XXIII

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ZAIN

Avevo ascoltato tutto ciò che la mia bambolina aveva sussurrato con estrema dolcezza all'orecchio di un Joshua mezzo svenuto con il capo abbandonato mollemente sul grembo di lei.

Nonostante mi fossi trattenuto difficilmente dal lanciare un violento calcio mirato al cranio dell'uomo pallido e sanguinante, non avevo scostato per un solo attimo lo sguardo dalla tragica scena.
E, mio malgrado, non potetti evitare di desiderare d'esser io nei panni di Joshua, solamente per avere l'opportunità di venire stretto con così tanto calore da una persona cara.

La loro posizione, quella promessa, mi aveva rammentato dolorosamente la morte crudele della mia mamà.
Solo assistendo al loro addio, così simile a quello di mia madre, avevo avvertito un'insolita sensazione di soffocamento.
Di conseguenza, avevo avuto fretta di lasciare quel luogo, di interrompere quella scenetta e di portare mia moglie, la mia bambolina, a casa mia.

Ovviamente, Amélie si era ribellata con tutte le sue forze.

Ma, questa volta, non ero stato abbastanza paziente da sopportare le sue fastidiose moine e opposizioni.
In realtà, non sarei più stato tanto tollerante con Amélie.
Pertanto, ora giaceva priva di conoscenza sul mio petto, con il capo poggiato stancamente sul mio pettorale sinistro, dove il mio cuore, dal battito calmo e regolare le faceva da ninna nanna durante il tragitto di ritorno a casa.

La droga che le avevo iniettato era leggera.
Al suo risveglio si sarebbe solamente sentita un po' intontita, ma, ci sarei stato io a destarla per bene.

Con tale pensiero in testa i miei occhi si concentrarono sulla sua mano solitamente bianchissima, sporca del sangue del suo fratellastro.
E, non potetti evitare di fissare il mio sguardo ricolmo di indicibile soddisfazione sul suo magro anulare, su cui risplendeva un fine anello nuziale.
Quest'ultimo portava un importante messaggio: Amélie era legata a me, per l'eternità.

Da quel momento in poi, per lei sarei esistito solo io.

Joshua era ormai fuori dai giochi.

Non era morto.
Avevo previsto la sua imminente ribellione.

Joshua era alquanto prevedibile ed io, in quanto psicopatico, avevo incaricato Bolivar di sparare Joshua se fosse stato necessario, senza, però, ucciderlo.

A me non interessava che quest'ultimo vivesse o meno, ma, ad Amélie sì.

Ovviamente, non mi curavo dei desideri della mia bambolina.
Ogni azione che compievo o non, aveva un suo perché.

Se Joshua fosse morto, soprattutto, se fosse morto per mano mia, Amélie non me l'avrebbe mai perdonato.
Se, invece, avessi permesso a Joshua di vivere, ovviamente lontano da lei, avrei posseduto qualcosa di caro ad Amélie nelle mie mani.
Di conseguenza, minacciando Amélie usando Joshua, l'avrei costretta ad abituarsi alla sua nuova vita.
Con il tempo, non avrei avuto più bisogno di Joshua per costringerla ad accettare la sua nuova vita con me.

Le avrei privato tutto, concedendole solo ciò che io desideravo.
Le avrei fatto del male, e lo avrei fatto lentamente, annientandola poco a poco, ogni giorno un po' di più.

Bolivar mi ridestò dai miei perversi pensieri riferendomi che Joshua era stato condotto da un'ambulanza all'ospedale più vicino, come codice rosso.

《Trova il numero del direttore sanitario dell'ospedale e riferiscigli che Joshua Thompson dovrà essere assistito non appena l'ambulanza giungerà all'ospedale.》impartii stringendo maggiormente il corpicino caldo di Amélie, la quale, ancora dormiva con il capo sul mio petto come una dolce bambina.

Bolivar annuì tacitamente prelevando il suo cellulare dalla tasca del suo pantalone elegante di seta nera che aveva indossato per il mio matrimonio.

《E, Bolivar, ripongo fiducia nel tuo fargli comprendere che non ha una scelta. Vive Joshua, vive anche lui.》aggiunsi fissando il mio sguardo mortalmente serio nel suo, riflesso nello specchietto retrovisore.

𝑂𝑙𝑡𝑟𝑒 𝑖𝑙 𝑏𝑢𝑖𝑜Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora