IV

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AMÉLIE

《L'unico membro appartenente alla tua famiglia ancora vivo è il Signor Joshua Thompson, Signorina Amélie.》disse Agatha, la donna dalla quale ero stata accudita e cresciuta fin da quando ero solamente una neonata in fasce.

L'anziana donna mi aveva fornito ausilio fin dai miei primi anni di vita, poiché ero stata privata di una madre e di un padre, il quale seppur vivo e vegeto mi aveva praticamente abbandonata a me stessa, preferendo crogiolare nel suo lavoro anziché badare alle esigenze affettive della sua stessa figlia.

Fissavo il viso della donna, seppur vedendo solo il buio, ma, udendo il suono della voce di quest'ultima che proveniva dalla direzione verso cui era spostato il mio sguardo.

Nel corso dei miei diciassette anni di vita mi ero prodigata ad allenare gli unici e soli quattro sensi che fortunatamente possedevo: orecchie e udito, bocca e gusto, naso e olfatto, pelle e tatto.
Ero divenuta talmente brava e attenta ad ogni minimo particolare che, chi non era a conoscenza della mia piccola imperfezione, non ci faceva neanche caso.

Ma, tuttavia, la mia cecità mi impediva di svolgere una vita normale a tutti gli effetti.

Infatti, non mi era permesso uscire in strada se non accompagnata da qualcuno.
Ero priva di amiche, o comunque, di tutto ciò che una ragazza della mia età inevitabilmente desiderava.
Mi era, però, permesso gironzolare nell'immenso giardino che Agatha mi raccontò fosse stato tanto amato e accudito da mia madre, la Signora Nicole Thompson.
Non conoscevo i lineamenti del viso di quest'ultima, ma, da come mi erano stati descritti egregiamente da Agatha, pensai che fosse stata davvero una bellissima donna.
Tuttavia, mi riusciva impossibile immaginarla alla perfezione, in quanto solo con le mani riuscivo a delineare i volti delle persone.

《Non voglio essere affidata a Joshua.》affermai con tono serioso aggrottando le sopracciglia in una smorfia contrariata.

Ricordavo, seppur l'ultima volta che avessi avuto una conversazione con Joshua fosse stato dieci anni prima, l'odio profondo che percepivo nei miei confronti, covato dal ragazzo di quel tempo.
Rammentavo, soprattutto, le pesanti mani di quest'ultimo abbattersi con rabbia contro il mio povero sederino, punendomi solo per avergli nascosto una maglietta che odorava di lui.

Avevo compiuto quel gesto, da lui considerato uno stupido dispetto, solamente spinta dal desiderio di attirare la sua attenzione, nonché di appropriarmi di quell'odore che, in qualche modo riusciva sempre a calmarmi quando la solitudine mi provocava bruschi attacchi di ansia.

Alla me bambina mancava il tocco umano, mancava l'amore di una madre che era, purtroppo, morta e di un padre che si comportava come se fosse morto, nel migliore dei casi.
In conclusione ero stata orfana e sola, già prima che quest'ultimo morisse per davvero.

Avevo solamente cercato di farmi benvolere da Joshua venendo, però, ricambiata con cotanto odio e cattiveria che mi ripromisi di non avvicinarmi più a lui.
Ciò mi riuscì facilmente, siccome, Joshua abbandonò la propria casa, la propria famiglia, non voltandosi più indietro, non tornando mai più.

Al suo posto, però, per un brevissimo periodo c'era stata una persona, un ragazzo.

I ricordi erano sbiaditi ormai, ma le sensazioni e le emozioni che quel ragazzo mi faceva provare anche solo con poche parole e gesti mi erano rimaste impresse.
Ricordo che mi chiedeva solamente di presentarmi dietro la siepe che poggiava sulla cancellata che circondava la villa in cui abitavo, luogo in cui per caso mi ero fiondata alla ricerca delle orchidee che coglievo per abbellire la tomba di mia madre ogni domenica mattina.

Non mi ha mai rivelato il suo nome, tuttavia, la sua presenza lasciò inevitabilmente uno sprazzo di luce nel mio cuore.
Un accenno di vita che ho tenuto gelosamente per me nel corso degli anni.

𝑂𝑙𝑡𝑟𝑒 𝑖𝑙 𝑏𝑢𝑖𝑜Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora