Avevo salvato questo piccolino da un po' e ho deciso di condividerlo. Perché no?🌝 Sì, è sempre l'episodio di malattia gravissimo con Augusto quasi rimandato al Creatore del 23 a.C🌝Ottavia è una santa e su questo concordiamo tutti
Roma, Colle Palatino - 731 AVC (23 a.C)
Ottavia si è, di rado, abbassata a rozze sceneggiate di rabbia, perdendo staffe, pazienza e tutti gli attributi che circonfondono la sua virtuosa, impeccabile rappresentazione di prima sorella dello stato.
Suo fratello sta facendo di tutto per tirargliene fuori.
È cominciata in nottata l'agonia di Augusto, un gonfiore addominale al costato, assalente il corpo in fitte atroci, conati di vomito ininterrotti, gemiti, rantoli. Spolpato delle forze, il suo fratellino si piega in due dal dolore, contorcendosi come un tarantolato tra le coperte sparate ovunque, scalciando. Cadaverico e secco, occhiaie marcate, la febbre che lo cuoce in un forno infernale.
Musa, povera anima sopportatrice, le sta provando tutte intorno all'imperiale letto, il suo illustrissimo paziente sempre assistito da Livia, lei o Giulia. Ha mandato uno schiavo ad avvisare Agrippa, Mecenate e gli altri. Ottaviano non ha mai brillato di una salute vigorosa, casomai l'esatto contrario. Ma una crisi di simili proporzioni non l'ha mai affrontata. Ora poi, che racchiude un Impero nei palmi delle sue mani, le nubi paurose minacciano di rovesciare un bufera su di loro se lui dovesse mancare.
«Vi ho detto che sto bene!» Fedele alla dichiarazione, suo fratello tenta una dimostrazione deludente, ammucchiando di lato le pesanti coperte e montando in piedi. Collassa al primo passo, dilaniato da una fitta.
«Gaio Ottavio Turino!» Ottavia si precipita a raccoglierlo da terra, la tunica da notte intrisa di sudore. «Sei un emerito cretino!»
«Sono un principe...» Sorride spiritato, scortato da Ottavia per l'avambraccio a letto. «Ho un dovere verso-» Si lancia al secchio portato da Musa più vicino, il rumore vischioso del rigurgito. Torbida melma incolore devasta il legno. Rialzandosi barcollante, Ottaviano si spazza dalla bocca uno scarabocchio superstite. «Verso... v-verso...»
«Verso la tua salute.» Lo riposiziona grazie a Musa, lei afferrante per le spalle, il medico greco per le caviglie. Ottavia raddrizza la testa ciondolante nel mare di cuscini. Rimpicciolito dalla malattia, ecco il ritratto del padrone di Roma.
Il fidato sapiente d'ellenici natali prende il posto della sorella, porgendo un calice colmo d'un intruglio dall'odore sgradevole al suo paziente.
«Princeps, assumetela, vi farà sentire meglio.»
L'azzurro sfocato - di vigore e lucidità - manda lampi di sospetto. «Cos'è?»
«Erbe calmanti.» spiega Musa, la barba candida che gli conferisce le sembianze di uno di quei dotti orientali. «Leniranno le vostre sofferenze.»
«Puzzano.»
Ottavia reprime la voglia di fargliene ingurgitare cacciandogliele giù per quella sua gola testarda. «Ti faranno bene.»
«Puzzano.» rimonta l'altro, la vocina da moccioso saccente.
Sua sorella, paciera di famiglia e propensa al dialogo, alla ragione e aborrente le liti, non è mai stata così vicina a tirargli una sberla. Ne va di lui! Di loro! Non ha mai versato sul ciglio della morte, in stato così critico e terribile! Roma non lo sa, non può ancora sapere delle condizioni disperate del suo signore.
«Princeps.» ritenta Musa, un approccio più conciliante. «Ti prego.»
«Ho detto di no! Puzzano!»
«Papà.» Giulia, leggiadra e corrucciata, si avventa a provare la febbre al suo irriducibile genitore. Lacrime s'avvistano sulle ciglia bionde. «Papà ti prego.» Imbuca la mano nella sua, l'unico tocco che Ottaviano non respinge. «Prendile per me se proprio non vuoi. Non voglio che tu, che...» Trema alla funesta eventualità. «Non voglio che tu mi lasci!»
Giulia possiede il trucco magico di sapere convincere il suo ostinato padre a qualsivoglia cosa si inculchi in testa. È la pupilla dei suoi occhi. E una brava attrice a esagerare la preoccupazione che, come chiunque nella stanza, l'attanaglia. Saprà ingannare e abbindolare uomini con maestria quando sarà più matura, esperta.
Un desiderio della sua principessa e Augusto l'accontenta.
«Io non morirò mia Piccola Roma.» Le tende una carezza sotto il mento, un sorrisetto lieto vela le labbra di Giulia. «Vivrò e guarderò i nipotini che tu e Marcello mi darete diventare grandi, pronti a succedermi.»
Giulia impallidisce al riferimento ai nipoti. Non hanno ancora allietato il talamo suo e del cugino. Ottavia non le mette fretta, lei per prima ha penato tanto prima di sorridere alla gioia d'un figlio.
«Certo papà.» Arretra d'un passo, nelle ombre. «Certo. Ora prendile, forza.»
Sostenuto da Ottavia, la pozione che gli cola sul mento, Ottaviano beve le medicine preparate, ricadendo satollo e sonnolento tra i cuscini.
«Sai Musa? Non erano così male...»
Allentata la tensione, un insieme di gaie risate, Livia s'introduce, alzando gli occhi al cielo e scuotendo il capo, recapitando un bacio sulla fronte bollente del marito.
«Ti piace comportati da bambino, eh amore mio?»
Augusto si fa da parte, liberandole uno spazio sul bordo. Uno sguardo mattacchione, da scolaretto discolo, si sofferma su ognuno dei presenti, viaggiando dalla moglie, alla sorella, la figlia e il medico.
«Beh mia cara, non c'è attore che non si prenda una pausa dalla sua recita!»
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Meme dall'antica Roma con furore
De TodoIl titolo parla da solo. Preparatevi al delirio.