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Derek

"Brindo alla libertà in tutte le sue forme.
Che tu possa trovare la tua.
Perché non c'è cosa più bella di vivere liberi."

Derek Moore


Quella mattina consegnai i miei tre quadri a Thompson, il quale avrebbe incontrato la stessa mattina il Sig. Cooper, il proprietario della Galleria.
Fece i complimenti sia a me che a Victoria, dicendo che non si aspettava nulla del genere.
In realtà non me l'aspettavo neanch'io, ma dovetti ammettere che l'aiuto di quel Bocciolo fu indispensabile. Era unicamente grazie a lei se li avevo completati.
Mi presi un giorno per andare a trovare mia madre nella struttura psichiatrica dove la ricoverai anni prima, per colpa dell'uomo di merda con cui ella aveva deciso di farsi una vita.
Quella povera donna, tradita e umiliata e non seppi definirne neanche il numero di volte.
Volevo proprio sapere che fine avessero fatto le puttane che mio padre si scopava amorevolmente, tra cui quella del mio quindicesimo compleanno, che mia madre reputava anche amica con quella dannata bambina che mi perseguitò per giorni, fino a quando non riuscii a scacciarla via dalla mia testa, ripromettendomi che non sarebbe mai più rientrata.
«Sig. Moore», l'infermiera mi accolse e io le feci un cenno con la testa. «Dobbiamo parlarle.»
Nathalie mi affiancò, ponendomi una mano sulla spalla.
«Derek, è tutta la notte che sto cercando di rintracciarti, ma il tuo cellulare è spento», disse e il suo tono di voce non mi piaceva per niente.
Tastai le tasche dei miei pantaloni e mi ricordai che non caricai il cellulare quella notte. Ero così stremato dall'allenamento che lo dimenticai e non avendo impegni aziendali, non mi curai neanche di controllare se fosse acceso.
Cazzo.«Puoi seguirmi un momento?»
«Che cosa sta succedendo? Come sta mia madre?» Iniziai a vomitare domande una dopo l'altra, perché la mancanza di controllo mi stava mangiando dentro.
La seguii fino ad una stanza, che era in realtà una sorta di camera di accoglienza, dove i pazienti facevano il check-in e venivano registrati nella struttura.
«Parla, Nathalie. Maledizione!»
«Derek, innanzi tutto devi mantenere la calma.»
Mi passai le mani sulla testa, scompigliandomi i capelli.
«Allora», deglutì guardando le punte delle sue ciabatte. «Stanotte qualcuno ha fatto irruzione nella clinica. Le telecamere di sicurezza sono state già visionate e nessuno è entrato e uscito da qui. O quanto meno, le telecamere non hanno registrato nessun movimento anomalo.»
Mi sentii il cuore già trafitto e scheggiato, spaccarsi lentamente.
Cosa voleva dirmi? Che qualcuno aveva fatto irruzione nella camera di mia madre?«Nathalie, vai al punto.»
«Qualcuno si è presentato in camera di vostra madre e...» Si fermò, esalando un respiro.
Poggiai le mani sulle spalle e la scossi. «E?» Strillai.
«E l'abbiamo trovata stesa sul pavimento, pensiamo che sia stat...»
Non le feci finire il discorso, che uscii immediatamente da quella stanza e correndo come un pazzo, salii al terzo piano fino a raggiungere la camera 512.
Superai diversi infermieri e medici nel corridoio, che mi guardarono con aria interrogativa.
Aprii di scatto la porta e vidi Meredith legata al letto, completamente immobilizzata e che sussurrava parole indecifrabili con gli occhi sbarrati che fissavano il soffitto.
«Mamma», bisbigliai con affanno e mi avvicinai a quel letto. «Mamma sono Derek.» Mi sedetti vicino a lei e le presi una mano, che riusciva a muovere di sfuggita essendo legata.
Girò il viso verso di me, continuando a guardarmi con occhi vitrei e struggenti.
«William», disse.
Sgranai gli occhi e anche il sangue che stava refluendo nelle mie vene si bloccò.
«Mi ha abbandonato, mi ha abbandonato, mi ha abbandonato», continuò a ripetere e poi girò di nuovo lo sguardo sul soffitto e qualche lacrima iniziò a scendere dai suoi occhi. «William, William, mi ha abbandonato.»
«Derek», la voce di Nathalie mi fece voltare. «L'abbiamo legata perché, dopo quell'episodio era diventata aggressiva, anche con noi e non solo con sé stessa. Le abbiamo dato dei sedativi. Ciò che pensa lo psichiatra è che qualcuno le abbia fatto violenza verbale.»
Stentai a credere alle sue parole e a tutta quella situazione.
Come cazzo è possibile che qualcuno è entrato e uscito da qui, e che per giunta, nessuno se ne sia accorto?«Mi ha abbandonato», ancora la vocina stridula di mia madre che ripercorreva chissà quali capitoli della sua vita nella sua mente.
«Tu conosci questo William?», mi chiese Nathalie.
«Non è nessuno di importante.»
Le accarezzai la testa, serrando la mascella.
«Derek, tua madre non ha mai nominato nessun uomo, eccetto te. E se questo può servire per le indagini, me lo devi dire.»
Ero incazzato.Avrei spaccato la faccia al figlio di puttana responsabile di quella situazione.Fosse l'ultima cosa che avrei fatto, prima di marcire all'inferno.«Non servirebbe a un cazzo. Perché William è il nome di un lurido bastardo che, ormai, ha finito il giro sulla sua giostra.» Mi alzai di scatto e con gli occhi lucidi, mi avvicinai all'infermiera. «Era il nome di suo marito, Nathalie.» Affermai furioso.
«Derek...»
«No, Derek un cazzo!» Sbattei il pugno contro la porta, tanto da lasciarne il segno. «Spiegatemi come diavolo sia possibile che qualcuno sia piombato in camera di mia madre, e voi cazzo di personale non ve ne siate accorti!» Gli sbraitai contro mentre sentivo le mie labbra tremare e la giugulare pulsare come una dannata.
«William», continuava a dire con un filo di voce.
«Presupponiamo che sia accaduto quando eravamo impegnati a gestire un decesso avvenuto questa notte, in cui la maggior parte di noi si è trovato coinvolto. In più, si suppone che non sia entrato dall'ingresso principale, ma dalla porta d'emergenza.» Cercò di mantenere il controllo della sua voce e delle sue emozioni, ma era visibilmente in ansia e disperata.
Mi misi le mani sulla testa e iniziai a camminare avanti e dietro, irrequieto e agitato.
«Voglio la massima sicurezza.» Continuai ad avanzare e retrocedere imperterrito in quelle quattro mura. «La esigo.»
«Ci saranno due agenti a vigilare la stanza di tua madre, Derek. Nel frattempo, la polizia procederà con le indagini.»
Misi le mani sui fianchi, guardando un punto a caso della camera.
Tentai di pensare e immaginare una realtà che non fosse quella che stessi vivendo in quel momento.
«Come avete l'assoluta certezza che qualcuno sia effettivamente entrato e uscito da questa stanza?» Domandai.
Lei si intimidì tutto d'un tratto.
«C'è qualcosa che non mi hai raccontato, Nathalie?»
«Ascoltami...» Lei si avvicinò a me e dal tono della sua voce sapevo benissimo che qualcosa non andasse. Non tornavano i conti. «Tua madre ha riportato anche gravi ferite da corpo contundente sul torace.»
Sentii il mondo appesantirsi sulle mie spalle e il respiro corto.
«E non se l'è procurate da sola, Derek. Perché qui dentro non è rimasto nulla, a parte il suo letto. E poi, l'avevamo sedata e dormiva beata.»
E si infittii ancora di più sempre la stessa fottuta domanda: come cazzo hanno fatto a non accorgersi di quello che stesse succedendo?
«Non ci credo.» Mormorai straziato, come se mi stessero picchiando ancora una volta.
«Io ti prometto che tua madre non verrà più lasciata da sola. Hai la mia parola, Derek.» Tentò di avvicinarsi a me e accarezzarmi il viso.
«Non ti avvicinare a me, stronza.»
Persi il controllo.Ero fuori di me.«Esci, Nathalie. Esci, non voglio vederti. Sparisci.»
Lei si allontanò immediatamente, chiudendo la porta alle sue spalle.
Mi conosceva bene, ormai erano anni che mia madre era ricoverata in quella struttura, e lei più di tutte, imparò a conoscermi.
«Chi ti ha parlato di questo William, mamma?» Mi avvicinai a Meredith, che sembrava aver placato i suoi deliri.
Lei girò ancora una volta il suo sguardo sul mio.
I suoi occhi erano spenti e non c'era un minimo spiraglio di luce che potesse illuminarli.
«Non me lo ricordo. Liberami», cercava di avvicinarsi col collo verso di me. «Liberami, Derek», le presi una mano e mi inginocchiai di fronte a lei. Poi li e la baciai.
Notai quanto fosse fredda, quasi cianotica.
«Lo sai che non posso farlo.» Mossi la bocca sulla sua pelle e chiusi gli occhi. «Fa uno sforzo, cerca di ricordarti chi è entrato qui dentro», dissi esasperato.
«Non... Non», balbettò e i suoi occhi si riempirono di nuovo di lacrime.
«Cerca di ricordare, cazzo!» Mi agitai più del dovuto, così cominciò a urlare come una bambina.
Le lasciai la mano di scatto e mi alzai, allontanandomi da lei.
La porta si aprì e due infermiere entrarono nella camera.
«Sig. Moore, è meglio che vada adesso», disse una delle due mentre tentavano di calmarla.
Così, lasciai quella stanza. Sentii un senso di oppressione che mi stringeva il collo e mi impediva di respirare e avvertii i battiti cardiaci del mio cuore farsi sempre più dannatamente forti.
Il sangue ribollì nelle mie vene.
I miei mostri scalpitavano per uscire fuori, ma dovevo tenerli a bada o avrei fatto il caos.
Mi sentivo senza un posto nel mondo e in quel momento avrei solo voluto prendere quel bastardo e sfracassarlo di botte.
L'avrei torturato, piano piano, e gli avrei fatto pentire di essere stato messo al mondo.
Negli ultimi dieci minuti fumai tre sigarette per placare il mio animo. Misi il telefono in carica, tramite un filo USB nella mia macchina e me ne accesi un'altra.
La mia mente vagava su chi cazzo potesse essere stato e perché proprio mia madre.
Sfrecciai veloce lungo la strada ad una velocità estrema, superai il limite di velocità ma non me ne fregava un cazzo.
Dovevo correre e fuggire da qualsiasi cosa fosse quell'aura oscura che sentivo che mi stesse inseguendo.
Sapevo benissimo in cosa mi sarei rifugiato.
Avevo bisogno di esplodere, e l'unico modo che avevo senza spaccare tutto e rischiare di farmi arrestare, era soltanto uno...





The Silence of a PromiseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora