Amo sti due? Sì e scrivo di loro e chissene🌝
Roma, Colle Palatino - 734 AVC (20 a.C)
Ottavia srotola il papiro, puntellandosi sul gomito, tra la morbidezza imbottita del triclinio, con innata compostezza.
Ha preferito ritirarsi dalla vita pubblica dopo la scomparsa del suo adorato Marcello. Ha altre figlie a cui pensare, mariti da proporre loro, unioni da combinare. Alessandro e Tolomeo presto debutteranno nella piena età adulta. Immergersi nel dolore e trasformare quel che le resta da vivere in un inno allo strazio stride con la mentalità che le è stata inculcata.
Riallzarsi. Sempre. Benché sua madre Azia fosse anch'essa un esempio di cordoglio nei momenti infausti, trovava comunque la forza di rimettersi in carreggiata. Prima i figli, la famiglia, dopo il pianto e i gemiti.
Sta intrattenendo la mente con il singolare, aulico componimento di quella giovane recluta del Circolo di Mecenate. Le sfugge il nome. Giusto! Ovidio! Ce ne vorrà di tempo perché si ponga allo stesso livello di Virgilio e i suoi versi commoventi dedicati a Marcello, ma Ottavia lo reputa indirizzato sulla buona strada.
Fiotti di luce penetrano dal pergolato, una volta fitta e intricata di rose nella distensione lussureggiante dei giardini di Palazzo. Deponendo il capo a contatto con i cuscini, i piedi inguainati nei sandali penzolanti con indolenza, Ottavia trasecola quando, nel suo mondo sottosopra, ravvede il suo fratellino.
«Ottaviano?»
L'allarma incontrarlo così... stravolto. Si è sempre curato poco dei suoi capelli, impegnato a fare e disfare altro mentre parrucchieri e barbieri svolgono il loro lavoro. Lo spettinato ammasso di garbugli biondi lo racconta. Il suo normale incarnato teme il sole, un pallore venato di rigagnoli azzurrognoli solcanti pelle e carne, ma lo spettrale spettacolo generale non prospetta nulla di piacevole. Orbite sepolte in crateri scuri, l'alloro dorato di Cesare calcato pendente in testa. Suo fratello emana sfinimento nella sua forma più autentica e indiscutubile.
Lui non pare notarlo. «Perché mi guardi storto? Mi è cresciuta una coda per caso?»
Quando si tratta del primo bimbo affidato alle sue cure Ottavia calpesta la reticenza a parlare. «Da quant'è che non dormi?»
Occhi rivolti al cielo, abbinati a uno sbuffo. «Sorella...»
«Esigo una risposta. Lo sterco d'elefante probabilmente ti batterebbe in salute.»
«Non che ci voglia tanto...» Si riappunta il laticlavius senatoriale, la toga rifinita da una banda porpora floscia come un cencio.
Ottavia denota quel particolare. «Non sarai mica andato in Senato conciato peggio di un barbone?»
«Ottavia-»
Un corno Ottavia! Fragile e prezioso, dalla nascita il suo fratellino è un gingillo di cristallo, lo si urta e finisce in frantumi. Si è prodigata per anni, standogli dietro, affinché ciò avvenga con meno frequenza possibile.
«Vieni qui.» Gli concede una vasta porzione di triclinio, liberandolo dai suoi veli. Batte colpetti, invitandolo. «Accanto a me.»
Sta provando il filo di resistenza di suo fratello. Lui scrolla le spalle, abbattuto.
«Ottavia-»
«Ottaviano.» Intrasigente, indurisce lo sguardo.
Vedendosi alle strette e non potendo contemplare altre ipotesi di evasione, il malcapitato esaudisce il suo pressante desiderio. Crolla, faccia nei cuscini, i sandali sfilacciati dalla sorella, buttati in disparte. Compiaciuta dalla pronta ubbidienza del suo pupillo, Ottavia passa le dita nel cespuglio inselvatichito dei suoi capelli, una carezza ripetuta e continua.
«Non ci riesco.» rompe la pace Augusto dopo secondi di beatitudine in quel trattamento esclusivo, la voce smorzata dai cuscini.
«A fare cosa?»
«A dormire.» Solleva il viso, arrossato dalla pressione ai cuscini. «Certe notti dico, non sempre. Se ti sei mai chiesta il motivo delle visite notturne di Virgilio o l'andazzo di Musa nei miei corridoi ora detieni la risposta.»
Oh. Una nuova razione di malori e dispiaceri sul corpo stremato del suo fratellino. Ottaviano dovrebbe modificare il suo epiteto in Faro per i Malanni.
«Cosa ne pensa Musa?» Ottavia non interrompe la carezza nei meandri aurei della sua nuca, dita aggraziate, dolce lentezza.
«Secondo il suo parere penso troppo quando sono a letto.» Picchia la fronte sul materasso. Ottavia gli leva l'alloro, interessando le imperiali tempie con lievi, delicati massaggi. «È che c'è così tanto da fare! Da costruire! Da migliorare!»
«Roma non è stata costruita in un giorno.» Obbligandolo a voltarsi lo scagiona anche dell'ingombro gravoso della toga, ammassandola vicino ai sandali. «Devi viverla con più leggerezza fratellino, specialmente ora che stai per diventare nonno.»
Il lieto annuncio di Giulia ha spiazzato tutti e ispirato speranza e raggiante gioia tanto negli ambienti perbene quanto nelle catapecchie. Augusto e Agrippa accomunati da un discendente, il successore di cui il trono di suo fratello ha disperatamente bisogno. Sua nipote le ha confidato che intendono attribuirgli il prenomen del nonno, Gaio, se si rivelerà il maschio lungamente atteso.
«Affermi il vero.» I tratti si sformano in uno sbadiglio. «Come al solito...»
«Ho sentito uno sbadiglio per caso?» lo stuzzica puntigliosa Ottavia. «Qualcuno qui ha sonno...»
«Ti sbagli...» mugugna, arrendendosi a un altro sbadiglio. Si riavvolge, ginocchia addossate al petto, posizione fetale. Ottavia curva il viso su di lui, gli soffia un garbuglio davanti agli occhi, le palpebre cascanti.
I mugugni si perdono in frasi inconsistenti, fino a quando il respiro rilassato di suo fratello si fonde con la natura circostante, i rampicanti fioriti avviluppati serpentini intorno a loro, al cinguettio amoroso fremente tra le chiome, di ramo in ramo, alle aiuole che salutano tese il viaggio del sole nella via celeste. Esibendo un discreto sorrisetto trionfante, Ottavia si abbassa a baciarlo in piena fronte.
Ha iniziato così minuscolo, battezzato da cattive previsioni, e guardalo ora, alla testa del mondo intero, sulla cima dell'Impero più maestoso e potente nella storia dell'uomo. Se solo la loro madre fosse qui per vederlo...
«Dormi fratellino.» gli sussurra, riprendendo a coccolargli lo scalpo, una chioccia di veglia sul suo gracile pulcino. «Ci sono io con te.»
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Meme dall'antica Roma con furore
AcakIl titolo parla da solo. Preparatevi al delirio.