VIII

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ZAIN

Era così bello tenerla addosso a me e, di conseguenza, avvertire così nitidamente il calore cocente delle sue membra ustionare la mia pelle anche attraverso i pantaloni.

La mia bella Amélie cercava di sgusciare via dalla mia presa ma, era totalmente immobilizzata, così maledettamente impotente.

Prima di superare la soglia della porta che dava alla camera da letto di Amélie, con la coda dell'occhio notai la figura di Joshua nel bel mezzo del corridoio fissarmi ostinatamente con sguardo contrariato.
Ignorai quest'ultimo chiudendo con un brusco calcio la porta che sbattè contro lo stipite in legno producendo un violento tonfo che fece sobbalzare Amélie, ancora in bilico sulla mia spalla.

Brandendo i suoi fianchi stretti le feci posare i piedi nudi sul freddo pavimento.

Ero intenzionato a parlarle solamente, ma i miei buoni propositi vennero mandati a farsi benedire non appena tentò di fuggire da me, correndo in direzione del bagno.
Perciò, le afferrai velocemente i fianchi scaraventandola a pancia in giù sopra il piccolo letto coperto da un'adorabile coperta rosa.

I miei occhi scandagliarono con maniacale attenzione ogni singolo lembo del suo minuscolo corpo, coperto da una misera maglietta a mezze maniche che lasciava lo stomaco piatto in bella vista e una minigonna che lasciava poco spazio all'immaginazione.

Digrignai furiosamente i denti e, spinto da un selvaggio impeto di rabbia le ghermii un lembo della terribile gonna tirando finché il tessuto leggero non si strappò rivelando la pelle pallida del suo sedere scoperto e tremante.

Accarezzai delicatamente quest'ultimo beandomi della sua morbidezza calda.

Il sol pensiero che quell'insignificante ragazzino avesse osato sfiorato la mia bambolina con l'intenzione di farla sua mi spinse a curvarmi sul delizioso fondoschiena di Amélie e infliggervi sopra un profondo morso che la fece strillare dal dolore.

Il mio crudo assalto non l'ammansì, anzi, la spinse solamente a ribellarsi di più.
Infatti, spingeva con viva forza i suoi fianchi cremosi verso l'alto tentando di scrollarmi da sopra il suo corpo.
Tuttavia, per quanto i suoi sorzi fossero ammirabili, risultarono pressoché vani.

Era uno scricciolo.

Così debole e, fragile.

Quando il mio sguardo calò sui profondi solchi che i miei denti le avevano crudelmente inferto sulla pallida natica destra, avvertii un'appagante sensazione.

Era un marchio quello che le avevo impresso sulla pelle morbidissima del suo sedere.

Un adorabile marchio di proprietà.

Sì, perché Amélie era divenuta mia dal momento in cui aveva attirato la mia attenzione stando solamente affacciata da una finestra, ignara di me e di ciò che avevo in serbo per lei.
Era divenuta mia dal momento in cui mi aveva scoperto spiarla da dietro una siepe, ma, non interessandosi neanche del motivo per il quale me ne stavo nascosto aveva obbedito alla mia unica richiesta: tornare ogni giorno laddove si erano parlati per la prima volta.

A lei era bastata la mia presenza, a me era bastata vederla e avere i sensi inondati del suo inebriante profumo di fiori.

Ma, soprattutto, era divenuta mia, dal momento in cui mani estranee sul suo corpo mi avevano reso una bestia selvaggia assetata di sangue e vendetta.

Mia, mia, mia e solo mia.

Il capo di quest'ultima scattò all'indietro tentando invano di colpirmi con una testata, ma, stanco della sua inutile e fastidiosa resistenza le arpionai strettamente la lunga chioma bionda bloccandola contro il mio petto, tra esso e la mia gola.
La trascinai ai piedi del letto, posizionandola in piedi tra le mie gambe aperte.

𝑂𝑙𝑡𝑟𝑒 𝑖𝑙 𝑏𝑢𝑖𝑜Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora