Victoria
"Ammiro la saggezza delle stelle, che conoscono il segreto della giusta distanza perché l'attrazione non diventi scontro ed esplosione cosmica."
Fabrizio Caramagna
Non vidi più Derek Moore quella mattina, da quando si recò nello studio di Thompson.
A lavoro finito rincasai nel tardo pomeriggio, ma mi portai qualche documento a casa, per concludere le ultime telefonate che mi restavano.
Sono sempre stata una persona precisa, studiosa, diligente ed esigente con sé stessa in fatto di studio e di lavoro. Non riuscivo a lasciare i progetti a metà, dovevo per forza finire tutto per tempo.
Questo mio lato mi tolse molto tempo libero fin da adolescente, quando tante volte rifiutai le uscite con i miei amici perché dovevo concentrarmi.
Era anche una scusa per dire di no alle prime avance di Luke Holland quando tentava di conquistarmi o un modo per bidonare Alexa, la mia migliore amica, che amava andare alle feste e sballarsi.
«Com'è andato il primo giorno in azienda?» Luke mi massaggiò le spalle, mentre io ero seduta comoda alla mia scrivania mentre compilavo carte.
«Bene, c'è un bel po' di lavoro da fare, ma, sono tutti cordiali.»
Be' tutti proprio no...
Smettila di parlare, insinuai alla vocina nella mia testa.
«Volevo scusarmi per l'altra sera, Vic.» Mi disse Luke mentre premeva a fondo le sue dita sulla mia pelle. «Non ci ho visto più quando ti ho vista con quel tipo», sospirò.
«Era un amico di Alexa, si chiamava Elliot.» Scrollai le spalle cercando di evitare il suo contatto. Poi lui si inginocchiò di fianco a me e mi guardò negli occhi. «Perdonami.»
Chiusi gli occhi per un attimo cercando di rimettere insieme tutti gli eventi susseguitosi. «Luke, tu non cambierai mai.» Li riaprii e lui era ancora lì, a guardarmi. «Non ti fidi di me. Bevi. Ti ubriachi. Io... Non vedo futuro nella nostra storia.»
Cercai di alzarmi dalla sedia ma lui me lo impedì. «Che cosa stai dicendo?» Domandò, incredulo.
«Che forse sarebbe meglio finirla.» Poggiò le mani sulle mie cosce in modo da tenermi ferma.
«Victoria, non mi puoi lasciare. Io muoio senza di te», sussurrò e poi si aggrappò al mio viso. «Lo capisci?» Poggiai le mani sulle sue e abbassai la testa. «Dammi un'ultima possibilità.»
«Te ne ho date fin troppe», i miei occhi divennero lucidi ma cercai di trattenere la debolezza che avevo in corpo. «E cosa ho ottenuto da parte tua, Luke? Questo non è amore, è ossessione.»
«Non è vero. Io ti amo veramente e posso dimostrartelo.»
Sogghignai, riuscendo a distaccare le sue mani dalla mia pelle. «Cerchi di dimostrarmelo e finisce sempre che litighiamo. Tu ti arrabbi con me anche se ritardo di cinque minuti o se non ti rispondo al telefono. Ieri sera mi hai seguito nel locale e sei rimasto a guardarmi il tempo. Perché non riesci a fidarti di me? Cazzo...» Una lacrima mi rigò la guancia e me la asciugai subito.
«Io mi fido di te! Te lo giuro! Ma il mondo è così pieno di stronzi egoisti che possono portarti via da me...» Sbatté la mano sulla mia scrivania e sobbalzai per lo spavento.
Lui si allontanò facendo avanti e dietro in quelle quattro mura e si mise le mani nei capelli.
«Victoria ti avverto se mi lasci io combino il casino.» Sbottò, ma non si fermò.
Io mi alzai dalla sedia e mi misi alle sue spalle.
«Hai bisogno di aiuto.» Poggiai le mani su di esse.
«Ho bisogno di te.» Affermò, rude. «E tu non sei pronta per porre fine alla nostra storia.» Si girò e si calmò tutto un tratto.
«Non sai quello che provo.» Gli dissi, infastidita.
«Ma so cosa proveresti a vedermi morto per colpa tua.»
Spalancai gli occhi guardandolo esterrefatta.
Cosa stava insinuando? Che, se lo avessi lasciato si sarebbe ucciso? Era davvero quello che avrebbe fatto?
«Che cosa stai dicendo...» Si avvicinò al mio viso e mi accarezzò la guancia, umidiccia per la lacrima che mandai via subito.
«Che tu non puoi lasciarmi, perché se lo fai mi ammazzo.» Mi guardò con dolcezza, mentre le sue parole erano affilate come lame. «Dammi un'ultima possibilità. Non sopporterei di vederti con un'altra persona...»
Mi mise alle strette, con le spalle al muro e lo stomaco sottosopra.
«Ti rendi conto di quello che dici? Ti rendi conto di quanto tu sia malato?» Lui alzò l'altra mano come se da un momento all'altro mi volesse tirare uno schiaffo. Io chiusi gli occhi e mi misi le mani davanti al viso per proteggermi.
Ma deviò la traiettoria, così il suo bersaglio fu il mobile a fianco a noi.
«Cazzo.» Digrignò i denti.
Mi scoprii lentamente il viso e lasciai che le lacrime inondassero la mia faccia. «Io ti amo.» Disse poi e mi abbracciò forte.
Mi sentivo in gabbia, mi sentivo in trappola e reclusa.
Mi sentivo in dovere di rimanere con lui, nonostante fosse instabile.
Non riuscivo a trovare il coraggio di dirgli basta, perché sapevo che mi sarei sentita così fottutamente in colpa.
Mi sarei sentita una merda se lui avesse sofferto per colpa mia.
Luke è stato il primo amore della mia vita, ma sicuramente non il primo amore autentico.
Non lo consideravo tale.
Lo consideravo sbagliato.
Un amore così sbagliato da rendermi cieca.
Non pensavo che l'amore fosse così difficile, eppure, mia madre mi diceva sempre che fosse la cosa più bella che potesse capitarmi nel corso della vita.
Non ebbi un buon esempio in famiglia, non ebbi un buon esempio neanche con Luke.
Forse mia madre mi aveva sempre mentito, forse l'amore è solo sofferenza, dolore e sacrificio.
Ma sicuramente non era ciò che provavo per Luke.
Ma lui lo provava per me.
I suoi ti amo erano un pugno nello stomaco e un tuffo al cuore, perché non erano ricambiati. Ma fui costretta a metterci un altro mattone sopra.
Ma quanto poteva spingersi oltre? Quanto tempo sarebbe durata quella pila di mattoni?
Io, Victoria Brown, ero davvero destinata a vivere quella vita?
Un'altra cosa che diceva sempre mia madre era che qualsiasi cosa fosse destinata a noi, avrebbe avuto sempre un modo per trovarci.
Io ero davvero destinata a Luke?
Avrebbe sempre trovato il modo di trovarmi?
Non lo sapevo più.
Il mio laptop si illuminò, mostrando la notifica di un'e-mail. Sciolsi l'abbraccio e feci un sorriso di circostanza.
«Grazie.» Mormorò. Io non risposi e mi rimisi seduta.
L'email era da parte del Sig. Thompson e così mi venne in mente il suo invito a cena.
1 Notifica
Nuova e-mail da: Paul Thompson
Sono felice di inviarti le coordinate per la cena aziendale di sabato prossimo. 20, circa.
23 Water St
Brooklyn, New York 11201
Ti aspetto.
Buon lavoro,
Thompson.
«Hai la tua prima cena aziendale?» Mi domandò curioso Luke, il quale cambiò totalmente tono di voce, diventando più tranquillo e pacato.
«Sì», mormorai.
Cosa avrei dovuto fare, portarlo con me o andarci da sola? Quella domanda mi martellò il cervello. Non sapevo neanche se avesse riconosciuto Derek Moore.
Era pur vero che quel locale era oscuro, offuscato, e difficilmente si riuscivano a intravedere i volti. Per di più lui era anche ubriaco, quindi non ero totalmente sicura che si sarebbe ricordato di lui.
Se l'avessi portato con me l'avrei tenuto sotto controllo, e poi, forse, facendo la conoscenza di altre persone sarebbe riuscito a placare la sua gelosia. Al contempo Derek non avrebbe avuto modo di minacciarmi con le sue inutili frottole e parole, si sarebbe dato un contegno e avrebbe sorvolato sulla questione accaduta la notte scorsa, perché gli avrei dimostrato che fossimo una coppia stabile.
Anche se non era per niente così.
Ma avevo paura.
Avevo paura che nel momento in cui avesse fatto la conoscenza di Moore, si sarebbe ingelosito all'ennesima potenza, essendo più grande e terribilmente bello. Da togliere il fiato.
Nonostante questo, però, sapevo benissimo che non poteva impedirmi di continuare lo stage. L'avrei definitivamente lasciato, e avrei giurato fosse per sempre.
Ci riflettei parecchio, per poi arrivare ad una decisione.
«Ti va di venire con me?» Gli domandai tutto d'un fiato.
«Vuoi davvero che io venga?» Mi rispose con un'altra domanda.
Dopo la discussione di poco prima, sicuramente, non si aspettava da parte mia un invito così prematuro. «Se dobbiamo ricominciare, potremmo farlo da qui», dissi con un tono di voce titubante. «Se vuoi un'ultima possibilità, possiamo partire da una semplice cena aziendale. Conoscerai con chi lavoro», mi fermai un attimo e pregai Dio, se fosse esistito realmente, di non star facendo la scelta sbagliata. «Il mio tutor, il mio capo e alcuni dipendenti.»
«Accetto. Ti prometto che mi comporterò bene, Victoria. Ci tengo troppo a te e questa è un'occasione che non posso perdermi.» Mi baciò la guancia. «Vado a farmi una doccia, ti aspetto giù per la cena.» Mi disse entusiasta e poi si allontanò da me.
Richiuse la porta alle mie spalle e io tornai a respirare.
Victoria Brown:
Io e il mio fidanzato saremo felici di esserci.
Grazie per la preziosa opportunità.
A domani, Sig. Thompson.
Victoria Brown
Rimasi col dito sul mouse per qualche secondo. Fino all'ultimo fui indecisa se mandare l'e-mail o lasciar perdere e annullare tutto.
Ma poi la inviai.
Cliccai in maniera decisa sul tasto invio e abbassai subito lo schermo del computer.
Feci un sospiro profondo, poggiandomi allo schienale della mia sedia.
E se avessi fatto la scelta peggiore della mia vita?
E se Luke avesse riconosciuto Derek Moore?
Sperai che il grado di alcol nel suo corpo fosse talmente alto quella sera, da non dargli la lucidità di ricordarsi i lineamenti del suo viso.
Sentii una notifica provenire dal laptop che mi fece sussultare e alzare nuovamente lo schermo.
Nuova e-mail da: Derek Moore
Lo sai che hai preso una decisione sbagliata? Sei proprio un Bocciolo che ancora deve crescere.
Lessi velocemente l'e-mail e strinsi un pugno sulla scrivania.
Come faceva Derek Moore a sapere cosa avessi risposto a Thomson?
Victoria Brown:
E lei invece lo sa che la privacy non dovrebbe essere violata?
Scrissi velocemente e digitai immediatamente il tasto invio.
Derek Moore:
Quante cose devi ancora imparare, Fiorellino. Sono io che gestisco le e-mail del nostro capo. Sono io che ti ho mandato le coordinate e devo dire che non mi aspettavo la tua risposta.
Victoria Brown:
La smetta di immischiarsi nella mia vita. Come lei mi ha ordinato di non entrare nella sua, io le chiedo di fare lo stesso.
So quello che faccio.
Inviai la risposta soddisfatta.
Vediamo adesso come te la cavi, Moore.
Derek Moore:
Sai cosa sto immaginando in questo momento?
Mi morsi il labbro.
No, non volevo dargli la soddisfazione di ricevere una mia risposta.
Ma subito dopo arrivò un'altra e-mail.
Derek Moore:
Immagino esattamente te, seduta alla tua scrivania, che leggi con quegli occhioni verdi le mie e-mail e maledici il giorno in cui mi hai conosciuto...
Ti immagino con la tua solita mezza codina, vestita in maniera orribile, senza trucco, e con la pelle bordeaux perché arrossisci mentre leggi questo messaggio.
E devo ammettere, che è una visione incantevole.
Sentii il cuore battere più forte di ogni altra cosa, iniziai ad avvertire un po' di caldo e le guance andarmi a fuoco.
Perché questo uomo aveva così potere su di me?
Perché riusciva puntualmente a intimidirmi?
Cosa voleva ottenere?
Victoria Brown:
Questo non è un messaggio professionale, Derek Moore.
Ricorda il suo ruolo, e io farò lo stesso.
Enfatizzai l'ultima frase inviandogli una frecciatina.
Doveva capire che non era l'unico in grado di mettere a tacere le persone.
Derek Moore:
Una visione incantevole di un Fiore terribilmente sfacciato e impertinente. Vorrei averti qui solo per capire se ciò che hai scritto fossi in grado di ripeterlo dal vivo, con i miei occhi incollati ai tuoi.
Victoria Brown:
Non mancherà occasione per farlo.
Aveva ragione.
Molto probabilmente non avrei retto i suoi occhi.
E di una cosa mi resi conto: negli ultimi giorni non facevo altro che pensare a Derek Moore.
Non lo sopportavo, la sua vicinanza mi faceva perdere il senno e la sua insolenza alimentava la mia rabbia.
Però, era anche il mio Diavolo Tentatore.
Avrei mangiato anche la mela avvelenata se me l'avesse ordinato.
Quando mi guardava, il mio cuore perdeva un battito al secondo.
Quando mi prendeva il mento e i suoi anelli sfregavano sulla mia pelle, avvertivo delle scosse elettriche lungo la mia spina dorsale.
Quando il suo respiro si adagiava sul mio viso, mi inebriavo di una sensazione eccitante.
La mia mente, però, non andava d'accordo col mio cuore: più non lo sopportavo, più mi attirava.
Più mi provocava, più mi piaceva.
Più mi fronteggiava e più avvertivo il tremendo bisogno di averne di più.
Ma sapevo benissimo che dovevo allontanare il diavoletto sulla mia spalla e dare ascolto alla voce della mia coscienza.
Derek Moore era il mio Tutor e io dovevo rimanere nient'altro che la sua stagista.
Non ricevetti più risposta: da un lato ci rimasi male, ma dall'altro tirai un sospiro di sollievo.
Spensi immediatamente il laptop e ci poggiai le mani sopra.
«Stavo pensando», sentii la voce di Luke dall'altra parte della camera e mi fece sobbalzare. Mi alzai raggiungendolo nel bagno di servizio, entrai e lo vidi solo col pantalone e senza maglietta. Mi appoggiai allo stipite della porta e lo lasciai parlare. «A cosa ti manca di più da quando sei insieme a me...» I miei occhi si aprirono di più e scossi la testa. «Cosa intendi dire?»
«Voglio che stiamo bene Vic e l'unico modo che ho per non perderti è cambiare. Voglio che torni a fare qualcosa per te», si avvicinò a me e mi prese una mano. «Qualsiasi cosa», affermò e sembrava davvero sincero nelle sue parole e anche dispiaciuto.
«Vorrei...» Abbassai lo sguardo e sospirai. «Mi piacerebbe tornare in palestra.»
«Sarebbe un'idea fantastica.» Mi strinse ancora la mano. «C'è una palestra a Brooklyn molto rinomata. Domani vado ad iscriverti.»
«Dici sul serio?» Domandai, stupefatta.
«Mai stato così serio in vita mia. Voglio che tu stia bene...Voglio che torni a fidarti di me.» Poggiò le mani sulle mie guance e mi baciò la fronte, per poi scendere lungo le mie guance e dietro il mio orecchio. Mi morse il lobo mentre le sue mani scesero lungo il mio collo, dietro la schiena e sui miei glutei.
«Luke», bisbigliai.
«Non sai quanto sei importante per me», disse al mio orecchio e mi baciò il collo lentamente. «Sei destinata a essere nella mia vita, ora e per sempre», mi sbottonò la camicetta e mi baciò in mezzo ai seni.
Ansimai e mi poggiai al muro mordendomi le labbra, poi chiusi gli occhi mentre lui si inginocchiò davanti a me sbottonandomi i pantaloni.
Nella testa si palesò il viso di Derek Moore, proprio davanti a me. E mentre Luke era intento a spogliarmi e a baciare il mio addome, io pensavo a lui.
Lo immaginai inginocchiato ai miei piedi, le mie mani nei suoi capelli gelatinosi, la sua barba pizzicarmi l'interno cosce, il suo profumo attaccarsi alla mia pelle e le mani con quegli anelli scrutarmi ogni centimetro.
Luke non esisteva più.
Immaginai la sua bocca in mezzo alle mie gambe, la sua lingua farsi spazio dentro il mio corpo e le mie mani che poggiavano sulle sue spalle possenti e contratte.
Immaginai le sue braccia tatuate, i suoi respiri gutturali e rochi, la sua schiena muscolosa e il suo corpo che inglobava il mio.
Gemetti e buttai indietro il collo, lasciandomi invadere da quei pensieri.
«Oh, come sei presa Vic... Tutta bagnata solo per me.» Sentii la sua voce eccitata, mentre mi baciava il monte di Venere, avvicinandosi sempre più alle mie grandi labbra.
E no, non era la voce di Derek.
No, non erano le sue labbra.
Non era il suo profumo.
Non era la sua lingua.
Non era... Lui.
Riaprii gli occhi di scatto e chiusi le gambe.
Cazzo.
«Aspetta», gli dissi e mi alzai di nuovo gli slip. «Non credo di essere ancora pronta.» Lo sorpassai e poggiai le mani sul lavandino guardandomi allo specchio.
Sei una stronza. Mi burlò l'insulsa vocina nella mia testa.
Lui si mostrò infastidito, ma cercò di non darlo a vedere.
«Attenderò. Per te.» Si posizionò dietro la mia figura e mi baciò fra i capelli. Annuii curvando leggermente le labbra, mentre lui mi lanciò un'ultima occhiata per poi uscire dal bagno.
Mi guardai allo specchio e vidi solo il mio riflesso.
Un'idiota.
Aprii il getto d'acqua fredda e mi sciacquai la faccia più e più volte per dare un senso a quello che il mio cervello stesse cercando di dirmi.
Cosa mi stava succedendo? Odiavo quell'uomo e non lo sopportavo. Non sopportavo la sua vicinanza, non sopportavo i suoi modi di fare e non sopportavo il suo maschilismo. Non sopportavo la sua voce e il modo in cui mi guardava. Non sopportavo che mi trattasse come una ragazzina.
Non mi piaceva niente di lui.
Eppure, l'umidiccio in mezzo alle mie gambe dimostrava il contrario.
La mia testa aveva appena immaginato che lui me la stesse... Oh. Mio. Dio.
Volevo strapparmi dalla mente tutti i pensieri, accartocciargli e buttarli nell'immondizia.
Sei così incoerente, Vic.
Diamine taci.
Taci. Taci. Taci.
Derek Moore, perché sei entrato nella mia vita... Ma soprattutto, nella mia testa?
«Sig. Thompson», salutai il mio capo non appena entrai in azienda e lui mi ricambiò. Mi diressi velocemente verso l'ascensore e pigiai il tasto per portarlo al piano terra. Attesi picchiettando col tacchetto delle mie scarpe sul pavimento, e qualche secondo dopo le mie narici si inebriarono ancora di quel profumo.
Il profumo del mio Diavolo Tentatore.
«Buongiorno, Bocciolo.» Mi sussurrò affiancandomi.
Eccolo qui.
«Moore», gli dissi e nel mentre si aprirono le porte dell'ascensore. Mi precipitai subito dentro e cercai di mantenere il controllo di me stessa.
Derek mi seguì a ruota e pigiò il tasto del piano corrispondente. Le porte si richiusero e io alzai gli occhi al cielo, cercando di non farmi persuadere dal suo profumo inebriante e dall'agitazione che quell'uomo mi trasmetteva.
Lui rivolse a me il suo sguardo ma io non ricambiai.
«Sto aspettando», mi disse ma io non capii a cosa si stesse riferendo.
«Non capisco.» Risposi, rimanendo sulle mie e fissando le porte dell'ascensore.
Dovevamo salire al quindicesimo piano e stavamo ancora all'ottavo.
«Guardami negli occhi quando ti parlo.»
Sospirai. Mi leccai le labbra e poi gli rivolsi finalmente l'attenzione.
«Ti guardo.» Lui si avvicinò a me lentamente fino a quando non mi ritrovai con la schiena poggiata al muro e i suoi occhi che si incastravano perfettamente nei miei.
«Hai il coraggio di ripetere quello che mi hai scritto, Fiorellino?»
Spostai lo sguardo. Decimo piano.
Ne mancavano solo cinque.
«Il coraggio di dirle che non la sopporto? Sì, ce l'ho!» Risposi. «Non sopp...» Continuai a parlare ma d'improvviso l'ascensore si bloccò, le luci si spensero e se ne accese una più piccola, che supposi fosse quella di emergenza.
Lui si distaccò subito e iniziò ad allarmarsi.
«Credo che... diamine, è andata via la luce», dissi avvicinandomi alle porte.
«Maledizione!» Lui sferrò un pugno alla parete che mi fece sobbalzare. Poi iniziò a camminare avanti e dietro in quelle piccole quattro mura. «Cazzo, cazzo, cazzo» Continuò a battere i palmi delle sue mani alle porte dell'ascensore e si inginocchiò.
«Si sente bene?» Domandai allarmata.
«Io...» Sussurrò e iniziò a respirare affannatamente. Si allargò il colletto della camicia e si sedette sul pavimento. Guardò in alto e chiuse gli occhi, poggiandosi al muro. Continuò a respirare in maniera incontrollata, come se gli stesse mancando il fiato.
«Moore...» Mi inginocchiai vicino a lui. «Soffre di claustrofobia?»
«Odio gli spazi ristretti e chiusi», bisbigliò e la sua mano cominciò a tremare, come se stesse avendo un attacco di panico.
«Okay... Okay. Guardami», gli diedi del tu senza rendermi conto, ma in quel momento non mi curai dell'essere informale. Alzò lo sguardo su di me ma i suoi occhi erano assenti e molto probabilmente stava per svenire. «Va tutto bene, okay? Ci tireranno fuori di qui», lo guardai e titubante gli presi il viso fra le mani. «Rimani con me», dissi agitata e lui di riflesso poggiò la sua testa sulla mia spalla. Si accucciò letteralmente sotto l'incavo del mio collo e il suo respiro contro pelle mi fece rabbrividire.
Rimasi un attimo ferma, pietrificata, col cuore che ormai batteva a due mila.
Più volevo stargli lontana e più qualcosa me lo impediva.
E in quel momento esatto con la sua testa sotto il mio collo mi sentii così tremendamente vulnerabile.
Lo stomaco si contorceva ad ogni suo respiro su di me.
«Derek, sono qui, non chiudere gli occhi e rimani con me», porsi una mano sulla sua testa accarezzandogli i capelli e con l'altra gli tirai leggermente la cravatta allargandola.
«Aiuto!» Strillai sperando che qualcuno ci sentisse.
«Stiamo provvedendo! Ancora un attimo di pazienza!» Una voce dall'altra parte riecheggiò.
«Hai sentito? Tra poco ci libereranno! Non preoccuparti», affermai ma non ebbi risposta. «Derek?» Spostai la sua testa e spinsi il suo corpo contro il muro. «Derek maledizione svegliati», gli diedi dei colpetti sul viso sperando che si riprendesse.
«Non riesco a respirare», disse con un soffio di voce.
Entrai in ansia.
Ma dovevo fare qualcosa, non potevo aspettare.
Iniziai a sbottonargli la camicia, arrivai al secondo bottone con la mano tremante, ma lui tornò lucido. Mi bloccò il polso e tenne salda la presa. Strinsi i denti e lo guardai.
«Non ti azzardare.» Sbottò.
Mi ha fatto capire che va a letto con le segretarie e si scandalizza per un bottone?
«Riesci a essere insopportabile anche in questa situazione» Affermai stizzita.
Lui socchiuse gli occhi e si avvicinò al mio viso. «Niente mi può spegnere, neanche una stupida claustrofobia.» Mollò la presa e si alzò lentamente, poggiando una mano sulla parete per mantenersi. Le porte si riaprirono improvvisamente mostrandoci la luce.
«Derek, come stai?» Il primo ad avvicinarsi fu il nostro capo e poi un susseguirsi di dipendenti.
«Sto bene.» Si sistemò la cravatta, si abbottonò la camicia e andò via infastidito.
«Brown?»
Uscì dall'ascensore e misi le mani sui fianchi per poi trascinarmele lungo il pantalone. «Sto bene. Grazie.» Affermai con cordialità.
Ne sei sicura?
No.
Mi diressi verso il "mio" nuovo ufficio, proprio di fronte a quello di Derek Moore. Notai che lui non perse tempo e si sedette alla sua scrivania intento a scrivere al computer.
Lo spiai dalla vetrata e contemporaneamente mi toccai il collo, poi annusai la mia mano e allargai le narici sentendo il suo profumo.
«Se devi dirmi qualcosa entra, altrimenti comincia a lavorare.»
Sussultai, non mi aspettavo che riuscisse a vedermi.
«Non ho da dirle nulla.»
«E allora perché sei al capolino della porta e mi stai fissando?»
Senza rendermi conto avevo fatto dei passi in avanti e avevo invaso il suo spazio. Sospirai. «Okay», entrai chiudendo la porta. Poi mi diressi verso di lui con passo deciso come se dovessi prenderlo a pugni. «Come si sente?»
Lui non alzò gli occhi su di me e tanto meno mi degnò di uno sguardo. «Secondo te come sto?» Rispose, digitando ancora sul suo laptop.
«Come una persona che non sa dire grazie.»
Finalmente posò l'attenzione su di me e incrociò le braccia. «Per cosa dovrei ringraziarti, esattamente?»
Speravo che stesse scherzando.
«Forse perché l'ho aiutata?» Dissi esasperata. «Maledizione, stava per svenire.»
Lui batté un pugno sulla scrivania. «Ma non è successo.»
«Perché c'ero io.» Aggiunsi.
Derek Moore si alzò e mi venne incontro abbassando e alzando le spalle. Sembrava che stesse faticando a trattenere la rabbia.
Si posizionò proprio davanti a me, guardandomi dritto negli occhi. Sembrava che le sue iridi dovessero prendere fuoco da un momento all'altro.
«Io non ti devo niente», affermò austero. «Non sono tenuto a farlo.» Mi fronteggiò chinando la sua testa.
«E io non ero tenuta ad aiutarti, ma l'ho fatto perché ho una coscienza.»
«Allora dì alla tua stupidissima coscienza di starsi zitta. Come dovresti stare zitta tu.»
Dio, manca poco che gli tiro uno schiaffo.
«Io non sto zitta solo perché un uomo frustato mi dice di farlo.»
«Dovresti.» I nostri nasi si sfiorarono e i nostri occhi non smisero neanche un minuto di perseguitarsi a vicenda.
«Non ho paura di te.»
«Oh, dovresti averne. Sai cosa succede quando un bambino disobbedisce?» Le sue pupille si spostarono sulle mie labbra secche e screpolate.
Sentii una scossa pervadermi la schiena e arrivare sino al mio cuore. Le mie sinapsi neuronali facevano fatica a trasmettere gli impulsi correttamente ed era come se il mio cervello stesse andando a corto.
«Non lo voglio sapere.»
Ridicola.
Lo vuoi sapere eccome.
«Viene punito», passò le sue dita sul mio collo, sfiorando la mia pelle. Deglutii e in quel caso chi era a corto di fiato ero proprio io. «E sai come ti punirei se parlassi ancora senza il mio consenso?»
La sua bocca era così pericolosamente vicino alla mia, tanto da riuscire a sfiorare le mie labbra. Le sue dita continuavano a camminare lentamente sul mio collo e pensai che non ci fosse tortura peggiore di quella.
Cercai di allontanare il mio viso chinando il collo, perché l'ultima cosa che volevo era la sua vicinanza.
O meglio, tutto ciò che volevo evitare.
Perché il mio corpo non rispondeva come il mio cervello.
Il mio corpo era ormai privo di forze e volontà, ed era sottomesso al suo tocco, seppur leggero e insignificante.
Afferrò in un pugno i miei capelli e strinse la presa, riportando il mio viso attaccato al suo. Ansimai per il dolore, ma al contempo quella vicinanza pericolosa mi stava drogando.
«La smetta.» Piagnucolai come una bambina.
«Ti farei perdere la voce, Fiorellino. E la tua ultima parola sarebbe il mio nome. Urlando.»
Trattenni il fiato mentre lui mollò la presa dei miei capelli.
Non seppi cosa dire, non seppi cosa rispondere.
«Non si avvicini più a me.» Mi allontanai subito da lui.
«E allora tu sta zitta.»
Buttai giù l'ultimo briciolo di saliva che mi era rimasta, per poi aprire la porta e uscire immediatamente dal suo ufficio.
Entrai nel mio e mi ci barricai dentro. Mi misi di spalle alla porta e respirai con affanno.
Non ero sicura di niente nella mia vita.
Ero un'eterna insicura, quella era la verità.
Ma per la prima volta, di una cosa fui assolutamente certa.
Dovevo stargli alla larga.
SPAZIO AUTRICE
Ciao a tutte/i! Questo è il decimo capitolo della mia storia, che trovate anche su efp con il nick di: higracehall.
Sono presente anche su tiktok e instagram col nick: higracehall, in cui posto contenuti e altro per rimanere sempre in contatto con voi.
Spero che questo nuovo capitolo vi piaccia! Se vi va lasciatemi una stellina e un parere. :)
Un bacio!Grace Hall 🌼
STAI LEGGENDO
The Silence of a Promise
RomanceHo fatto un gioco con un Piccolo Bocciolo di Margherita. La bambina mi ha promesso di non parlare. E se avesse parlato, le avrei staccato i suoi petali e le avrei fatto male. Proprio come hanno fatto con me. Ho fatto una promessa. Non ricordo ben...