Iullo & Giulia - Venus and Mars

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Al camminare apparve veramente dea
(Virgilio - Eneide, libro primo)

Iullo si meraviglia che sia veramente qui. Una minuscola e irrazionale parte di lui gli sussurra che sta vivendo un sogno.

Ma in un sogno Giulia picchierebbe mai con violenza e disperazione alla sua porta, il fascino aureo della divinità sconvolto da un pianto ininterrotto? Si sfogherebbe con lui, complice l'assenza di Marcella, in un uragano d'emozioni, confidandogli una nuova, degradante, contestata mossa di suo padre al tavolo dei matrimoni?

Se si trattasse davvero di un sogno, e non della realtà colorita e triste e dolorosa, consolerebbe mai Giulia sopraffacendola di carezze, scaldandola nel serraglio lussurioso e soffice delle sue carni, trasgredendo leggi e dettami, oltraggiando il buon costume e la decenza, tra le coltri sgualcite d'un vecchio triclinio?

I sogni sono abitati dai piaceri più reconditi e profondi, perciò sì.

Iullo sta assaporando un sogno ad occhi aperti.

Assapora il sogno e assapora lei, glorificandola in un'ode di ansimi e rantoli, spinte e liberazioni, scrivendo sulla perfezione delle sue membra poesie e versi di carne e saliva e respiro. Giulia provoca. Giulia seduce. Spogliata del pudore, se nella sua indole ribelle ne ha mai posseduto un briciolo, un grammo, un infinitesimo di granello del pudore esaltato dalla propaganda paterna. Svestita delle ricche apparenze, delle maschere, del ruolo di vedova compassata e silenziosa di Agrippa.

Si appartengono. È sua. Sopra quelle lenzuola sfatte, tra i cuscini disseminanti la scena dell'adulterio. È sua da sempre. Dall'infanzia protetta e scanzonata appiccicati alle sottane di Ottavia.

Da quando il sole ha cominciato l'inseguimento eterno della luna in cielo.

«Dovrò sposare Tiberio.» smozzica sonnolenta, l'oro della chioma che cosparge i cuscini come un fiume in piena. È prezioso e liquefatto, sostanza divina. Un nettore che stordisce, come l'ambrosia. Giulia è la sua ambrosia. «Lui vuole così.»

Lui. Marco Antonio è un nome sconosciuto alle pareti del Palazzo e Augusto è un nome sconosciuto alle pareti della sua domus. Lui, il padre al quale è sia devota che serva, sia gemma inestimabile che strumento. Responsabile della fine meschina e abbietta del valoroso braccio destro di Cesare.

Iullo le imprime un bacio, lucchetto alla sua parola. Le braccia di Giulia l'attraggono alla suo corpo magnetico, la marea sedotta del richiamo abbagliante della luna.

«Non pensarci ora.»

Che godino e anneghino nell'oblio, nei fumi della passione.

Giulia si schiude sotto di lui, morbida, carne prelibata, di serie imperiale. Ammorbidita dagli oli profumati, dalle creme. Linee le attraversano il ventre rigonfio cinque volte del seme di Agrippa. Si chiede se riuscirà a sostenere di vederla ripiena della genia spregiudicata di Tiberio.

Quando ha cominciato ad amarla? Se non è la spada con cui trafiggere Augusto è diventata l'arma che gli infligge un piacere morboso, intenso. Iullo non la smette di ferirsi il cuore, la spada chiamata Giulia, lo spirito che s'è impadronito della sua volontà, comandando il suo animo, l'intrepido Cupido.

Tradirà, lo sa. Tramando di uccidere Augusto commette tradimento. Amando la sua inestimabile figlia si macchia di tradimento. Verso la patria e verso la paziente e remissiva Marcella.

Ma non può opporsi alla forza travolgente del sentimento, dell'amore.

«Vorrei non essere figlia di un imperatore.» si apre Giulia tra un bacio e l'altro. Si stende di lato, contenuta nel suo abbraccio, scrutante nelle tenebre ricamate d'argento lunare. «Mi piacerebbe essere nata da un pastore. Potrei esplorare l'Arcadia, cantare ritornelli campestri, danzare in compagnia delle ninfe.»

L'Arcadia non esiste. È un'illusione, una chimera che inseguono gli amanti per rivestire d'un senso il marciume del mondo. Se la bruttezza lo affligge, a compensare ci sarà sicuramente, nascosto tra le montagne boscose, un ritiro incontaminato.

Gli rosica il tarlo, molto spesso, che suo padre e la regina d'Egitto abbiano alleggerito con questo trasognante pensiero i loro ultimi giorni.

Liberi nell'Arcadia. Utopia.

«Io un pescatore.» replica Iullo e inala la sua essenza. Così fragile e volitiva, così bambina e al contempo adulta. Così Giulia.

«Ti piace il mare?»

Si scambiano un bacio, l'ennesimo. Raffronto di lingue e fiati, parole taciute.

«Mi intriga, indomito e ingovernabile. È la culla di Venere.»

Un lampo di interesse balena negli occhi azzurri di lei e, in un mugolio impregnato di candore infantile, d'innocenza, d'una purezza mai estinta, Giulia afferma: «Io sono Venere.»

È il tono di una bimba che impersona un personaggio importante, facendo finta d'impugnare un'autorità che, in quanto donna, impugna solo sullo scranno del parto.

Iullo concorda. È Venere in tutti i sensi. Vanitosa e capricciosa, esigente, promiscua, appetibile, bellissima da lasciare a bocca asciutta. Infiammata dall'ardore della sua matriarca, dalla sua inappagabile fame d'impulsi. Sposata a un Vulcano ingrigito e avanti con gli anni, curvo a forgiare un Impero dai rottami delle guerre e fabbricare sbalorditive invenzioni architettoniche. Ferma e costante nell'adempiere alle sue mansioni di moglie e madre e, solo consumato il fuoco di Vulcano, planante tra le braccia vigorose e possenti del suo Marte.

Crudele Marte. Il titolo del Carmen Arvale. Marte reincarnato. Suo padre l'apprezzava sulla sua persona. Marco, consacrato a Marte.

Finiranno intrappolati nella rete dorata del loro tradimento? Schiacciati dal suo peso e svelati al pubblico?

«Sta per avvicinarsi un temporale.» osserva Giulia dall'oculo dell'atrio, nuvole scure che s'ammassano all'orizzonte. Si stropiccia il sonno dalle palpebre e s'avventura nel buio alla ricerca dei suoi abiti. «Dovrò andare da lui.»

«Ha una moglie.» Così come dei nipoti bambini, i bisognosi di lei sono parecchi.

Lui conta?

«Non riesce a tranquillizzarlo quanto me.» Gli suona quasi fiera. Il calmante alle fobie insulse dell'uomo più potente del mondo che s'infila la tunica e sistema i capelli davanti a lui.

Si sta affibbiando il mantello, la luna l'illumina in una pozza lattescente.

«Dispone di schiavi a volontà.» borbotta Iullo, occupando il lato che lei ha disertato, ma ancora permeato del suo calore. «Sono incapaci di placare le paure del loro padrone?»

«Lascia perdere.»

Iullo la ferma per il polso mentre si sta rialzando dal pavimento, una collana ritrovata nel disordine.

«Non sei obbligata ad amare Tiberio. A ubbidire a lui.»

Un lui che non è riferito al primogenito di Livia.

«È il dovere che sono chiamata a compiere.» deglutisce Giulia con amarezza. «Il mio servizio all'Urbe.»

«L'hai servita anche troppo.»

Il suo bel viso si distorce in un pianto trattenuto. «Lo so...»

Il bacio d'addio è salato, luccicante di lacrime. Iullo la sente uscire, l'uscio accostarsi, un fruscio di mantello. Resta sdraiato in mezzo al baillame, tuniche e coperte, fissando il soffitto.

Si amano e forse, sicuramente, stanno commettendo un errore madornale, definente le loro vite. Sancente una condanna. Danzano su una piastra di vetro che potrebbe infrangersi da un momento all'altro, infilzandoli con le sue schegge. Il loro amore è impastato di cera come le ali di Icaro, stanno volando troppo vicini al sole.

Brucerà la sottile ossatura, squaglierà le loro ali. Precipiteranno in mare.

Condannati.

Ma prima di allora, oh, prima di allora si beeranno della visione celestiale, dell'ebbrezza del volo, della trasgressione. Nessuno si sofferma mai sulla gioia incredibile sperimentata da Icaro nel volo.

Sono avventati. E allora? Il figlio di Marco Antonio e la figlia di Augusto innamorati.

Suona già impensabile così.

Meme dall'antica Roma con furoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora