Augusto & Giulia - for you

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Ripetete dopo di me: Augusto deve riposare🌝

Scrivo fluff perché ne ho voglia? Yesss. Su un padre e una figlia che amo? Yesss






«Papà?»

«Mmh...?» E una trafila di mugugni insensati.

Giulia sospira, strizzandosi la radice del naso. Santi numi benedetti abbiate misericordia dei miei nervi. Una figlia dovrebbe badare al padre no? C'è un limite a tutto! Possibile, Giunone Regina, che la responsabilità debba cadere su di lei in casi del genere?

Certo! La consorte del qui presente rimbambito imperatore crollato sul lavoro e lavorante fino a tarda notte - e non è la prima volta, sia bene inteso - se ne sbatte altamente e minimizza la cosa!

«Ma non ti preoccupa l'eccessivo zelo di mio padre?» ha posto poco fa, giusto giusto cinque minuti, a una Livia Drusilla tranquillamente assorbita nella sua colazione come se da lì a poche svolte di labirintico corridoio suo marito non stesse russando tra editti, corrispondenze, tavolette di cera oramai bellamente solidificata e con tutta probabilità una cena saltata. «È ammirevole che voglio rinnovare Roma dopo i tempi oscuri delle guerre, ma non a spese della sua salute!»

Una salute costantemente in bilico, uno spiffero d'aria e una deliziosa permanenza a letto è assicurata, dalla durata variabile.

La sua matrigna si è accontentata di alzare le spallucce e servirsi dagli schiavi, una disinvoltura rilassata che l'ha irritata non poco. «L'ho sposato così, che ci vuoi fare? Non posso smontarlo e riassettarlo da capo. Mi faccio bastare il pacchetto incluso e non muovo lagnanze.»

Giulia nutre il seriamente fondato sospetto che quelle lagnanze celassero una sottile allusione a lei. L'occhiata tagliente di Livia era puntata su di lei nel pronunciarla.

Peccato che, a differenza sua, Giulia non è il tipo da mollare la spugna e farsi bastare il pacchetto incluso. Dopo aver bussato dapprima dolcemente, poi con maggior insistenza, ai portoni del tablinum di suo padre, e aver ricevuto in cambio un allarmante silenzio, non si è trattenuta.

Ha aperto, infuriando all'interno, lo strascico un nembo rosso sul punto di mandare fulmini e saette.

E qui siamo giunti. Suo padre, Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, princeps, imperatore, primo tra pari e una valanga esorbitante d'altri titoli conferiti di continuo, battuto dallo sfinimento sulla scrivania da lavoro, i capelli sparanti ovunque - non che ne sia in generale pretenzioso sulla cura - e un nastro di saliva alimentante una piccola pozza.

Giulia non si sente di rimproverarlo: per quanto riguarda il dormire disparato tutti asseriscono che abbia preso dal genitore. A volte si domanda se, invece di partorire normalmente, Scribonia non si sia munita della creta e non abbia riprodotto il clone in versione femminile di suo padre.

Nah, irrealistico: gli avrebbe realizzato un maschio. Sono convenienti i maschi.

Lo strappa al sonno impiastrato scuotendolo, occhi arrossati si schiudono, emergendo dalla foschia.

«Giulia...?»

«Buongiorno papà caro.» lo saluta caustica. «Il sole splende, Roma pullula di vita e tu hai passato un'altra edificante notte a massacrarti di lavoro vedo.»

Augusto si stropiccia gli occhi, impastati di sonnolenza. Col senno di poi, si rinfaccerà Giulia più tardi, le dita sfreganti le narici avrebbero dovuto metterla in guardia.

«Lo sai...» Tasta a casaccio, ancora intontito, scansando torri di documenti e rotoli di papiro, ricercante il sottile diadema d'alloro. Un'anticaglia dei tempi di Cesare, da quanto ne sa. Se la sarà levata perché da impedimento nella concentrazione. «... che detesto sperperare il mio tempo a girarmi e rigirarmi nel letto quando non riesco a dormire. Tenermi occupato è utile, davvero. Vado avanti con queste scartoffie e aiuto Roma nel frattempo...» Pesca la coroncina sepolta da un mucchio di fogli, rimettendosela storta, non prestando cura all'apparenza, lui che dell'apparenza pubblica ne ha istituito una propaganda. «Non mi stanca...»

Meme dall'antica Roma con furoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora