XVII

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AMÉLIE

Gli avevo detto addio.

Ero scappata da lui, dal dolore inesprimibile che mi aveva provocato dalla mia nascita, dalla sofferenza indicibile che avevo sopportato e che anche in quel momento avvertivo pervadermi il cuore, e dall'angoscia disperata che avevo provato scappando da lui.

"Era normale percepire tutto questo supplizio?", mi chiesi nel mentre le lacrime mi rigavano disperatamente le gote, imperlando sotto gli occhi e attraversando anche le mie labbra per poi lanciarsi sotto il mento e cascare sulle morbide lenzuola del letto sul quale mi ero svegliata il giorno stesso.

Era giorno?
Che ore erano?
Quanto tempo avevo trascorso in quella camera intrisa di polvere?

Avvertivo l'umidità e gli spifferi d'aria proveniente dai piccoli fori che deturpavano le pareti della casa attraversarmi la pelle e gelare le mie povere ossa.

Pertanto, insieme al disperato ed interminabile pianto singhiozzante era iniziato anche il tremore incontrollato.

Desideravo così tanto placarmi.

Mai avevo pianto in quel modo, così disperato, nemmeno al funerale di mio padre.
E, questo la diceva lunga sul bene che provavo nei confronti di Joshua.

Non sapevo neanche se "bene" poteva essere definito ciò che provavo per lui.

Non lo sapevo, maledizione!
Non lo sapevo perché non avevo mai provato la sensazione d'essere voluta bene, di essere amata da una persona amata!

Avevo sbagliato tutto.

Avevo combattuto inutilmente, quasi obbligando Joshua a volermi bene solo perché lui era l'unica persona che poteva legarmi a mia madre.

Purtroppo, dovevo dirgli addio.

Dovevo riporre quella stupida speranza di un futuro diverso tra me e Joshua in un cassetto, chiuderlo a chiave, e gettare la chiave stessa.

Lo dovevo a me.
Alla me che ancora desiderava essere amata.

Perché ero minimamente degna di essere amata anch'io dalla vita, non era così?

Con mani tremanti scacciai quasi rabbiosamente il residuo di lacrime secche che avevano rigato il mio intero viso, sospirando sonoramente obbligandomi a darmi un contegno.

《Hai fatto la cosa giusta, bambolina.》

Sobbalzai spaventata cozzando dolorosamente le mie spalle contro il legno graffiato della testiera del letto matrimoniale sul quale stavo rannicchiata con le ginocchia al petto.

Tirai un grosso respiro, sconcertata.

Solitamente, i miei sensi acuti mi rendevano semplice captare la presenza di persone e oggetti che mi circondavano.
Tuttavia, non mi ero minimamente accorta dell'arrivo di Zain.

Dovevo proprio star male per non aver nemmeno avvertito la sua repentina presenza al mio fianco.

Poggiai stancamente il mento sopra le ginocchia nude, fissando nel punto in cui avevo avvertito provenire la sua voce.

《Allora, perché fa' così male?》domandai con tono di voce stanco e leggermente rauco a causa del precedente pianto.

Percepii i suoi passi sicuri avanzare verso il lato del letto su cui mi trovavo, sedendosi al mio fianco.

Il mio corpo si tese visibilmente all'avvertire la sua vicinanza.

La mia spalla sinistra sfiorava leggermente il suo grosso bicipite.

𝑂𝑙𝑡𝑟𝑒 𝑖𝑙 𝑏𝑢𝑖𝑜Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora