Questione di cuori/e

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HELENA'S POV

Aron questa mattina è di buon umore.
Insolito. Da quello che mi ha raccontato Benjamin, lui raramente è di buon umore la mattina.
Suppongo che spesso sia per la confusione che fanno i suoi fratelli.

<quindi tutti voi svedesi sapete pattinare sul ghiaccio?> chiedo, sperando che la mia ipotesi venga confermata.
<non tutti, ma la maggior parte sì> mi risponde Aron.

Non so bene come siamo arrivati a questa conversazione, ma oggi ho scoperto che circa l'80% della popolazione svedese pattina sul ghiaccio con la stessa facilità di come noi italiani mangiamo la pasta.

<quando ero piccola desideravo imparare a pattinare sul ghiaccio> dico. Mi viene naturale raccontargli piccoli dettagli della mia infanzia.
<perché non hai mai preso lezioni?>
<perché mia madre preferiva che facessi tennis> ammetto, un poco triste.

Mi sarebbe piaciuto molto imparare a pattinare, sopratutto perché sono una grande fan di due pattinatori russi da quando avevo 12 anni.

<è un peccato, saresti stata brava> mi complimenta lui.
Mi viene da ridere. Non sono mai stata una grande sportiva, preferisco stare sul divano a leggere.
<e da cosa lo deduci?> gli chiedo, ridacchiando.
Lui solleva le spalle <intuito da svedese> scherza su.

La mia piccola risata lo contagia. Quando siamo insieme agli altri è sempre molto rigido e attento, forse perché si sente in dovere di badare ai propri fratelli, e perché deve stare attento che Carl non si avvicini troppo a Jasmine. Sono quindi rare le occasioni in cui ride a battute o le fa.

<magari se vengo a trovarvi, un giorno, mi insegnerai a pattinare> immaginare Aron che mi insegna a stare in piedi su un paio di pattini, con Benjamin che ci ronza attorno e Klara e Jasmine che pattinano composte in giro per la pista mi trasmette un calore indescrivibile.

<sarei felice di essere il tuo insegnate blondin> Aron mi guarda negli occhi, le sue labbra rosee si muovono facendo uscire il piacevole suono della sua voce.

Gli rivolgo un'ultimo sorriso primo di tornare a guardare davanti a me.

Decidiamo di tagliare per la spiaggia. Dapprima i granelli sono più grossi ma, man mano che ci avviciniamo al lungo mare, si fanno più fini e la sabbia risulta quasi morbida.

Il sole è già alto nel cielo. Ho dimenticato gli occhiali da sole, mi fanno male gli occhi.

<tutto bene?> chiede Aron, vendendo la mia smorfia infastidita.
<mi sto accecando> dico semplicemente, rivolgendo un dito al sole.
<hai dimenticato gli occhiali non è vero?> domanda. Probabilmente avrà notato che spesso non li porto, perché con il sudore iniziano poi a scivolare sul naso e io lo detesto.

<sono fastidiosi! Se poi mi rompo le scatole li tolgo e finiscono per non servire a nulla> butto fuori innervosita.

Aron sottomette una risata.

Poi, infila la mano nella tasca dietro del suo costume da bagno e estrae un paio di occhiali da sole neri da uomo.
Me li porge.

<tieni> dice, mettendomi gli occhiali sotto il naso.
Rimango interdetta. È un gesto carino. Simon e Cristian sono i miei migliori amici da 2 anni e non mi hanno nemmeno mai prestato un fazzoletto.

<grazie> dico, prendendo gli occhiali ed esaminandoli.
Sono semplici, squadrati come i soliti occhiali maschili, li porta anche mio padre.

<tu che hai gli occhi chiari dovresti indossarli più di molte altre persone> il suo è una specie di rimprovero.
Non saprei come rispondere senza sembrare una bambina sgridata dal papà.

twelve days are not enough for us Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora