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Derek

"Altri pittori dipingono un ponte, una casa, una barca...io voglio dipingere l'aria che circonda il ponte, la casa, la barca, la bellezza della luce in cui esistono."
Claude Monet


Guardai attentamente il ritratto davanti a me e posai il pennello. Poi spostai lo sguardo verso quel bimbo, che, mi guardava rilassato nel carrozzino mentre succhiava un po' di latte dal biberon.
Si chiamava Nolan ed era uno dei bimbi più carini che avessi mai visto, oltre che tranquillo.
Troppo tranquillo.
Mi ha permesso di finire il ritratto in quattro ore, e per me era un tempo record. Di solito impiegavo molto più tempo, infatti non ha mai distolto lo sguardo dalla tela d'innanzi a lui.
Non amavo disegnare e dipingere volti di bambini, specialmente se neonati.
Erano troppo puri per la mia persona. Per la mia anima e per le mie mani sporche e tenebrose.
Disegnarli mi stancava mentalmente, perché dovevo concentrarmi per far uscire fuori la gentilezza, la dolcezza, la purezza del mio animo, cose che non mi appartenevano più ormai da tempo. Senza quelle non sarei riuscito a buttar giù niente su quella tela.
Mi sforzai terribilmente, di fatto, i miei occhi parlavano per me. Mi sentivo stanco ma soddisfatto.
«Direi che abbiamo terminato.» Mi alzai dallo sgabello e feci cenno alla madre di guardare il mio capolavoro.
Se c'era una cosa di cui mi vantavo parecchio, oltre al sesso, erano proprio le mie mani e come, sinuose, erano in grado di muoversi egregiamente non solo sulle donne, ma anche sulle tele.
Le mie doti artistiche erano impeccabili, e lo sapevo bene.
«Wow... È stupendo Sig. Moore.» I suoi occhi alla vista del ritratto di suo figlio divennero lucidi, e stava quasi sul punto di piangere. «Lo esporrò sicuramente qui», disse entusiasta indicando un angolo libero nel salone, proprio di fianco alla tv.
«Sono contento che le piaccia.» Abbozzai un cenno con la testa, curvai leggermente un lato del labbro e poi rimisi il cappotto.
La signora mi lasciò sul tavolo il compenso per il mio lavoro, e prima di andarmene, riguardai il bimbo e poi la mia opera ancora un'ultima volta.
I lineamenti del viso del piccolo Nolan erano dettagliati e profondi. Cercai di rispettare le singole sfumature dei colori del suo viso, disegnai perfino la sottile peluria sulla sua fronte e le leggere irritazioni rosee all'angolo delle sue labbra.
Era uno dei visi più puri e angelici che io abbia mai disegnato fino a quel momento. I suoi occhietti azzurri furono la cosa che preferii più dipingere, proprio perché mi ricordavano il cielo, il mare, l'oceano, tutto ciò che amavo osservare fin da piccolino con mia madre.
Agitai il capo prima a destra e poi a sinistra, lasciando che quei ricordi morissero lì, proprio dentro di me, com'era giusto che fosse.
La signora mi scortò alla porta e allungò la mano per salutarmi. Io la osservai: i miei occhi puntarono sul suo viso, pieno di rughe. Aveva gli occhi stanchi, con qualche occhiaia. Mi tese la mano, ancora, non sottraendola anche quando si rese conto che non avevo alcun'intenzione di stringerla.
Ci guardammo per cinque lunghissimi secondi e potevo avvertire il suo imbarazzo galleggiare nell'aria. Decisi di interrompere quell'inutile scambio di sguardi, complice Nolan che cominciò a piangere.
«Buona giornata», affermai austero. Lei abbozzò un sorriso flebile e poi richiuse la porta alle sue spalle.
Mi diressi verso il mio BMW, aprii subito l'auto e mi misi seduto al posto del guidatore. Poggiai il capo sul poggiatesta del sedile ed entrambe le mani sul volante. Chiusi per un attimo gli occhi: il mal di testa mi stava uccidendo.
Quel ritratto mi prosciugò.
Sospirai e cominciai a respirare velocemente, alzando e abbassando le spalle. Mi sentivo come se mi avessero calpestato, ancora. Non riuscivo a capire cosa stessi provando in quel momento, ma sapevo solo che la vista di quel bimbo indifeso, puro e lontano da ogni cattiveria, mi aveva scosso.
Era come se il mio cervello fosse stato messo in stand-by a lungo e oggi si fosse riacceso.
Tutto per quel bambino.
Tolsi le mani dal volante e mi stropicciai il viso. Lo sfregai velocemente, come se volessi mandare via i pensieri.
Cazzo, riprenditi Derek.
Riaprii gli occhi, sbuffai e accesi il quadro. Partii in fretta, lasciandomi quelle quattro ore alle spalle. Dovevo distrarmi e cercare di dimenticare il viso di Nolan.
Avrei voluto che crescesse in un mondo migliore, lontano dai guai e dai mostri. Lontano dalla sofferenza e lontano da qualsiasi forma d'odio.
Non sapevo se sarebbe stato la vittima o il carnefice.
E questo mi mandava terribilmente fuori di testa.
Cercai di allontanarmi da quell'abitazione il più veloce possibile. Era raro che io mi recassi nelle case altrui per fare un disegno o un dipinto, di solito la gente si recavano nel mio studio. Ma dato che non volevo odore di bambini nella mia stanza, tanto meno ne gradivo la presenza, feci un'eccezione.
Qualche minuto dopo, sullo schermo touch della mia auto apparse una chiamata in arrivo e il nome era quello del "Sig. Thompson" che era il proprietario e il capo della struttura per cui lavoravo.
In realtà non ero solo un'artista che lavorava per il privato, ma ero anche il braccio destro del mio capo. L'azienda mi permise di dare corpo, anima e una voce ai miei disegni. Grazie a lei, sono riuscito a dar luce alle mie opere e a partecipare a diverse mostre.
Sono diventato un'artista molto rinomato nella città di Brooklyn, ma non solo. Ero rinomato anche in altri posti, e diversi disegni furono venduti addirittura fuori paese.
Pigiai il tasto verde sullo schermo, rispondendo alla chiamata. «Signore», dissi mentre scalai la marcia per fermarmi a un semaforo.
«Derek Moore, oggi è il tuo giorno fortunato.» La sua voce acuta e cristallina riecheggiò in tutto l'abitacolo.
«Per quale motivo, signore?» Domandai turbato.
«Ricordi il progetto di stage di cui ti parlai tempo fa?»
Ancora con quella stronzata.
«Sì, lo ricordo.» Ingranai la marcia e svoltai a destra non appena il semaforo mi diede luce verde.
«Ho una persona da presentarti. Devi essere qui entro venti minuti.»
Cosa?
«Oggi non presto servizio in azienda, sig. Thompson, credo che ci sia uno sbaglio», affermai e mi dovetti ancora bloccare davanti a un semaforo.
«I programmi sono cambiati, ti aspetto.» Riattaccò.
Fanculo.
Cosa diavolo aveva in mente?

Derek Moore: Perdonami Coach, ma non posso più sostituirti oggi. Il mio capo mi ha chiamato. Cristo. Riesci a risolvere?

The Silence of a PromiseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora