Capitolo 3: Cioè boh nel senso, secondo me è tutto un po' confuso....

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Mercoledì

«Ama, ama follemente, ama più che puoi e se ti dicono che è peccato ama il tuo peccato e sarai innocente»
Romeo e Giulietta, W. Shakespeare


Quando aprii gli occhi capii che quello dove mi trovavo non era più un ospedale, bensì una pietosa imitazione dell'Inferno.
Si sentivano urla, parole volanti di persone spaventate e rumori di cose che cadevano.
Inizialmente non riuscii a realizzare cosa stesse esattamente accadendo, c'era tanto di quel casino che ormai non sapevo più chi parlasse con chi.
Medici, infermieri e persino pazienti correvano per i corridoi, in preda al panico.
Continuavo a non capire. Cosa c'era che non andava?
Cercai di alzarmi, ma ero legata. Maledizione, ma che cavolo!

«Hey! Qualcuno mi aiuti!» urlai, ma nessuno ovviamente riusciva a sentirmi.
Quando finalmente uno può dire: Mercoledì che sfiga!
Esatto, in quel momento pensai che la sfiga fosse proprio dalla mia parte. Totalmente, completamente, sicuramente...
Mi guardai intorno, cercando un qualcosa che potesse aiutarmi a liberarmi, ma niente da fare. Il nulla totale.
Allungai il collo e schiacciai il pulsante per chiamare l'infermiera, ma non rispose nessuno.
Mi veniva sul serio da bestemmiare.
Mi imposi di mantenere una certa calma, ma non è che rispettai poi tanto la mia promessa.
«Signorina! Ma che ci fa ancora qui? L'ospedale è in isolamento!» un medico entrò nella mia camera e mi liberó in fretta dai polsini e le cavigliere che mi legavano al letto.
Alzai un sopracciglio.
«Mi scusi, siete voi che-» «-Non importa, ora si nasconda» scesi dal lettino e lo guardai confusa, «Ma che sta succedendo?» chiesi, «Come, non lo sa? C'è un uomo armato nell'ospedale*!» il mondo mi crollò addosso in un istante.
«Ora io devo andare, ma stia attenta!» prima che potessi dire altro il medico sparì oltre la porta.
Rimasi immobile per non so quanto tempo, ma poi il mio istinto di sopravvivenza ebbe finalmente la meglio, suggerendomi di nascondermi.
Mi guardai attorno, ma purtroppo non trovai nessun posto che potesse assomigliare ad un nascondiglio.

Così improvvisai e uscii dalla mia camera.
Non lo avessi mai fatto.
«I've paid my dues, time after time» una voce, sicuramente maschile, cantava We are the champions, dei Queen.
Scusate, ma perché in quella situazione una persona doveva mettersi a cantare? Deglutii a vuoto, sgranando gli occhi.
All'improvviso un colpo mi fece sussultare: era sicuramente un colpo di pistola.
La voce si faceva sempre più forte, sempre più vicina. «I've done my sentence, but committed no crime» una scia di sangue percorreva il corridoio davanti a me, e io non sapevo davvero che fare.
Trattenni il fiato, terrorizzata. Altri colpi di pistola mi fecero sussultare, ancora.
«And bad mistakes, 've made a few» la voce continuava a cantare, e fra una parola e l'altra ridacchiava, divertito di quello che stava facendo.

Mi trattenni dall'urlare quando notai il corpo senza vita in una infermiera che quasi sfiorava i miei piedi.
Corsi, più veloce che potevo. Non sapevo neanche io dove stessi andando, non ne avevo idea.
«I've had my share of sand, kicked in my face
but I've come through» in quel momento tutto taceva, innumerevoli corpi giacevano morti sul pavimento.
Io non sapevo cosa fare, l'uscita dell'edificio era a pochi metri, ma avevo una paura matta di fare quei passi.
«And we mean to go on and on and on and on» ora che il silenzio regnava la voce si udiva molto più chiara, assottigliai lo sguardo e notai una figura scura scacciare con un piede il corpo di un medico.
Rise di gusto portando una mano alla bocca, gustando il sapore del sangue che aveva sulle dita.
Quando notai che si stava voltando nella mia direzione fui presa dal panico. Non sapevo cosa fare.
Letteralmente.
«We are the champions, my friends» il suo tono di voce si abbassò leggermente, camminava apparentemente senza una meta per i corridoi silenziosi dell'ospedale, cantando e ridendo, soddisfatto di sé stesso.

Presa dal panico cercai di muovere qualche passo, sperando che non si accorgesse di me.
«And we'll keep on fighting till the end» mi bloccai quando ricominciò a canticchiare, rigirandosi la pistola fra le mani, con aria apparentemente annoiata.
Come se non sapesse più cosa fare.
Continuai a muovere pochi e silenziosi passi, ma involontariamente scontrai un carrello per le emergenze, facendo cadere non so cosa.
La figura smise di cantare e si voltò lentamente nella mia direzione. Mi fissò, ma non riuscivo a vedere niente del suo viso: era tutto nascosto da un passamontagna nero.
«Ciao, Mercoledì» sussurrò velenoso, ma calmo allo stesso tempo.
Il sangue mi si geló nelle vene.
«La conosci, la canzone che cantavo?» rimase in piedi, di fronte a me.
Non osai rispondere, «Allora?» mi invitò, annuii leggermente.
«Beh, mi sembra ovvio. Chi non conosce We are the champions?» rispose ridacchiando, come se fossimo nel bel mezzo di una amichevole chiaccherata.

Let me love you (Mercoledì x Tyler)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora