Victoria
"I desideri proibiti puoi ignorarli quanto ti pare ma restano sempre lì, in un angolo del tuo istinto, pronti a esplodere."
Fabrizio Caramagna
Incubi su incubi.
Male sul male.
Odio su odio.
Violenza su violenza.
Il mio cellulare squillava ininterrottamente ma non avevo né la forza né la voglia di rispondere a nessuno.
Ero accovacciata sul materasso, con le ginocchia al petto e un occhio dolorante. Ero senza vestiti, con i capelli disordinati, il labbro gonfio e col sangue incrostato agli angoli delle labbra. Sentivo l'occhio pulsare e non avevo neanche il coraggio di guardarmi allo specchio.
Le mie pupille avevano ancora la forza di piangere e di rigare le mie guance di lacrime dolorose.
I singhiozzi riecheggiavano in tutta la mia stanza, mentre pian piano il tempo scorreva in maniera inesorabile.
Non feci colazione, non pranzai e non mi mossi dal letto.
«Smettila di squillare, maledizione», sussurrai tra me e me, alzandomi col busto e tendendo la mano verso il comodino.
Lo afferrai e vidi dieci chiamate perse di Alexa.
Lasciami in pace...
Ed ecco che dopo qualche secondo il mio telefono riprese a suonare.
Okay.
«Alexa sto lavorando», sussurrai asciugandomi un'altra lacrima.
«Vic cazzo!!! Ma che fine hai fatto? Mi hai fatto spaventare da morire!» Strillò dall'altra parte della cornetta.
«Ero impegnata, mi dispiace», dissi tirando su col naso. «Devo lasciarti, ho da ultimare un disegno.»
«Sei sicura di stare bene, Vic? C'entra qualcosa Luke? Avete litigato?»
Sospirai mentre i miei occhi si fecero nuovamente lucidi.
Non riuscivo a trattenermi.
«Sono solo stanca.»
«Vengo subito da te!» Ribatté col suo tono di voce imponente.
«No!» Sbottai nervosa. «Dico sul serio, Alexa», tentai di calmarmi. «Io... Sono davvero messa male. Devo finire o mi licenzieranno ancor prima di firmare un contratto.»
«Amica mia...», mormorò arrendendosi al mio volere. «Lo sai che ti voglio bene.»
Mi asciugai ancora una lacrima.
«Anche io tesoro», cercai di prendere un respiro profondo. «Mi faccio sentire io, te lo prometto. Cerco di organizzarmi in settimana per vederci. Okay?»
«Richiamami più tardi.»
Riattaccai buttando il telefono sul letto.
Il freddo mi stava percorrendo tutto il corpo e dei brividi tappezzarono la mia pelle.
Forse avevo bisogno di un bagno caldo o di un antidolorifico.
Mi alzai dal letto alla ricerca del mio reggiseno e dei miei slip, ma appena misi piedi per terra, una serie di flashback si fecero strada nella mia testa: Luke che mi teneva ferma, su di me, che mi toccava e che mi spogliava con ferocia.
I suoi schiaffi, i suoi pugni e quella pillola che voleva farmi ingoiare a tutti i costi.
Poi il buio.
Aveva abusato di me.
Mi sono risvegliata nuda e col corpo vestito di lividi.
Perché mi hai fatto questo Luke?
E poi, ebbi il coraggio di guardarmi allo specchio: sui miei seni c'erano alcuni lividi e segni di morsi; il mio occhio era accerchiato da un ematoma ben evidente; il mio addome pieno di graffi e il mio interno coscia tappezzato da altri lividi.
Mi sentivo un mostro.
Ma anche una fallita e una povera ingenua.
«Sei solo una stupida», ripetei a me stessa. «Sei solo una stupida! Cazzo!», dissi a voce più alta. «Perché mi hai fatto questo? Perché?», domandai tra me e me poggiando una mano sullo specchio.
Iniziai a respirare affannosamente mettendomi una mano sul petto.
Il mio cuore era in fibrillazione e le mie gambe barcollavano.
Dov'è il mio inalatore?
«Dove sei? Dove sei?»
Cercai di raggiungere il mio comodino distante letteralmente due passi dal letto, strisciando i piedi sul pavimento.
«Ho... Ho bisogno di te», mormorai dispnoica. Aprii il cassetto velocemente e lo presi subito, per poi inginocchiarmi a terra.
Feci due spruzzi portandomi il beccuccio alla bocca. Poi poggiai la testa sul comodino e stesi il braccio verso il letto, stremata.
Ero stanca e mi sentivo totalmente vuota e priva di emozioni.
Non riuscivo a tenere gli occhi aperti e l'unica cosa che feci lucidamente per proteggermi dal freddo, fu tirarmi le coperte del letto per coprirmi.
Volevo solo chiudermi in casa e non sentire nessuno.
Forse stavo morendo.
E se così fosse stato, avrei pregato almeno di incontrare mia madre per poterla riabbracciare.
Mi sarei scusata con lei per non aver mantenuto la parola.
Sicuramente avrebbe capito.
L'amore ci rende vulnerabili e i sensi di colpa ci rendono ciechi.
Mi sono sempre attribuita le colpe di tutto.
E questo mi rendeva cieca di fronte ad una realtà beffarda.
Dovevo denunciare Luke, anche se non so se avessi mai avuto il coraggio di farlo.
Avevo paura.
Ma nel frattempo dovevo pensare a sopravvivere.
Se solo qualcuno mi avesse salvato...
Sentii la sveglia suonare.
Era passato un giorno.
Passai il fine settimana a dormire sul pavimento, poggiata al comodino con le lenzuola sul corpo.
Presi un lieve respiro e mi alzai lentamente alla ricerca di qualcosa da indossare.
Sentivo ancora il freddo nelle ossa, ma, stavo meglio.
Anche se dentro di me mi sentivo sporca.
Lasciai ricadere le lenzuola al suolo e presi i primi vestiti che trovai dentro l'armadio.
Mi diressi verso il bagno per farmi una doccia veloce, anche se non sarebbe bastata a togliermi il marcio che mi stava lentamente divorando.
Dopo essere uscita ed essermi data una sistemata ai capelli, che lasciai appositamente sciolti per coprire i segni sul collo, mi vestii.
Un pantalone nero a sigaretta, una camicia bianca di seta e un paio di mocassini neri.
Decisi di mettermi litri di fondotinta per cercare quanto meno di nascondere quel grosso ematoma che mi accerchiava l'occhio. Ma servì a poco perché l'ombra del livido comunque riusciva a intravedersi anche da sotto il trucco.
Per cui, optai per mettermi degli occhiali da sole.
Ancora leggermente dolorante, afferrai le chiavi della macchina e il cappotto, dirigendomi verso la porta d'entrata.
Ma quando arrivai allo stipite della porta, vidi una busta gialla sul pavimento: come se qualcuno l'avesse infilata nello spazio che divideva il pavimento dalla porta.
Mi chinai per raccogliere la busta e la aprii deglutendo.
All'interno c'era un foglio bianco con una scritta fatta di lettere ritagliate, molto probabilmente provenivano da un giornale e messe insieme creavano una frase:
Se parli, sei finita.
La mano mi tremò tutto un tratto e ripiegai quella busta, per poi uscire un mucchio di fotografie.
Ero io.
Nuda, sotto la doccia, mentre mi vestivo, mentre ero piegata e... Anche con Derek Moore nella sua macchina, incredibilmente vicini.
Oh, cazzo.
«No, no, no», sussurrai mettendomi una mano sulla bocca e cercando di trattenere le lacrime.
Chiusi subito la busta e la misi subito dentro un cassetto.
Mi stava minacciando.
Non potevo credere che la mia vita sarebbe cambiata da un giorno all'altro.
Io mi fidavo di lui, mentre... Luke bramava alle mie spalle da chissà quanto tempo e con quale scopo.
Ma... Poteva davvero essere lui?
Cercai di essere razionale e pensai che fosse qualche scherzo di cattivo gusto.
Luke sarebbe tornato a casa e si sarebbe scusato con me.
O forse no...
Aprii velocemente la porta, per poi dirigermi verso la mia auto e aprire il cancelletto.
Quando accesi il quadro, partii spedita verso il lavoro, ma la mia mente continuava ad essere proiettata verso quelle fotografie.
Luke mi aveva davvero fotografata?
Ma soprattutto, che fine aveva fatto?
Non potevo credere che quello che pensavo fosse il mio ragazzo, si era rivelato davvero un mostro.
Ero delusa, amareggiata, triste ma soprattutto avevo il cuore distrutto in mille pezzi.
Ero stata annientata dal cattivo della fiaba.
E nessun principe azzurro sarebbe venuto a salvarmi.
Ancora una lacrima mi graffiò il viso e l'asciugai in fretta con la mano.
Avevo le gambe che mi facevano male e mi sentivo spezzata, come se un camion mi fosse passato sopra.
Dopo quindici minuti esatti, arrivai finalmente in azienda e parcheggiai l'auto. Vidi anche quella di Derek Moore, ma mi sfuggì quella di Thompson.
Entrai subito, dirigendomi verso uno degli ascensori.
Tutti si girarono verso di me e alzai il passo, per cercare di evitare qualsiasi domanda scomoda. Appena le porte dell'ascensore si aprirono, la figura di Derek si palesò davanti a me.
Maledizione.
Mi guardò, aggrottando la fronte e soffermandosi sul mio viso.
«Victoria.»
Pronunciò il mio nome col suo solito tono fermo e autoritario che ogni volta mi faceva venire i brividi.
«Derek Moore.»
Lo salutai a mia volta ed entrai dentro, mettendomi al suo fianco ma tenendo lo sguardo fisso verso le porte di fronte a me.
L'ascensore iniziò la sua corsa e sentivo sempre più l'aria farsi tesa e il mio stomaco brontolare.
Non avevo mangiato e mi sentivo debole.
«Sei strana Bocciolo.»
Forse andare in azienda era stata una pessima idea e mi sarei dovuta prendere un giorno di riposo.
L'ultima persona che avrei dovuto incontrare era proprio insieme a me.
«Se intendi questi...», dissi toccandomi con una mano l'asticella degli occhiali. «... Ho una brutta allergia.»
Si avvicinò a me a passo lento, scrutandomi come se mi stesse leggendo e studiando.
Alzò la mano e io trasalii. Lui se ne rese conto e poggiò l'indice sulla mia guancia.
«E sei bollente», sussurrò salendo con la mano sulla fronte.
«Sto bene», dissi con un filo di voce.
Mentii, mi sentivo accaldata ma il mio corpo era circondato da dei brividi di freddo che mi risalivano fin sopra alla schiena.
Molto probabilmente avevo la febbre, ma non mi curai di misurarla.
Si avvicinò ancora di più e alzò anche l'altra mano.
E io sussultai, ancora.
«Di cosa hai paura?»
Tirai su col naso, mentre i suoi occhi bruciavano sulla mia pelle.
«Non ho paura... Io...»
Improvvisamente sentii le gambe cedere e il mio corpo accasciarsi quasi sul pavimento, mentre le braccia di Derek Moore mi presero giusto in tempo, stringendomi al suo corpo.
«Io e te dobbiamo parlare.» Affermò con tono autoritario, mentre sentivo la debolezza impossessarsi di me.
Le porte dell'ascensore si aprirono, ma lui pigiò nuovamente il tasto che ci avrebbe condotto a piano terra.
«Che... Che stai facendo?», sussurrai mentre le sue braccia abbracciavano la mia schiena per tenermi su.
Il mio viso poggiò sotto l'incavo del suo collo e la mia frequenza respiratoria aumentò visibilmente.
Sentivo la sua presa stretta e il suo tono di voce cambiare.
Diventò serio.
«Riesci a tenerti su da sola?» Mi rispose con un'altra domanda.
«S...Si.» Strascicai la voce per mancanza di forza e la sua presa diminuì.
Mi ricomposi, mentre le porte dell'ascensore si aprirono.
Cercai di farmi forza con le mie stesse gambe e insieme a Derek ci dirigemmo verso l'uscita.
Notai un gruppo di donne parlucchiare non appena passammo davanti a loro.
«Che cosa avete da chiacchierare e guardare?», disse lui alle bionde dell'ufficio amministrativo, zittendole con uno sguardo.
Lui camminava al mio fianco tenendo il mio stesso passo lento.
«Lauren.»
Chiamò un'altra ragazza che ci stava passando di fianco, mentre era impegnata al telefono.
«Ci sono alcune carte sulla mia scrivania da inviare tramite e-mail per la mostra di venerdì. Mandale. E poi, annulla le riunioni per questo pomeriggio, ci penserò io ad avvisare Thompson.»
«Ne è sicuro Sig. Moore?»
«Cosa non ti è chiaro della frase tutte le riunioni?»
Con uno sguardo perso e un punto interrogativo sul viso, si arrese.
«Okay...»
Ma cosa stava facendo?
Dopo qualche minuto, mi ritrovai di nuovo nell'area parcheggio.
«Sali in macchina.» Mi ordinò, mentre aprì la portiera del passeggero.
Girai lo sguardo verso la mia auto parcheggiata di fronte.
«La recupereremo più tardi, adesso sali.»
«Sto bene, posso lavorare», mugugnai reggendomi alla portiera dell'auto.
Lui mi fissò come se da un momento all'altro dovesse esplodere.
I suoi occhi emanavano un'oscurità a me incomprensibile, ma erano sempre in grado di intrappolarmi: erano un paio di corde che puntualmente mi immobilizzavano.
«Non me lo far ripetere due volte, Victoria.»
Sbuffai e spingendomi gli occhiali da sole sopra il naso, entrai in macchina. Poggiai la testa sul sedile e mi inumidii le labbra secche.
Derek accese il quadro dell'auto e ingranò la marcia, e neanche il tempo di uno schiocco di dita, che ci ritrovammo subito sulla strada.
I miei occhi facevano fatica a rimanere aperti: li sentivo pesanti e stanchi.
Il profumo di Derek Moore nell'intero abitacolo mi stordì, tanto da cullarmi completamente.
La cosa assurda era che mi sentivo al sicuro.
Ma la cosa ancora più incredibile, era che mi sentivo al sicuro con l'ultima persona di cui mi sarei dovuta fidare, dopo Luke, ovviamente.
Perché Derek non prometteva niente di buono.
Perché non era giusto.
Era impensabile.
E per di più non riuscivamo ad avere mai una conversazione normale per più di dieci secondi.
Il nostro rapporto era solo per i reciproci interessi, niente di più e niente di meno.
Non ebbi la forza di domandare dove stessimo andando.
Sicuramente mi stava riaccompagnando a casa, ignaro di ciò che fosse successo.
E così doveva continuare ad essere.
Sentii due braccia muscolose e possenti prendermi fra le braccia e sollevarmi dal sedile del passeggero.
Mugolai qualcosa di incomprensibile mentre schiusi lentamente gli occhi.
Il mio braccio penzolava nel vuoto, e dopo circa un minuto, sentii il mio corpo adagiarsi sul tessuto di pelle del divano.
«Dove...», sussurrai mentre stavo mettendo a fuoco ogni singolo dettaglio.
Ero a casa di Derek Moore.
«Ben svegliata.»
Si sedette di fronte a me, su una poltroncina che si abbinava perfettamente al divano in cui ero stesa.
Potetti guardarlo meglio: indossava un pantalone di tuta grigio che gli fasciavano le gambe muscolose e una maglia di tessuto tecnico a maniche lunghe super aderente al suo addome.
E mentre veneravo la sua figura, poggiai una mano sulla fronte e mi resi conto di essere senza occhiali.
Cazzo.
Erano poggiati sul davanzale al di sotto del camino spento.
Si alzò e si avvicinò a me, mentre io cercai di allontanare il mio corpo per fargli spazio. Si sedette e mi toccò le guance.
«La febbre si è abbassata...», mi tastò col palmo mentre io tentai di alzarmi.
Mi aiutò con le mani, così mi ritrovai seduta sul suo salotto. «...Ma non la mia voglia di uccidere qualcuno.»
Scrocchiò il collo, mentre io sgranai gli occhi.
«Che cosa stai dicendo?»
Sospirò e deglutì nervosamente, serrando la mascella. Poi mi porse la sua mano e io la guardai.
«Vieni con me.»
«Perché dovrei farlo?»
«Devo farti vedere una cosa.»
Il suo tono sembrò decisamente più pacato, così decisi di seguirlo.
Afferrai la sua mano e mi costrinse a seguirlo su per le scale. Le salimmo frettolosamente e si diresse verso il bagno di servizio.
«Vai davanti allo specchio.» Ordinò.
Andai incontro alla mia stessa figura e rimasi impalata davanti ad esso.
«Sai cosa voglio farti vedere?» Mi domandò subito dopo posizionandosi dietro di me.
Non capivo a cosa stesse andando a parare, ma, sicuramente nulla di buono per me.
Derek Moore era così sorprendentemente un mistero.
E giorno per giorno si infittiva sempre di più.
«No.» Lo guardai dal riflesso e notai le sue iridi marroni incupirsi.
«Quella che tu non sei.»
Mi agguantò la chioma con una mano e mentre sussultai per lo spavento, con l'altra me li legò in una coda disordinata.
«Non sei questo.»
Il suo tono di voce deluso ma al contempo incazzato mi fece contorcere lo stomaco, mentre lasciò che i lividi e i segni sul mio collo uscissero alla luce.
«Che cosa stai facendo Derek...», mormorai mentre i miei occhi si fecero lucidi.
Mi afferrò poi il viso con una mano e mi costrinse a guardarmi.
«Guardati attentamente.»
«Smettila», mugugnai mettendo la mia mano sulla sua e deviando lo sguardo.
«Guardati, porca puttana!» Mi urlò voltando il mio viso d'innanzi al mio riflesso. «Questa è allergia?»
Non risposi e la prima, seconda, terza e il resto infinito di lacrime rigarono le mie guance.
Feci no con la testa.
«E il livido che hai tentato di nascondere sotto quel trucco schifoso cos'è? Allergia da botte?»
Le sue narici si allargarono e il suo respiro divenne pesante e ansante.
«Ascoltami Derek», tentai di parlare ma fu inutile, perché mi fece voltare verso di lui e mi zittì con uno sguardo fulmineo.
«Stavolta non lo risparmierò. Mi hai capito?»
«Non fare qualcosa di cui potresti pentirti... Non serve a niente rispondere con la violenza.» Tentai di tenergli testa.
«Oh, no. Non mi pentirò mai di ammazzare quel figlio di puttana che ti ha ridotta così. Dov'è adesso? A casa tua?»
Dio Santo.
Sentivo di essermi cacciata in un guaio, ma non immaginavo così grosso.
«Non lo so.»
«Cazzate.»
«Non ti sto mentendo, maledizione. Non lo so!»
Lo spintonai facendolo allontanare da me.
«Prima che gli faccia pentire di essere venuto al mondo, e te lo sto chiedendo con gentilezza Victoria, dimmi cosa ti ha fatto.»
Mi si bloccò il cuore per un secondo.
Restai immobilizzata di fronte a lui che muoveva il petto su e giù per la sua agitazione.
Ma non potevo dirgli la verità o avrei scatenato ancor di più la sua ira.
«È stato un'incidente... Abbiamo discusso e...»
La voce mi si strozzò in gola mentre dosavo ogni parola e i flashback mi vennero alla mente.
Il suo corpo sul mio, le mie gambe spalancate, i suoi pugni, le sue spinte feroci.
Non di nuovo.
Ti prego.
Lui sospirò mentre si passò le mani fra i capelli.
Sembrava indeciso sul da farsi e soprattutto pensieroso sulle mie condizioni.
D'improvviso si avvicinò alla vasca da bagno e aprii il rubinetto.
«Che stai facendo?» Domandai cercando di calmarmi e asciugandomi le lacrime.
«Fatti un bagno caldo, poi ti medico e mangi qualcosa. Devi rimetterti in forze.»
A passo cauto si avvicinò di nuovo alla mia figura e porse una mano sulla mia fronte che sentii anch'io nuovamente calda.
«Ce la fai a fare da sola, Victoria?»
Aveva posato per un attimo l'ascia di guerra e si stava rivolgendo nuovamente con tono pacato e tranquillo.
Ma sapevo benissimo che non sarebbe finita lì.
Annuii mentre posai una mano sul lavandino per mantenermi.
Da un lato avevo il disperato bisogno di rilassarmi, tranquillizzarmi e chiudere gli occhi per cercare di dimenticare ciò che fosse successo.
Ma dall'altro, sentivo di non avere le forze fisiche e mentali per rimanere da sola.
Che cosa avrei dovuto fare?
Non potevo chiedergli di restare, tanto meno di assistermi.
E se avesse visto tutti quei lividi, avrei alimentato solo la sua fame di vendetta.
No, era fuori discussione.
D'altronde mi sarei vergognata da morire.
Lui mi osservò attentamente per poi attuare la sua sentenza.
«Ti aiuto io.»
E non potetti far nulla per controbattere, perché, seppur avessi voluto, non avrei avuto la lucidità di poterlo fare.
Mi prese da sotto le ascelle e mi fece sedere su quel mobiletto, come la prima volta che ebbi quell'attacco di panico.
Tenni la testa leggermente inclinata come se pesasse sul mio collo e la poggiai al muro.
Lui, nel frattempo, mi sbottonò la camicetta lentamente.
Guardai le sue mani mentre via via arrivò sino all'ultimo bottone, per poi aprirla.
«Figlio di puttana», sibilò con tono gracchiante quando si rese conto che i lividi non erano solo sul mio collo.
Mi tolse lentamente la camicetta studiando ogni centimetro della mia pelle. Poi mi aiutò a scendere e mi ressi con le mani sulle sue spalle, mentre poggiai la testa sotto l'incavo del suo collo e mi assorbii il suo profumo.
La sua barba mi pizzicò la fronte e le sue mani scesero giù per sbottonarmi i pantaloni.
Me li sfilò lentamente, facendoli cadere ai miei piedi.
«Mi stai spogliando...», sussurrai in preda ad un delirio. «E ora che farai? Mi farai del male come Luke?» Non sapevo neanch'io cosa stessi dicendo, l'unica cosa che avvertii furono i brividi che mi percorsero la spina dorsale e il bollore della mia fronte.
«Piuttosto mi taglio le mani.» Mi rispose. «Dai, entra.»
Sollevai una gamba, poi anche l'altra fino a che non mi immersi nell'acqua bollente. La schiuma ricopriva gran parte del mio corpo, mentre Derek mi sciolse i capelli.
«Piegati col busto in avanti.» Ordinò, mentre afferrò una spugna e la immerse nell'acqua.
Feci quello che mi disse e lui mi spostò i capelli da un lato.
Dopo si sedette sul bordo dietro di me e mi passò la spugna sulla pelle, strofinandola leggermente.
Poggiai la testa sulle ginocchia, mettendomele al petto.
«Perché lo stai facendo?»
A lui non spettava niente di tutto questo.
Non gli spettava prendersi cura di me... Eppure, lo stava facendo.
«Perché non meriti un dolore così profondamente lacerante, Piccolo Fiore.»
Era vero.
Mi stava lacerando il cuore.
«Ma noi non ci sopportiamo», sussurrai strofinando la punta del naso sul mio braccio.
«Ho imposto una piccola tregua.»
Curvai leggermente il labbro mentre mi afferrò un braccio.
Passò la spugna su di esso per poi prendere anche l'altro e fare la medesima cosa.
Ci furono alcuni secondi di silenzio fra me e lui, mentre mi godevo il suo tocco.
«Mia madre è morta», gli confessai tutto d'un tratto. «E Luke si è arrabbiato perché non li e l'ho detto.»
La sua mano si immobilizzò ma non mi fece domande in merito.
«E poi», tirai sul col naso. «Ha insinuato che alla cena siamo spariti nello stesso momento. Avrà pensato che siamo stati insieme e si è ingelosito.»
Girai il volto verso di lui e notai che mi stava fissando.
«Girati.» Si limitò a dire mentre feci come mi chiese.
Si chinò ancor più vicino, passando la spugna sotto il mio collo.
«Poi mi ha sbattuta sul letto», continuai a parlare mentre avvertivo le sue pupille riempirsi di odio e di rabbia. «Mi ha bloccato con la forza, mi ha spogliata e...»
Subito dopo scese sulla scollatura coperta dal mio reggiseno, mentre la mia voce venne interrotta da un singhiozzo.
Aggrottò la fronte e serrò le mascelle, come se dovesse esplodere da un momento all'altro.
«Mi ha drogata», dissi tutto d'un fiato, passandomi una mano sul viso. «E poi, mi ha usata.»
Scese sul mio addome sino all'ombelico, stringendo la spugna in un pugno ben saldo.
Non sapevo perché gli stessi raccontando tutto, ma, sentii il bisogno di parlargliene.
«Lo ammazzerò con le mie stesse mani, fosse l'ultima cosa che faccio. Lo andrò a cercare ovunque, te lo giuro.»
Poggiai la mano sul polso del braccio che reggeva la spugna.
«No...»
Strizzò la spugna piena di acqua sulla mia testa, passandola anche sul viso.
Dopo allungò il braccio afferrando un asciugamano e mi fece alzare in piedi, per avvolgermi al suo interno.
Mi aiutò ad uscir fuori dalla vasca e poi mi fece quella fatidica domanda.
«L'hai denunciato?»
Mi morsi il labbro mentre una morsa mi mozzò il respiro.
«Sì.»
E il mio cuore si sgretolò ancora.
Mentii perché ero una codarda.
Una terribile codarda.
Rimase a guardarmi per qualche secondo, mentre le goccioline d'acqua bagnarono il misero tappetino sul quale poggiavano i miei piedi.
«Che c'è?»
Mi spostò una ciocca bagnata dietro l'orecchio.
«Prega che non lo trovi prima della polizia, piccolo Bocciolo. Perché le conseguenze sarebbero disastrose.»
Deglutii.
Derek Moore mi diede già un piccolo assaggio di quello che fosse in grado di fare, ma, in quella situazione temetti seriamente per la vita di Luke, ma anche per la mia e per la fedina penale di Derek.
Cercai di tenerlo a bada, ma sembrava dannatamente fisso sulla sua posizione.
«Asciugati e poi vieni in salotto. Vediamo come possiamo rimediare a quei lividi. Ce la fai?»
«Sì, sto meglio. Ti raggiungo subito.»
Annuì, per poi uscire dal bagno e darmi la giusta privacy.
Voleva proteggermi in tutti i modi possibili, anche mettendo a repentaglio la sua stessa immagine.
In verità ma proprio nelle più profonde delle verità, l'idea che Derek volesse proteggermi, mi piaceva.
E anche tanto.
Come il fatto che si fosse preso cura di me tutto il pomeriggio...
Mi faceva sentire speciale.
Forse non era così stronzo come pensavo.
Ma dovetti accantonare subito quel pensiero, ricordandomi chi fosse lui e chi fossi io: acqua e fuoco, il giorno e la notte, il sole e la luna.
Eravamo diversi.
Non compatibilmente perfetti.
E dannatamente sbagliati, insieme.
Dovevo tenerlo bene a mente.
Derek mi diede un piccolo phone per asciugarmi i capelli, e dopo averlo fatto, lo raggiunsi in salotto sedendomi sul suo divano.
Non potetti fare a meno che trattenere il fiato e sentire il bollore delle mie guance: mi ritrovavo in intimo a casa del mio tutor, dopo che mi aveva fatto il bagno e aveva curato quella febbricola.
E ora? Cosa avrebbe fatto?
Se ci avesse beccato qualcuno dell'azienda, mi avrebbero tagliato fuori dai giochi.
Era tutto così sbagliato e pericoloso che stentavo anche a crederci che stessi riuscendo a resistere.
Non sono mai stata una persona che trasgrediva le regole, nemmeno a scuola.
E mi faceva impazzire.
Sentivo di essere in torto marcio, nonostante la compagnia di Derek Moore mi aiutò a non pensare e tutte le sue attenzioni mi stessero riempiendo l'anima.
Ma sarebbe finita subito.
Non potevo rimanere lì ancora per molto.
Derek arrivò verso di me reggendo una valigetta simile a quelle che si usano al pronto soccorso. Si sedette al mio fianco, mentre io strinsi le braccia al petto.
In quel momento desideravo delirare come qualche ora prima, almeno non avrei provato tutto quell'imbarazzo.
«Queste sono delle pomate contro gli ematomi e i lividi. Facilitano la guarigione», mi disse schiacciando il tubettino facendone uscire un po' sul dito.
Mi chiedevo come mai avesse tutte quelle medicine, così inusuali.
Certo, fare prevenzione è sempre meglio ma Derek Moore non mi sembrava per niente un tipo da precauzioni.
Letteralmente.
In tutti i sensi.
«Sei ipocondriaco?» Commentai vedendo quante pomate, garze, cerotti e attrezzature mediche avesse in quella borsa.
Poggiò l'indice sul mio collo, cominciando a spalmarne un po' sugli ematomi con movimenti circolari.
Tremai sotto il suo tocco, come se fossi una foglia al vento.
«No, Fiorellino. Mi piace avere il controllo di ogni situazione possibile, per cui mi attrezzo per farlo.»
Ne fece uscire altra dal tubetto accerchiando i lividi sul mio addome. Il suo tocco era delicato, ma deciso. Premette superficialmente senza farmi male.
Avvertii il fiato corto, mentre lui si avvicinava sempre di più al mio viso.
«Chiudi gli occhi.»
Se ne mise ancora un altro po' sul dito, aspettando che facessi quello che mi aveva chiesto.
Sospirai e li chiusi.
Sentivo il suo respiro sempre più vicino alla mia bocca, mentre mi spalmava quella crema attorno all'occhio.
«Derek», sussurrai mentre lasciai che completasse la sua medicazione.
«Dimmi, Fiorellino.»
«Riguardo quella scommessa...», dissi insicura di quello che stavo per chiedergli, ma, decisi di farlo per cercare di far svagare un po' la testa. «...Posso sapere cosa avresti vinto?»
Riaprii lentamente gli occhi e un ghigno divertito si fece strada nelle mie orecchie.
«Quindi stai ammettendo che ti ho provocato qualcosa, Bocciolo?»
Ma perché ero così stupida?
Arrossii, mentre cercai una scusa plausibile che sicuramente avrebbe retto meno di 0,01 secondi.
Sapevo benissimo che ormai era palese che lui non mi fosse indifferente.
Mi ha sempre studiata, sin dal primo giorno.
«Sì. Fastidio», commentai mentre le mie iridi verdi si muovevano a destra e a sinistra.
«Piacevole, aggiungerei.»
Mi morsi lentamente il labbro.
Mi chiamo Victoria Brown e amo mettermi in situazioni scomode.
Avrei scritto quello nei prossimi curriculum.
Notò quel gesto e si inumidì le labbra, per poi aggiungere «...e comunque, sarei un folle a dirtelo in questo momento.»
Alzai un sopracciglio.
«E se io volessi saperlo?»
«Saresti una folle anche tu.»
«Niente di tutto questo è normale...», dissi ed era nient'altro che la verità. Il nostro rapporto fin dal primo giorno non era mai stato sano e tanto meno professionale come avrebbe dovuto essere.
Richiuse il tubettino riponendolo nella cassettina delle emergenze.
Poi invase di nuovo i miei occhi, premendo fortemente il suo sguardo sul mio.
«E cos'è normale, per te?»
Si chinò, per osservare meglio ogni mia micro espressione.
«Darti del lei, tornare in azienda e indossare i miei vestiti, possibilmente.» Aggiunsi, quasi sarcastica, anche se dovevo davvero ringraziarlo per tutto quello che aveva fatto per me.
Corrugò la fronte e si accarezzò leggermente la barba.
«Puoi ancora darmi del lei, se ti fa stare meglio.»
Mi schiarii la voce.
Gli diedi retta e iniziai a giocare, anche se forse non fu una buona idea, perché potevo aspettarmi una qualsiasi risposta che mi avrebbe scioccata.
«Non ha ancora risposto alla mia domanda.» Affermai, dandole del lei.
«La mia risposta sarebbe aberrante, Piccolo Fiore.»
Cosa poteva esserci di così scandaloso in una sua risposta?
Cosa mi avrebbe chiesto?
Si avvicinò al mio orecchio e avvertii il calore dei suoi lenti sospiri.
«Sei sicura di volerlo sapere, Fiorellino?»
SPAZIO AUTRICE
Ciao a tutte/i! Questo è il diciottesimo capitolo della mia storia, che trovate anche su efp con il nick di: higracehall.
Sono presente anche su tiktok e instagram col nick: higracehall, in cui posto contenuti e altro per rimanere sempre in contatto con voi.Volevo ancora una volta ringraziarvi, perché in pochissimo tempo siamo arrivati a 1000 letture e ve ne sono infinitamente grata!
Spero che questo nuovo capitolo vi piaccia! Se vi andasse lasciatemi una stellina e un commentino, ci terrei a sapere il vostro parere a riguardo. :)
Un bacio!Grace Hall 🌼
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The Silence of a Promise
RomanceHo fatto un gioco con un Piccolo Bocciolo di Margherita. La bambina mi ha promesso di non parlare. E se avesse parlato, le avrei staccato i suoi petali e le avrei fatto male. Proprio come hanno fatto con me. Ho fatto una promessa. Non ricordo ben...