Augusto & Giulia - forever love

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Mi è uscita di getto oggi. Giulia ed Augusto hanno un rapporto stupendo e nessuno riuscirà a convincermi del contrario.





Il princeps era in ritardo.

Alla seduta del Senato precisamente. Piena mattina, una teoria di burberi senatori spazientiti e di Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto nemmeno l'ombra. I vecchi brontolavano, lo scranno vuoto perno del concitato blaterare.

Dov'era l'imperatore? L'aveva forse braccato un'altra delle sue malattie, collezionate lungo gli anni? Se così fosse stato, un messo dal Palatino sarebbe corso a comunicare agli illustri Padri Coscritti la preoccupante notizia, ansimando di pregare per l'augustea salute.

No, serpeggiavano dubbi, circolavano tra i marmi policromi e le svettanti colonne.

Non era dal princeps ritardare senza giustificazioni.

Marco Vipsanio Agrippa e Gaio Clinio Mecenate, amici del suddetto, dovevano, secondo un astruso ragionamento degli insigni vecchi, sapere cosa diamine stesse accadendo o fosse accaduto. Come mai Augusto non si decideva ad arrivare? Era capitato qualcosa? Una disgrazia? Malanno debilitante? Non come Marcello, Giove onnipotente, il giovane era morto da poco!

Che non fosse salita alla rimonta nuovamente quella spregevole afflizione rea di avere strappato il promettente, brillante Marcello ai suoi cari?!

«Credi che staranno spettegolando ancora a questo giro?»

Agrippa sollevò lo sguardo dall'intarsio marmoreo della pavimentazione.

Lasciata una Curia ruggente di domande, ipotesi stravaganti e incitamenti a proseguire nonostante la mancanza del princeps, lui e Mecenate si erano sobbarcati l'onere di andare a scoprire la ragione del misterioso ritardo. Delegati da una banda di decrepiti all'imperial casa. Beh, ci stava. Da migliori amici e stretti collaboratori ci si aspettava che a loro, per lo meno, una risposta sarebbe stata fornita.

Mecenate percorreva in tondo il salone antecedente lo studiolo privato, la sua frivolezza effemminata culminante nella frenetico agitarsi del ventaglio. Si fermò, ancora poco e avrebbe scavato un solco da fare invidia all'aratro di Romolo in persona. Agrippa e il suo nervosismo gliene furono molto grati.

«Presumo.» Si massaggiò il collo indolenzito. Energumeni pretoriani vegliavano i battenti dell'ufficio. La mia Siracusa, amava definirla Ottaviano. «Dovrebbero esserci abituati oramai. Tutta Roma sa che basta un filo di vento a scombussolarlo!»

«Livia ci ha informato che stava lavorando...» mormorò pensieroso Mecenate, il ventaglio piegato tamburellato sulle labbra.

«Per i miei gusti ha lavorato anche troppo.»

Mecenate intuì il lampo di esasperazione nei suoi occhi. «Agrippa, non-»

Parole cadute nella voragine della sordità. I pretoriani aprirono la porta ad Agrippa e al suo passo rabbioso, rimbombante sulle pareti riccamente affrescate. Mecenate gli si lanciò dietro, tampinandolo.

E si fermarono, stralunati, perplessi.

Nel minuscolo, riparato ambiente soffocato da scaffali traboccanti pergamene, rotoli, documenti di ogni sorta e carteggi decennali, Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, princeps, console, imperatore, signore di Roma e del mondo in tutto meno che su decreto ufficiale, era crollato, addormentato sul lavoro. Sbuffi lenti di respiro congiunti a un leggero russare, un disordine abominevole di fogli e papiri accartocciati, stracciati, l'inchiostro disseccato sullo stilo.

Mecenate s'intenerì, emettendo un dolce versetto, simile a una ragazzina alla vista di cucciolo. «Adorabile no? La fatiga derivata dal potere...»

Agrippa pensava ad altro. Più nello specifico: non stavano contemplando il preambolo dell'insorgere di un ennesimo male vero?

Meme dall'antica Roma con furoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora