Victoria
"Siamo solamente pedine su una scacchiera che si muovono secondo una strategia.E se la tua strategia è entrare nella mia testa, ti prego, fermati."Victoria Brown
Chiusa e nascosta in un armadio.
Mi mancava l'aria.
Mi tappai la bocca per cercare di non fare rumore, mentre le goccioline di sudore accarezzavano le mie tempie.
Avevo le ginocchia strette al petto e mi facevano male, perché per nascondermi il più velocemente possibile caddi.
Non sapevo se sarebbe bastato, perché sentivo sempre più vicina la voce e alle calcagna i passi di mio padre.
«Dov'è la mia piccola Vic?» Strascicava le parole mentre le pronunciava e molto probabilmente perché era ubriaco marcio.
Riuscivo a sentire il suo alito di alcol anche chiusa dentro l'armadio.
«Piccola Vic?»
Ancora quel mignolo, ancora quella voce.
Era proprio un cattivo delle favole...
«Perché ti nascondi da tuo padre?»
Sentii la porta della camera aprirsi e il gelo si impossessò del mio corpo. Cominciai a sudare freddo e a tremare dalla paura.
Ero solo una bambina, non mi avrebbe mai fatto del male.
«Per caso quella puttana di tua madre ha parlato male di me?»
I suoi passi si fecero sempre più vicini, fino a quando non aprii l'anta dell'armadio e mi trovò.
Sorrise beffardo e allungò una mano.
«Non ti farò del male.»
Io lo guardai e i singhiozzi strozzavano il mio respiro... Non riuscivo più a controllarli.
Non volevo piangere.
Ma era più forte di me.
«Coraggio», disse con i suoi occhi rossi come il fuoco.
Mi afferrò per il braccio quando capì il mio no e mi tirò fuori dall'armadio trascinandomi per il braccio via dalla mia camera.
«Ti prego, papà...» Sussurrai tra una lacrima e un'altra mentre tentavo disperatamente di sottrarmi alla sua presa imponente.
A quella parola, papà, si bloccò e mi prese in braccio.
«Ora devi dire questa dannata parola di fronte a tua madre.» Ordinò e scese velocemente le scale tenendomi in braccio mentre mi tremava il labbro per la paura.
Mia madre era seduta sul divano con la testa poggiata su un cuscino e il viso sfregiato. Era macchiata di sangue, aveva il naso rotto e il labbro superiore gonfio.
Mamma...
Mi fece scendere e mi prese di nuovo dal braccio, ponendomi di fronte a lei.
«Dillo.»
«Io giuro che ti denuncio...»
La voce debole e flebile di mia madre mi fece rabbrividire.
«Se non guardi dove metti i piedi cosa pretendi da me, eh?» Le rispose lui, mentre mi stringeva il braccio.
Mia madre lo guardò con disprezzo, come se fosse un mostro e un essere spregevole.
«Allora Victoria, dillo, maledizione.»
Io restai immobile a fissarla, quasi non la riconoscevo più.
Era davvero caduta?
«Parla Victoria!» Esclamò mio padre strillando e strattonandomi ancora di più il braccio. «Chi cazzo sono io per te?» Domandò furioso.
«Tu sei...»
«Papà!» Esclamai, svegliandomi di soprassalto. Ero fradicia di sudore e avevo il respiro affannato. Mi sollevai con la schiena e quasi non gridai per lo spavento di quel brutto incubo.
Sempre lo stesso sogno, sempre le stesse medesime sensazioni.
E sempre il mio cuore puntualmente sparato da un proiettile che portava il nome di Senso Di Colpa.
Davanti a me c'era un camino acceso col fuoco che scoppiettava e che mi dava calore.
Ma dove sono?
«Ehi, Bocciolo.»
Quando sollevai lo sguardo, notai la figura di Derek Moore seduta al bordo del divano dov'ero stesa.
«Che cosa... Ma che ora è?» Domandai intontita.
Mi girai col busto mettendomi completamente seduta.
«Sono le ventuno di sera e ti sei addormentata.»
Cosa?
Lo guardai scioccata schiudendo la bocca e poi mi resi conto che avevo appena sonnecchiato sul divano del mio tutor.
Maledizione.
Sperai di non aver parlato nel sonno, anzi, pregai Dio di non averlo fatto.
Mi guardai attorno e misi una mano sulla fronte, ancora grondante di sudore.
«Dio santo, mi dispiace», dissi mortificata, passandomi una mano tra i capelli e notando che non avevo più la coda.
«Credo che hai fatto un brutto sogno.» Spostò una ciocca di capelli dietro il mio orecchio e poi afferrò da un tavolino vicino a noi una tazza fumante. «Tieni, ti farà bene per calmare i nervi.»
Derek Moore gentile? Questa è una novità.
Nonostante il bel gesto, mantenne sempre quel tono autoritario e ordinario di sempre.
«Grazie», mormorai reggendola con entrambe le mani e poi ci soffiai appena.
Iniziai a bere dalla tazza fumante fino a quando lui non mi lesse nel pensiero: come mi sono ritrovata a dormire nel suo divano?
«Dopo che avevamo quasi terminato l'ultimo quadro, ho ricevuto una telefonata di lavoro e sono uscito dallo studio, e, al mio rientro ti ho trovata rannicchiata sulla poltrona.» Mantenne il suo sguardo in direzione dei miei occhi ancora assonnati.
Stavo quasi per affogarmi e buttai giù il sorso, per poi fare due colpetti di tosse.
Oh. Mio. Dio.
Volevo solo sotterrarmi.
«E che cosa hai fatto?» Deglutii.
«Ti ho portata sul divano in modo tale che dormissi meglio.»
Okay...
«E come lo hai fatto?»
Oh, che domanda stupida.
«Vuoi sapere come ti ho trasportata dal mio studio al salone, Victoria?» Domandò con una nota ironica nella sua voce.
Arrossii in viso, mi sentivo scottare per l'imbarazzo, o forse era solamente il fuoco del camino a bruciarmi.
Poi annuii, perché non sapevo minimamente come uscirmene.
«Ti ho presa tra le braccia, ti ho portata qui, ti ho messo una coperta e ti ho acceso il camino. Sei contenta?»
Mi morsi il labbro mangiucchiandomelo e sperando di non averlo dato a vedere.
Ha fatto davvero tutte quelle cose per me?
Afferrai un lembo della coperta che prima era completamente stesa sul mio corpo e notai quanto fosse morbida al tatto.
Aveva un profumo buonissimo.
«Perché non mi hai svegliata?»
Lui restò a guardarmi per un tempo indefinito, per poi spostare lo sguardo verso lo scoppiettio del fuoco.
Sembrava pensieroso in realtà, ma cercò di non darlo a vedere.
I suoi occhi castani luccicavano al contatto con la luce del fuoco, mentre lo fissavano con ardore e fermezza. «Meritavi un po' di riposo.» Si limitò a dire per poi afferrare il suo pacchetto di sigarette e sfilarsene una.
Se l'accese reggendola poi con l'indice e il medio della mano in cui indossava i suoi soliti anelli d'acciaio.
Per quanto lo detestassi, Derek Moore, lì, mentre meditava e osservava quel camino era una visione tenebrosa ma al contempo così tremendamente appagante.
Il suo accenno di barba che contornava il viso, illuminato da quella luce fioca, e quel maglione che risaltava i suoi bicipiti e tricipiti, fecero sì che i miei occhi rimanessero incollati alla sua figura.
Ma dovevo ricordare a me stessa chi fosse: era lo stesso che aveva trattato male la mia migliore amica; era lo stesso che non sopportavo per i suoi modi burberi e arroganti.
Era la stessa persona che un attimo prima non sopportavo e un attimo dopo me la ritrovavo attaccata al mio corpo... e che, be', non volevo che si allontanasse più.
Moore era quella tipica persona che i tuoi genitori ti raccomandano di non frequentare, perché possono portarti sulla cattiva strada.
Ma non sapevo perché avessi la sensazione che molto probabilmente l'avrei intrapresa a breve.
Ma no, no, no.
Dovevo essere più forte delle sue inutili provocazioni.
La sua instabilità caratteriale mi mandava fortemente in confusione: in quel momento, in un certo senso, si era preso cura di me.
Non ricordavo da quanto tempo una persona non lo facesse, specialmente da quando mia mamma...
Me la sono sempre vista da sola per tutto: quando avevo la febbre e stavo male oppure quando facevo incubi su incubi che non mi facevano dormire.
Mi sono cullata da sola, tra le mie stesse braccia.
Neanche Luke aveva mai...
Cazzo!
Luke.
«Dov'è il mio cellulare?» Tastai il divano fino a quando non lo ritrovai incastrato in una delle fessure. «Cavolo...», parlai tra me e me a voce alta sbloccando il mio phone.
«Tranquilla Fiorellino, il tuo fidanzato non ti ha scritto per tutto questo tempo.»
Effettivamente era vero, non avevo ricevuto nessuna chiamata o messaggio da parte sua.
E fu veramente strano, perché di solito mi chiedeva sempre dove io fossi o cosa stessi facendo.
«Grazie Derek», gli dissi poggiando la tazza su quel tavolino di fianco a noi. «Ma adesso devo andare, devo tornare a casa.»
Spostai la coperta e quando mi mossi per alzarmi, lui mi afferrò il braccio impedendo di muovermi. Sollevai lo sguardo sul suo, mentre era intento a spegnere la sigaretta nel posacenere.
«Tu non vai da nessuna parte così. Ti prenderai un accidente.»
Era incredibile: Derek Moore vacillava tra egocentrismo e arroganza, ma poi, a tratti, sembrava l'uomo più protettivo del mondo, anche se in realtà non eravamo nulla.
Assolutamente niente.
Eppure, quel pomeriggio, il suo corpo possente e la sua bocca traditrice come il Diavolo, mi avevano chiusa in una bolla.
Non so se avesse voluto realmente baciarmi o le sue erano solo delle stupide provocazioni. Ma diamine se pendevo dalle sue labbra. Ed era il male peggiore, perché non riusciva ad essermi indifferente.
«E quindi? Cosa dovrei fare? Devo tornare a casa.»
«Ti concedo il lusso di usare il mio bagno e farti una doccia. Poi ti accompagnerò io.»
Sbiancai all'improvviso e sgranai gli occhi per la sua affermazione così diretta.
Che?
«Per me è troppo.»
«Non costringermi ad usare le maniere forti. Niente di ciò che dico è un consiglio.»
Eccolo di nuovo: il suo alter ego che parlava per lui.
«Non puoi dirmi anche quando devo fare una doccia, maledizione! Adesso tornerò a ca...»
Non faccio in tempo a terminare la frase che lui si avvicinò a me e mi prese come un sacco di patate. Le sue braccia muscolose si aggrapparono alla mia schiena tenendomi ferma.
«Che cosa diamine stai facendo?!» Squittii.
«Quando imparerai che non scherzo, Fiorellino?»
Tenendomi sulla spalla sinistra, salì alcune scale che sicuramente avrebbero condotto verso il bagno.
In realtà, da quando entrai per la prima volta in casa sua, l'unica cosa che riuscii a vedere era quel grande finestrone che dava la vista nella città di Brooklyn con quel panorama mozzafiato e il suo studio.
Non mi sono mai soffermata sulla restante parte della casa, e devo dire, che era alquanto bellissima.
Derek Moore non era solo una persona tenebrosa dentro, ma lo dimostrò anche nella sua stessa abitazione: le mura avevano una pitturazione scura, c'erano diversi quadri attaccati a tutte le pareti, le luci erano fioche e quasi inesistenti.
«Per favore lasciami!»
Tirai dei deboli pugni sulla sua schiena mentre cercavo di dimenarmi con le gambe, ma le sue braccia erano più forti e me le tenevano strette e chiuse, stringendomele con violenza.
I miei occhi si posarono, indirettamente, anche sui suoi glutei. Il jeans così aderente gli metteva in risalto le forme, e non riuscii a non far caso a quanto sembrasse scolpito dagli Dei.
Stavo arrossendo di nuovo.
«Ma che Fiorellino capriccioso. Siamo quasi arrivati», disse con tono dispotico.
Giungemmo in un corridoio che era caratterizzato da dei muri pittati di un grigio scuro, diversi specchi con delle cornici dorate e diverse porte.
Forse avevamo sorpassato una decina di camere.
Mi fece scendere e posai piano i piedi sul pavimento.
«Questo è il bagno di servizio», affermò entrandoci e accendendo la luce.
Wow.
Aveva una vasca da bagno enorme e di fianco una doccia altrettanto grande. Le mura erano sempre grigiastre, con un parquet scuro e le luci a led calde.
Se quello era il bagno di servizio, non osai immaginare il bagno in suite.
«Puoi usare queste», disse e mi lasciò degli asciugamani su un mobiletto nero lucido.
«Derek...»
«Aspettami qui.»
Sorpassò la mia figura, uscendo dal bagno. Mi avvicinai alla porta d'entrata, e notai che si diresse verso un'altra porta che era distante due stanze dal bagno.
Si chinò e da una madia posta in una sorta disimpegno che lo separava dalla porta principale, notai che la aprii e afferrò un mazzetto di chiavi.
Potetti sentire il tintinnio della chiave e la serratura di quella porta aprirsi.
Ma non riuscii a vedere altro.
Dopo un paio di minuti tornò con dei vestiti puliti fra le mani.
«Dovrebbero essere della tua taglia.»
Me li sistemò sul lavandino: era un maglioncino bianco e un pantalone nero a sigaretta.
Mi domandai di chi fossero quei vestiti, se di una qualche pseudo fidanzata o di qualcuna che portava in casa solo per... Dio, non volevo neanche pensarci.
«Di chi sono? Se appartengono a qualcuna delle tue donne, io non li voglio...»
«Di nessuno che ti riguardi, mocciosa.»
Mi sorpassò di nuovo e aprii il getto dell'acqua della doccia, chiudendo le porte in vetro.
Ma perché sta facendo tutto questo?
Quella domanda mi balenava nel cervello da quando mi svegliai. Si diresse verso la porta di uscita, ma la mia voce lo fermò.
«Non capisco perché lo fai.»
Incrociai le braccia, mentre il fruscio dell'acqua ci faceva compagnia. E nonostante quel rumore, sentivo i suoi sospiri forti e pesanti.
Dalla doccia iniziò a uscire un po' di fumo e pian piano il vetro posto al di sopra del mobile col lavandino si appannò.
Si girò verso di me e rimase a guardarmi con quegli occhi che lasciavano trasparire solo odio, nubi e oscurità.
«Non lo faccio per gentilezza.»
Fece qualche passo verso di me, mentre io cercai di rimanere composta poggiandomi col fondo schiena al bordo del lavandino.
«E allora perché?»
«Perché mi servi.»
Si avvicinò ancora e poggiò entrambe le mani ai bordi del lavandino, chinandosi alla mia altezza per guardarmi.
«A cosa dovrei servirti?»
Sghignazzò.
«Ancora non l'hai capito che tra di noi c'è solamente un rapporto per tornaconto? Tu mi servi per il lavoro in azienda, per la mostra e per fare buona figura col nostro capo.»
Per un momento mi illusi sul serio che in cuor suo fosse davvero gentile e che mi avesse mostrato un lato che magari non aveva mai dato modo di vedere a nessuno.
Ma era così.
Eravamo solo pedine che si muovevano su una scacchiera.
E niente di più.
«Fatti una doccia, poi ti accompagnerò a casa.»
Il vapore mi stava letteralmente mangiando quel poco di ossigeno che mi rimaneva ogni qualvolta che lui si avvicinava a me.
Ed eravamo di nuovo così vicini che si stava totalmente esaurendo.
«Non serve. Chiamo un taxi.»
«Fai la brava, Bocciolo. Sto cercando di mantenere la pazienza con te, ma non so per quanto ne avrò, ancora.»
Cercai di scacciare ogni probabile insulto che si muoveva audace nella mia bocca e che era lì per lì per uscire fuori.
Si distaccò dal mio corpo, per poi uscire fuori e chiudere la porta alle sue spalle. Chiusi gli occhi e posai una mano sul petto, respirando con affanno.
L'effetto che mi provocava il suo corpo ogni volta che l'avvicinava era pari a un uragano.
E sapevo che mi avrebbe distrutto se non l'avessi fermato.
Okay.
Mi tolsi i vestiti frettolosamente e mi raccolsi i capelli in uno chignon indecente. Dopo di che tolsi le scarpe, i calzini e aprii le porte della doccia, che forse, aveva la stessa area della mia camera da letto.
Ci entrai dentro e mi lasciai cullare dall'acqua calda, fin troppo calda.
Era bollente.
Quasi mi scottai la pelle per quanto fosse a temperatura elevata e spostai leggermente la levetta per far sì che uscisse quanto meno tiepida.
Afferrai un bagno schiuma riposto su un davanzale di fronte a me e me ne versai un po' sul palmo della mano.
Era lo stesso profumo che sentivo sulla sua pelle.
Buono, dolce, fruttato.
Quel profumo che aveva assuefatto ormai le mie narici.
Me lo passai su tutto il corpo, chiudendo di nuovo gli occhi.
L'idea di avere il suo profumo addosso, aumentava il desiderio di averlo tutti i giorni, anche se sapevo benissimo che dovevo allontanare quei pensieri così sbagliati dalla mia testa e soprattutto dalla mia anima.
Sì perché io avevo Luke.
In fin dei conti con Derek Moore non avevo nulla in comune, se non la passione per la pittura e un destino che ci ha fatti incontrare.
Invece Luke mi conosceva da tempo e sapeva un po' della mia storia. Ma ero anche consapevole che l'artefice della sua sofferenza fossi io, visto che lui cercava in tutti i modi di ricominciare da zero.
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The Silence of a Promise
RomanceHo fatto un gioco con un Piccolo Bocciolo di Margherita. La bambina mi ha promesso di non parlare. E se avesse parlato, le avrei staccato i suoi petali e le avrei fatto male. Proprio come hanno fatto con me. Ho fatto una promessa. Non ricordo ben...