Capitolo 2: Forse dovrei smetterla di pensare a cose macabre....

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Mercoledì

«Sarai stanco amore, perché è tutto il giorno che cammini nella mia testa»
Romeo e Giulietta, W.Shakespeare


Quando aprii gli occhi quello che vidi fu solo bianco.
Bianco, bianco, bianco.
Sbattei più volte le palpebre, avevo un fortissimo mal di testa e la vista era leggermente offuscata.
Non riuscivo a ricordare molto di quello che mi era successo, ma ero sicura che mi trovassi in un ospedale.
Delle voci mi fecero voltare la testa, scorsi quindi il volto di mia madre, che parlava con un uomo dal camice bianco, un medico sicuramente.
Richiusi gli occhi e mugugnai qualcosa, non riuscivo ancora a parlare bene.
«Guarda mamma! Si è svegliata!» feci una smorfia irritata.
Perché Puglies doveva sempre urlare in quel modo dico io?
La chioma lunga e corvina di Madre svolazzò, e le sue iridi carbone si posarono su di me. Sorrise, commossa.
«Oh, mia vipera!» mi si avvicinò e mi scoccò un bacio sulla guancia.
Ma che schifo.
Sbuffai, «Cosa è successo?» sussurrai, «Lurch ti ha trovata nel bosco, avevi..hai una ferita abbastanza grave alla testa. Pare che qualcuno ti abbia colpito alle spalle con un oggetto di metallo. Sei stata in coma per cinque giorni, eravamo tanto preoccupati mia Nuvoletta di tempesta» mi sorrise.
Io invece spalancai gli occhi, «Io ho visto dei cadaveri, lo ricordo» esclamai, «Lo so. L'indagine è già in atto, pare che l'arma usata per darti quel colpo sia anche quella del delitto nei confronti di quelle povere persone.. terribile, davvero. Erano cinque medici se non mi sbaglio».
Aspetta.
Medici, arma, sangue, bosco. Perché quelle parole messe insieme mi dicevano qualcosa? Chiusi gli occhi, non avevo la forza di pensarci in quel momento.

***

Più tardi vennero a trovarmi Enid, Ajax, Bianca, Eugene e purtroppo Xavier (lui lo mandai via).
Enid ovviamente in lacrime pensando che fossi morta o chissà cos'altro, cercò di stritolarmi ma io minacciai di mettermi ad urlare e chiamare l'infermiera di turno se ci avesse provato.
Eugene mi portò un peluche gigante a forma di ape e non mi lamentai, sapevo che quello era il suo modo di trasmettere affetto. Tutti mi portarono qualcosa, persino le mamme di Eugene mi regalarono un barattolo di miele dal loro alveare.
In tutta onestà lo trovai un gesto carino, insomma, si erano preoccupate per me e ne presi atto.
Bianca mi regalò una perla, di quelle vere però, non quelle che compri al supermercato. E poi Xavier.. onestamente non lo volevo fra i piedi ma ho dovuto accettare un disegno che in realtà era un mio ritratto.
Non mi piaceva.
Ma capii che ci aveva impiegato del tempo, quindi non commentai e rimasi in silenzio.
Beh, non vi dico neanche quanti oggetti da tortura nuovi mi regalarono i miei genitori. Ne contai almeno quindici ma secondo me erano di più.
Nel mio modo macabro di pensare mi chiesi perché mai si dovesse regalare roba ogni volta che una persona restava in ospedale più di un giorno. Ma chi li capisce i normali...

Dire che la gente mi reputava strana era davvero un eufemismo.
Soltanto il fatto di vestirmi sempre e completamente di nero H24 per sette giorni su sette già lasciava a desiderare che non fossi proprio una normale adolescente come le altre. Ma almeno non ero una che seguiva il gregge e roba del genere. Non riuscivo a capire perché fosse così strano comunicare con una palla di cristallo, utilizzare una macchina da scrivere per fare i compiti oppure semplicemente per appunto scrivere.
Potevo comprendere il fatto che le mie battute macabre macchiate di sarcasmo nero non fossero proprio rassicurati, ma non mi sembrava il caso di prendere in giro una persona soltanto perché è diversa da te oppure perché ha interessi differenti dai tuoi. Per questo ho subito capito che non valeva la pena dare peso ai sussurri alle mie spalle oppure ai mille bigliettini pieni di prese in giro che trovavo quotidianamente nell'armadietto. Non mi era mai importato di nessuno al di fuori di me stessa.
Le emozioni sono una debolezza, questo lo dimostrava chiaramente. Devi imparare a farti valere oppure sei spacciato.
La gente è crudele e nessuno può farci niente.
E io conoscevo una persona così crudele, più crudele di me...
Scossi la testa e smisi di pensare a cose deprimenti come i problemi sociali che riguardavano l'intera umanità.

Iniziai quindi a capire chi mai potesse avermi fatto una cosa del genere. Probabilmente il serial killer era ancora nei paraggi quando arrivai sul luogo del delitto, quindi decise di giocare d'anticipo e farmi direttamente fuori, così che io non potessi raccontare niente a nessuno.
Ma gli era andata male, io sono un osso duro.
Scossi la testa e osservai i farmaci che avrei tecnicamente dovuto prendere, ma io mi ero puntualmente opposta. Sapevo che quei cosi contenevano sostanze che creavano confusione e debolezza, e io non volevo diventare una vecchia decrepita incapace di intendere e di volere.
I medici avevano provato in tutti i modi di farmeli ingerire, ma io ero riuscita a tirare un pugno a uno di essi, un certo dottor Robinson o come Diavolo si chiamava.
Ma che ne so.
E fu così che mi ritrovai legata al lettino, etichettata come una paziente violenta.
Secondo me ci avevano messo anche troppo tempo per capirlo, onestamente.

Mi guardai intorno, ma non c'era niente con cui io potessi dilettarmi.
Oltretutto ero pure legata quindi anche volendo non avrei potuto muovermi. La gente era davvero incompetente.
Chiusi ancora gli occhi, sperando di dormire, ma fallii miseramente.
Sbuffai, annoiata.
«Signorina Addems» alzai un sopracciglio, «È Addams» lo corressi indignata, possibile che i medici non sapessero neanche il nome dei propri pazienti?
«Vedo che non ha preso i farmaci, se continua così dovremo usare le maniere forti» ghignai, «Oh, non so se lo sa ma ci avete già provato. L'occhio nero del suo collega potrà confermarlo, glielo assicuro» gli strizzai l'occhio.
Tiè.
«Fatto sta che se quelle pastiglie non spariscono entro mezz'ora sarò costretta a sedarla» roteai gli occhi, «Sono davvero esasperante, lo ammetta» il medico strinse la cartellina fra le mani più forte del normale. Era nervoso e impaziente.
Colpa mia.
«Non mi è permesso dare certe informazioni, ma se non collabora sa cosa la aspetta. È avvisata» chiuse la porta alle proprie spalle e io sbuffai.
«Bla bla bla» sussurrai quando lo vidi allontanarsi. Se lo poteva anche scordare: Mercoledì Addams non prendeva ordini da nessuno.

Non sapevo davvero che Diavolo fare.
I miei genitori erano tornati a casa per pranzo, così come i miei cosiddetti amici. Ero sola in camera, e sola corrispondeva per me un senso di pace e libertà che fino a qualche ora prima non mi era stata concessa.
Non avevo idea del perché, ma ogni volta che non sapevo che fare e mi mettevo a pensare, in mente avevo soltanto un nome, una parola e cinque lettere.
Tyler.
Qualche volta mi sembrava di poter sentire addirittura il suo profumo, ma sicuramente ero pazza. Non che la cosa mi desse poi così fastidio, insomma, niente di nuovo per Mercoledì Addams.
Mi imposi di dormire, e ovviamente mi imposi anche di non prendere quei maledettissimi farmaci.
Col cavolo belli, Ve lo sognate.
Così pregai Dio, Gesù,la Madonna, Zeus e tutti gli Dei dell'Olimpo, che fortunatamente ascoltarono le mie preghiere.
Mi addormentai.
Ma quando il giorno dopo aprii gli occhi mi resi conto che non avrei mai e poi mai dovuto andarmene nel mondo dei sogni...





Spazio autrice:

E ciao amici!
Come state? Spero tutto bene.
Secondo capitolo online e il mistero si infittisce *musica horror* chissà cosa sarà successo!
Vi saluto, se avete voglia lasciate un commento o una stellina.
Bacioni,
Chiara 🦋

Let me love you (Mercoledì x Tyler)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora