XXXVII

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ZAIN

La straziante impotenza di non possedere i mezzi necessari per scacciare via quell'angosciante smorfia di dolore dal suo viso mi rese frustrato oltremisura.
Tremavo, tremavo con forza, come una barca pericolosamente dondolante in balìa di una violenta tempesta, stringendo tra le mie braccia il corpo di Amélie.

Era svenuta, incosciente ma sotto le palpebre arrossate, gli occhi le si agitavano inquieti.

Sul suo meraviglioso viso pallido vi erano tracce di lacrime color sangue.
Erano state quelle stesse lacrime ad avere la potenza di scombussolare con violenza inaudita il mio cuore, ch'era scoppiato dalla paura di perderla.

Amélie aveva pianto sangue ed io non potetti che pensare al peggio.

Non ebbi modo di riflettere sulle mie insolite emozioni né sul da farsi, finché le sue palpebre non s'erano abbassate e lei aveva smesso di contorcersi dalla mia stretta nell'intento di strapparsi gli occhi inniettati di sangue dalle sue stesse orbite.

《Bolivar...》mi uscì come un vergognoso mormorio strozzato.

Respirai piano e deglutii stringendomi al petto il capo di Amélie, poi, ebbi la forza necessaria di chiamare l'uomo a gran voce, il quale subito accorse.

《Signore...C-cosa è successo?》domandò con crescente preoccupazione assistendo al tremore violento che mi stava scuotendo per intero.

《Prepara l'auto! Presto!》affermai con urgenza.
《Amelie ha bisogno di un medico.》

Bolivar si fiondò fuori velocemente captando la gravità della situazione.
Ben presto, lo seguii sollevando il peso dannatamente troppo leggero di Amélie tra le mie braccia.

Il mio respiro era affannato e veloce, e il cuore mi si era ormai arrestato in gola.

Sedetti sui sedili posteriori con Amélie distesa con il capo adagiato sulla mia gamba sinistra, quella non scossa dal tic nervoso che avevo appena scoperto di avere.
I miei occhi erano fissati ossessivamente sulla sua intera figura e da lì non si mossero, così come non si spostò la mia enorme mano dal suo piccolo, paffuto, seno destro.
Temevo che il suo cuore rallentasse fino a cedere del tutto, che il suo stretto torace smettesse di fare su e giù, o che i suoi polmoni o il suo cuore cedessero.

Dio, avevo realmente paura che morisse.
E, ciò mi innervosiva e terrorizzava oltremisura.

Bolivar mi lanciava di tanto in tanto delle occhiate agitate e cariche di apprensione dallo specchietto retrovisore.
In situazioni normali, probabilmente quel suo interesse mi avrebbe infastidito e, sicuramente avrei sbraitato, ma, in quel momento la mia attenzione era rivolta solo ed unicamente ad Amélie.

《Cazzo, premi quel dannato accelleratore!》tuonai furiosamente picchiando il pugno tremante di rabbia contro il sedile del passeggero.

Bolivar sfrecciò tra le strade di Los Angeles alla velocità della luce, e quasi piansi di gioia quando finalmente arrivammo al Ronald Reagan.
Appena scesi dall'auto sollevai con estrema delicatezza Amélie trasportandola tra le mie braccia.

Prima di fare il mio ingresso trattenni un grosso respiro carico di apprensione e angoscia, poi, espirai profondamente.

Eccomi.
Ero tornato ad indossare i panni del Diavolo Messicano, privo di cuore e ancora di più di pazienza.

L'intera hall dell'ospedale si congelò quando varcai l'ingresso con mia moglie svenuta tra le mie braccia, riconoscendomi all'istante.
I miei occhi si socchiusero minacciosamente fissandosi poi su un'infermiera, l'unica che non stesse tremando con gli occhi spalancati dal terrore dinanzi alla mia persona.

𝑂𝑙𝑡𝑟𝑒 𝑖𝑙 𝑏𝑢𝑖𝑜Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora