Prologo.

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13 anni prima...

Il profumo della torta al cioccolato fondente con granella di nocciole, che mia madre aveva preparato il giorno del mio quindicesimo compleanno, aveva invaso completamente tutta la casa. Quell'odore era il mio preferito.
Non amavo particolarmente festeggiare il mio compleanno, perché non mi piaceva essere al centro dell'attenzione, ma adoravo i dolci che preparava mia madre, per cui avrei continuato a festeggiare solo per godere dei loro sapori.
Ero un piccolo grande uomo, o quanto meno, questo era ciò che sostenevano i miei genitori, soprattutto mio padre che aveva descritto più volte il destino che mi attendeva: lui era convinto delle mie abilità nell'arte, per cui avrebbe voluto che frequentassi l'accademia per diventare un giorno un grande Artista. Mia madre, invece, mi aveva sempre lasciato carta bianca.
In realtà ero consapevole delle mie doti nel disegno, soprattutto nei ritratti. Conservavo un quaderno che portavo sempre con me, soprattutto nei tragitti per andare a scuola, e durante il viaggio mi piaceva ritrarre i visi delle persone che incontravo.
Ero dell'idea che i volti fossero un biglietto da visita per capire i sentimenti di una persona, gli stati d'animo e gli umori. Una bocca differente, gli occhi che parlano, il loro colore, uno zigomo più marcato, una ruga più evidente, un naso all'insù, erano tutti dettagli che osservavo sempre, e mi piaceva.
Mi piaceva osservare, scrutare, soffermarmi sulle caratteristiche di chi incontravo.
Essere diversi ci rende unici e l'unicità è un tesoro di cui dovremmo prenderci cura ogni giorno.
Il disegno mi calmava, mi assecondava, muoveva i fili di una realtà nuova, quella in cui non venivo giudicato per il mio aspetto fisico o per il mio carattere estremamente chiuso. Il disegno mi permetteva di sfogare la mia rabbia, le mie paure e le mie giornate no. Il disegno mi allontanava dai miei nemici, da chi non credeva in me e anche dai litigi dei miei genitori che erano sempre più frequenti ma che cercavo di ignorare.
«Avanti, esprimi un desiderio tesoro», disse mia madre mentre porse la torta sul tavolo, proprio di fronte a me.
Eravamo in pochi: c'erano i miei genitori, i miei cugini, i miei nonni e una cara amica di mia madre con sua figlia. In realtà non sapevo chi fosse, sapevo solo che Delia condivideva tutto con lei. Parlavano ore e ore al telefono, cosa che notai infastidiva parecchio mio padre, forse per gelosia o chissà, forse temeva che mia madre parlasse troppo.
Ma, d'altronde, chi lo capisce l'amore? Non faceva per me.
Iniziarono tutti a cantare e questo mi mise parecchio a disagio. Insomma, era tutto così imbarazzante che volevo solo sprofondare nei miei disegni e nella mia camera. Volevo fuggire da quel disagio e rifugiarmi nel mio mondo.
La bambina di Delia mi guardò, forse aveva cinque o sei anni in meno di me, ma mantenne a lungo i suoi occhi nei miei. Non sapevo neanche il suo nome, eppure, si accodò al resto degli invitati nel cantarmi tanti auguri.
Odiavo terribilmente quel momento, ma soprattutto odiavo gli occhi fissi su di me, soprattutto di estranei. Dovevo guardarli solo io, dovevo soffermarmi io sui loro tratti e non loro. Ero io l'artista e loro solo dei volti che sarebbero finiti nei miei quaderni. Anche il viso di quella bambina.
Mi chinai e soffiai le quindici candeline che mia madre posizionò ordinatamente sulla torta. Era patita per l'estetica dei suoi dolci e dovevano essere perfetti prima di presentarli agli invitati.
«Posso sedermi ora?» Domandai seccato dagli applausi che si susseguirono dopo lo spegnimento delle candeline.
Mia madre annuì felice e si recò in cucina per tagliare la torta. Io mi sedetti a capotavola e afferrai il cellulare, che mi vibrò tra le mani.

Cole Anderson: buon compleanno Sfigatello del quartiere di Boston. Perché non mi hai invitato alla tua festa? Avevo voglia di spassarmela con quella Milf di tua madre...

Strinsi un pugno. Cole Anderson era uno stronzo e sfortunatamente il mio compagno di classe che insieme al suo gruppo di amici si divertiva a deridermi perché per loro ero "diverso". In realtà ero solo chiuso in me stesso, introverso e non amavo i rapporti sociali.
Ebbi anche la sfortuna di avere una madre che non solo, per me, era premurosa, dolce e gentile ma anche una bella donna. Faceva la professoressa di Filosofia e Letteratura Inglese nel liceo che frequentavo e veniva spesso guardata, non solo dagli insegnanti ma anche dai miei stessi compagni.
Mi domandavo spesso se mio padre sapesse di quegli sguardi, di quelle attenzioni in più nel corridoio della scuola e se e quanto fosse geloso di mia madre. Pensai anche che quei litigi fossero dettati proprio da quelle situazioni scomode.

The Silence of a PromiseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora