XXXVIII

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AMÉLIE

Stavo fluttuando nel mio profondo, e ormai familiare, abisso oscuro traboccante di buio e solamente buio quando, all'improvviso, percepii una seconda presenza affiancarmi in quel macabro e tremendamente triste spettacolo.

Il mio cuore dapprima calmo e quieto si agitò non appena un odore familiare mi arrivò al naso, inebriandomi i sensi e allo stesso tempo turbandomi nel profondo.

Era lui.
Era Zain.

Mi afferrò la mano sinistra con una stretta vigorosa e, oltremodo possessiva trascinandomi chissà dove.
Ed io, in silenzio, gli permisi docilmente di portarmi dovunque volesse purché non abbandonasse la mia mano, purché non mi lasciasse più sola a vagare nel mio buio.

Era possibile provare amore e odio allo stesso tempo?

Probabilmente sì.

Amavo e odiavo il mio infinito ed intimo buio.
Il suo scurore era stato l'unico amico ad affiancarmi durante tutta la mia vita.

Eppure, rammentai che, per un breve periodo di tempo avevo desiderato poter vedere senza l'ausilio delle mie mani, di poter abbandonare il mio buio.

Sapere che gli altri bambini potessero vedere attraverso gli occhi mi faceva provare una profonda e dolorosa sensazione di inadeguatezza.

Fui consapevole, già in tenera età, di essere difettosa.

Per tanti anni, mi ero sentita così incompleta e, certamente le poche persone che mi circondavano non si erano impegnate a farmi credere il contrario.

Anzi, infierivano maggiormente sulla mia già scarsa autostima, evitandomi, trattandomi come un inutile spreco di spazio.

Primo tra tutti, mio padre.

Lui mi privava della sua presenza, della sua attenzione, del suo amore.

Mi ero impegnata così tanto fin da piccola per non fargli pesare la mia disabilità.

Dovevo vestirmi, senza, però, sembrare una sciattona senza stile? Perfetto, avevo appreso come selezionare i capi da indossare in base alla mia carnagione e al mio fisico grazie ai preziosi consigli di un noto stilista italiano.
Dovevo essere autonoma? Okay, camminavo senza l'aiuto di nessuno sia per il giardino che per la casa, mangiavo da sola, mi vestivo da sola, studiavo prevalentemente da sola.

Senza. Il. Dannato. Aiuto. Di. Nessuno.

Senza una presenza amica.

Senza una madre, un fratello, un padre.

Un padre...

Un padre che avrebbe solamente dovuto amarmi.

Chiedevo solamente che mi amasse.

Invece, mi aveva esclusa, mi aveva abbandonata, come se assieme a Nicole Thompson fossi morta anch'io.

Allora, non mi era rimasto niente se non il mio buio.

Amico da una vita, nemivo da una vita.
Eppure, l'unico ad esserci sempre stato.

Un'improvvisa boccata di ossigeno mi allargò i polmoni, amplificando il mio torace di aria dal sapore strano e sconosciuto.

La morbida superficie sulla quale ero sdraiata era comoda ma, al tatto, constatai fosse totalmente estranea al mio tocco.

《D-dove mi trovo?》la voce mi uscì stridente a causa della fastidiosa secchezza che provai alla gola.

Tossii per tentare di riformulare la domanda, ma un odore diverso da quello acidulo dell'alcool e del disinfettante, familiare, mi arrivò prontamente alle narici calmandomi e al contempo rimescolando con violenza le mie emozioni.

𝑂𝑙𝑡𝑟𝑒 𝑖𝑙 𝑏𝑢𝑖𝑜Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora