A Giulia

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Quando hai capito il ruolo dell'amore, Giulia? E il tuo ruolo di donna?

Donna e amore, quale connubio contrastante.

Forse dobbiamo tornare indietro a quel trionfo, lo sfavillante ritorno in onore a tuo padre, alle vittorie di Azio e Alessandria. Era un dio sceso tra i mortali, quel giorno, porpora e oro, la corona d'alloro dei condottieri calcata sul capo, oro perso nell'oro, con una regalità e un portamento innati.

Mai tuo padre ti era sembrato così divino.

E così distante.

Divino, il figlio di un dio. Il Divo Giulio, la cui memoria, tra le pareti marmoree della tua colossale domus, era riverita e commemorata con il dovuto rispetto, sfiorante il reverenziale. Un figlio d'un dio dovrebbe essere in grado di concepire un maschio.

Un erede al suo potere.

Invece eri nata te.

Sfilò il carro della regina, quel giorno assolato, gremito di romani deliranti, festosi, celebranti la tanto agognata pace. La regina d'Egitto. Cleopatra. Ne avevi sentito parlare sottovoce, il suo nome una bestemmia, bandito, un'onta alla reputazione encomiabile di tua zia Ottavia.

L'altra donna. L'egiziana. Quella mefitica meretrice. La fattucchiera. La serpe.

Il carro passò nella parata del bottino, una meraviglia in ebano e avorio su cui campeggiava, mollemente adagiata, l'effige d'una donna immortalata negli ultimi spasmi d'agonia. Una moribonda. Era una riproduzione minuziosa, fedele nel minimo dettaglio. I muscoli tesi. La serica morbidezza della pelle traeva in inganno. La serpe attorcigliata all'avambraccio come una fatale armilla. L'espressione struggente.

Incatenati al catafalco, vessati e insultati dalla folla, i figli superstiti della regina sconfitta e di Marco Antonio - Marco Antonio, la nemesi di tuo padre, il traditore e marito infedele di tua zia, marito fedifrago, imbarazzo dei romani - erano costretti a camminare, truccati nei costumi tradizionali egiziani.

Bambini tuoi coetanei.

I figli di quella donna.

Era raccapricciante. Tutto.

Cominciasti a capire - o se non propriamente a capire, a elaborare - quanto anche una donna potesse rimanere invischiata nella ragnatela del potere.

E di quanto potesse sconvolgere il mondo.

Tu non eri Cleopatra. Lo sapevi, te lo ripetevi. Mai, allora, la piccola te si sarebbe sognata di paragonarsi alla concubina egiziana che aveva sfasciato il matrimonio di tua zia, oltraggiato la tua famiglia, stregato un valoroso romano e scatenato una guerra. Saresti inorridita al solo raffronto. Tuo padre, anche, lo sapeva.

Ti adorava.

Lettera di Quinto Orazio Flacco ad Albio Tibullo - Augustus - John Williams:

"Cesare Ottaviano ama sua figlia più di quanto tu possa comprendere; se ha una colpa, è quella di amarla con troppo ardore. Ne ha seguito l'educazione più accuratamente di quanto non facciano tanti padri meno indaffarati di lui, quando si prodigano per i loro figli maschi; e non si è accontentato di circoscriverla al cucito, al ricamo, al canto, allo studio del liuto e alla consueta infarinatura letteraria che la maggior parte delle donne riceve a scuola.
Ora Giulia parla il greco meglio di suo padre, e ha una conoscenza delle lettere stupefacente; ha studiato la retotica e la filosofia con Atenodoro, che con la sua saggezza e la sua erudizione, mio caro Tibullo, avrebbe molto da insegnare anche a noi.
Durante tutti questi anni, in cui ha dovuto spesso assentarsi da Roma, non è trascorsa una sola settimana senza che sua figlia ricevesse da lui un plico di lettere; io stesso ho potuto leggerne alcune, e ti assicuro che attestano ma premura e una dolcezza commoventi.
In quelle liete occasioni in cui i suoi impegni gli consentono di dedicarsi alla famiglia e alla casa, ha trascorso con la figlia una quantità di tempo che potrebbe dirsi quasi eccessiva, comportandosi con lei nel modo più semplice e allegro. Mille volte l'ho visto far rotolare il cerchio col bastone, come fosse stato un fanciullo; portarla a cavalluccio sulle spalle, o giocare con lei a mosca cieca; li ho visti pescare insieme sulle rive del Tevere, e ridere quando abboccava all'amo un piccolo pesce persico; e passeggiare complici nei prati dietro casa, raccogliendo fiori di campo per abbellire la tavola.
Ma se a nutrire dubbi è il poeta che è in te, so che non riuscirò a convincerlo, come invece potrei fare con l'uomo. Sai bene che se fosse stato un altro padre a scegliere per sua figlia uno sposo ricco e promettente come il giovane Marcello, l'avresti lodato per la sua lungimiranza e la sua premura. E sai anche che la "giovinezza" di Giulia, in circostanze diverse, darebbe adito a preoccupazioni di altro genere. Quanti anni aveva quella certa signora (che hai voluto ribattezzare Delia) quando attentasti per la prima volta alla sua virtù? Sedici? Diciassette? O meno?
No, mio caro Tibullo, ti sconsiglio caldamente di scrivere questa poesia. Vi sono molti altri argomenti, e ben altri luoghi dove reperirli. Se vuoi mantenere la stima del tuo imperatore, continua a comporre versi sulle tue Delie, che ti vengono benissimo. Ti assicuro che Ottaviano li legge e li ammira; per quanto tu possa stentare a crederlo, quando legge una poesia, apprezza più lo stile che le lusinghe."

Meme dall'antica Roma con furoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora