lui. Claudia non vede il celebrante assassino in volto. Sa solo che abbassa il pugnale, lo rialza, lo riabbassa con una violenza inaudita, rabbiosa. Si sfoga sul povero, inerme agnello come se costui fosse reo di ogni sorta di sordida empietà.

Non con l'accurata dissezione degli aruspici romani, non un taglio lesto e le sofferenze sono terminate. No. L'agnello deve soffrire.

Ogni colpo è un'altra lama invisibile conficcata dentro Claudia. È innocente, lo sente dentro, lui non ha colpa, l'agnello non ha colpa! Si tratta solo di un animale, cos'ha da disperarsi tanto? Da piangere, una fitta colata di sale e rigagnoli di muco e gemiti rochi, sgorgati dalle profondità della gola?

È solo un agnello.

Il suo sangue insozza l'altare, s'insinua nelle scanalature, scende nei rilievi, infuocandoli d'un rosso lugubre. Scende, sembra deciso a penetrare nel marmo, a venirne assorbito, una spugna compatta e rettangolare. È tanto, copioso, zampilla dall'animale oltraggiato e non si estingue.

Sfiora, alla base dell'altare, il corpo abbandonato mollemente, scomposto e privo di colore, di un uomo.

Buono come l'agnello, coglie Claudia.

Senza macchia come l'agnello.

Il baldacchino d'impalpabile lino è il bersaglio su cui si piantano i suoi occhi sbarrati, sveglia di colpo. Claudia ci impiega un attimo a rievocare il luogo che la ospita, il letto ampio e vuoto, l'aroma speziato e pungente trasudante in ogni vicolo di questa fiera, religiosa città.

Gerusalemme, dai giorni cocenti e notti umide.

Città in cui suo marito esercita la funzione di prefetto su assegnazione imperiale, posto da Tiberio Cesare Augusto in persona. Suo marito. Ponzio Pilato. L'uomo buono è legato forse a lui? Suo marito è in pericolo? Controsenso: nell'incubo era l'uomo innocente, lindo d'animo come l'agnellino, a essere vessato dai soprusi, pugnalato ripetutamente, un Divo Cesare ovino.

Ma allora... se non ha a che vedere con lui... cosa può... chi? Chi era l'uomo nel suo incubo? L'ha già visto, sì era un viso familiare... ma dove? Dove?

Allenta la tensione immobile delle membra sospirando, la calma ristabilita, fissando l'etereo apparato del baldacchino in lino drappeggiato intorno al suo letto.

Sussurra di vento, stesso per i tendaggi. Sono bianchi. L'agnello risaltava d'uno splendente biancore, nemmeno avvicinabile alla tonalità all'improvviso fioca e grezza delle sue tende.

Bianco schizzato di sangue...

Claudia si depone una mano sul ventre piatto, bara di eredi affogati nel suo di sangue. Una sfilza luttuosa di figli e figlie espulsi in profluvi viscidi e rossi. Una volta sola ha partorito una bambina apparentemente intera. Ma, meno il volgere di un giorno in una notte, e il suo cuoricino non aveva resistito.

Meme dall'antica Roma con furoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora