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Derek

"I tuoi occhi fanno breccia nel mio animo e mi ricordano che la via d'uscita non è poi così lontana."

Derek Moore



Sapevo benissimo dove fosse.
Quando andò via, mi informai su tutti i locali e pub aperti nelle vicinanze e per un raggio lungo non oltre i due chilometri. Giunsi alla conclusione che l'unico posto dove potesse essere era proprio il Gemini.
Avrei dovuto punirla per non aver rispettato le mie raccomandazioni, ma prima dovevo trovarla.
Uscii dal taxi ed ebbi la conferma di non sbagliarmi quando vidi la sua macchinetta parcheggiata non troppo lontano dal locale.
Mi fiondai all'interno della discoteca che era più piena del solito. La pista era affollata e colma di uomini arrapati che lanciavano denaro alle ballerine che si strusciavano sui pali non curanti di niente e di nessuno.
Lanciai un occhio anche al bancone del bar, gremito di gente, ma dubitai fosse lì.
Controllai anche nel bagno dove pensavo che effettivamente fosse, ma non c'era nessuno.
Emisi un respiro allargando le narici, agitato e nervoso.
Avrei rivoltato tutte le camere pur di trovarla.
Mi allontanai dalla pista e dal bancone, proseguendo verso il corridoio in cui c'erano le prime stanze.
Aprii tutte le porte una ad una: scovai gente fare sesso, altri drogarsi come dannati, ma di lei non c'era ancora nessuna traccia.
Decisi di aprire l'ultima porta in una micro-fessura. Non mi andava di vedere altri peni flaccidi di uomini di mezza età eccitati.
Notai una figura maschile che teneva sulle gambe una ragazza. Potetti riconoscere nel bel mezzo di tutta quella merda il suo profumo dolce e fruttato, Narciso.
Era lei.
«Ragazze belle come te non devono andare in giro da sole, lo sapevi?»
Il sangue mi ribollì fin dentro le viscere e la vista mi si annebbiò.
Vedevo rosso.
Anzi, nero.
«Derek si arrabbierà molto», affermò lei mentre tentava di scansare la sua faccia.
«Chi è Derek? Il tuo fidanzato?», sussurrò lui divertito. «Ma lui non è qui...»
«Derek sono io, e sì, sono molto incazzato.»
Spalancai la porta della camera e la richiusi violentemente alle mie spalle.
«Calma amico, se vuoi possiamo condividere.» Alzò le mani in segno di resa, mentre Victoria mi guardò come se fossi un fantasma.
«Iniziamo con la condivisione di un pugno nelle palle.»
Presi per il polso il Bocciolo, strattonandola verso di me e tirai un pugno nei testicoli di quell'individuo.
«Derek cosa stai facendo?» Si lamentò lei, ancora con quella voce da ubriaca fradicia.
«Tu sta' zitta. Con te faremo i conti più tardi.» La ammutolii.
Il tizio, nel frattempo, si lamentava piegandosi in due per il dolore e inginocchiandosi al suolo.
«Peccato, non potrai più usare il tuo lurido cazzo per stuprare le ragazze ubriache.» Gli tirai un altro pugno in pieno viso, facendolo cadere all'indietro.
«Tu sei fuori di testa», mugolò mentre cercava di rialzarsi. Si mise una mano sul naso e mi guardò con occhi minacciosi.
Cercò di avventarsi su di me, ma io fui più veloce e con i riflessi pronti, scansai un suo pugno e ne sferrai un altro allo stomaco.
«Derek!» Victoria cercò di avvicinarsi a me per fermarmi. Ma ero talmente più forte di lei che fui in grado di allontanarla scrollando le spalle.
Mi avvicinai alla sua figura che nel frattempo era arrotolata su sé stessa reggendo il peso sullo stomaco del mio pugno.
Il sangue colava ancora dal suo naso e per me non c'era visione migliore della sofferenza di quello stronzo.
«Questo è per aver minimamente pensato di toccarla mentre era ubriaca.» Gli tirai un calcio in pieno viso.
«Fermati!» Affermò Victoria in lacrime. «Per favore.»
Lo volevo morto.
I suoi gemiti di dolore echeggiavano in tutta la camera ed erano coperti dal sound alto della musica.
«Questo», ne tirai un altro allo stomaco, facendolo urlare. «È per il tuo cazzo piccolo.»
«Figlio di putt...»
Strinsi i denti, serrai le mascelle e mentre delle goccioline di sudore tappezzavano la mia fronte e la rabbia si impossessava della mia mente, offuscandola completamente, gli diedi un altro e ultimo calcio. Lo zittii subito.
«E questo... è per tutte le ipotetiche donne di cui tu ti sei approfittato. Perché i bastardi come te non si stancano mai.»
Gli sfregiai il viso mentre degli schizzi di sangue arrivarono sulla mia faccia. Mi pulii con la manica della felpa.
Mi allontanai continuando a guardare la sua figura piena di tormento e martirio. Il sangue gli colava dalla bocca, dal naso, anche dalle orecchie. Il suo corpo giaceva inerme sul pavimento, aveva le lacrime agli occhi e la fronte sudaticcia.
Victoria non proferì parola ma rimase a guardare. Era sul punto di piangere nonostante la sbornia.
«Fatti vedere un'altra volta e giuro che ti ammazzo.»
Scroccai il collo e soddisfatto presi per mano Victoria che lo guardava, spaventata, raso al suolo. Uscimmo in fretta, chiusi la porta alle mie spalle e mi alzai il cappuccio della felpa, cominciando a camminare velocemente.
«Aspetta devo salutare Alexa.»
Ipotizzai che fosse lei la sua migliore amica. «Non me ne frega un cazzo. Tu e la tua amica vi saluterete in un altro momento.»
«No, aspetta...», disse mentre con la forza del mio braccio la tirai verso di me e la costrinsi a seguirmi fuori.
Quando uscimmo presi una boccata d'aria di cui avevo terribilmente bisogno dopo aver picchiato a sangue quel bastardo.
«Dammi le chiavi della macchina.» Le ordinai mentre mi guardava confusa.
«Posso guidare io...», sussurrò e poggiò una mano al mio braccio. «Mi sento meglio», affermò insicura.
«Cristo Victoria, sono già incazzato. Dammi le chiavi e non fiatare.»
Deglutii e mi passò direttamente la borsetta. A passo lento raggiungemmo la sua macchina e la aiutai a entrarci.
Feci poi il giro dall'altra parte aprendo la porta del conducente e mi sistemai il sedile.
Cazzo era davvero una nanetta.
Mi sedetti, infilai la chiave nel quadro e partii.
Lei poggiò la testa al sedile e guardò fuori dal finestrino.
«Smettila di picchiare tutti...» Ruppe il ghiaccio, ma il suo tono di voce era ancora invaso dall'alcol che aveva bevuto.
«No, per niente. Avrei continuato a infliggergli quel dolore atroce fino ad ucciderlo, ma scegliere come scena del crimine un locale molto popolare non era un'opzione intelligente.»
Sospirò, poggiando una mano sulla fronte nel disperato tentativo di placare il mal di testa.
Sapevo cosa stesse provando. Lo sapevo perché era la medesima sensazione che provavo io quando decidevo di ubriacarmi nelle mie serate no.
Ma lei non doveva farlo.
«Sei stata una stupida.»
«Non chiamarmi stupida.» Ribatté girando il viso verso il mio. «Una donna non è libera di bere un po' di più perché esistono degli uomini che si approfittano di loro... Penso che gli stupidi siano loro.»
Non aveva tutti i torti, ma comunque, non avrebbe dovuto farlo.
Cazzo, se non avrebbe dovuto.
Ero veramente incazzato.
Parcheggiai la macchina a due angoli da casa mia, dopo una decina di minuti. Scesi dal sedile, feci il giro e le aprii la portiera.
«Avanti.»
«Mi gira la testa...», esitò a scendere dall'auto.
Non ero un gentiluomo, non mi definivo per niente così. Ma al contempo non avrei mai lasciato Victoria in quelle condizioni.
Mi abbassai all'altezza delle sue gambe e le tolsi quei tacchi vertiginosi dai piedi.
«E adesso cosa hai intenzione di fare?»
Non le risposi.
«Forza aggrappati a me.» Lasciai i tacchi sul sedile e la presi in braccio. Avvolse un braccio attorno al mio collo e poggiò la testa sul mio petto.
Sussultai cercando di non darlo a vedere: quel contatto così intimo era una lama affilata che aveva già affondato la mia pelle una miriade di volte. Beccò una cicatrice che ancora non era del tutto chiusa e lo struscio della sua testa proprio su quel punto fu quasi in grado di farmi gemere per il dolore.
Per me erano già troppo le sue braccia attorno al mio collo che mi trasmisero una sensazione opprimente. Nessuno doveva toccarmi su quei punti, tanto meno quella mocciosa.
Ma era una condizione indispensabile per evitare di lasciarla distesa sul marciapiede.
Reggendola dalle gambe e della schiena, camminai per due angoli mentre lei, nel frattempo, si addormentò tra le mie braccia.
Sentii il profumo della sua chioma, i suoi respiri caldi e il suo seno contro il mio petto muoversi su e giù. Dormiva beata, mentre io strinsi i denti per le mie ferite. Quelle erano sempre presenti e perfino un corpicino esile come il suo era in grado di riaccenderle.
Niente avrebbe portato alla loro guarigione.
Nessuno era in grado di farle rimarginare una volta per tutte.
E forse, era meglio così.
Una volta arrivati, trasportai Victoria su per le scale che conducevano nella camera negli ospiti reggendola ancora fra le braccia.
Continuava a dormire, imperterrita, non emettendo un singolo suono se non dei sospiri rilassati. Aprii la porta con la schiena e varcai la soglia. La stesi sul materasso e notai com'era davvero corto il vestito che indossava.
Avevo mandato col suo cellulare un messaggio ad Alexa, scrivendo che era tutto okay per non destare sospetto.
Non ricevetti risposta. Molto probabilmente era impegnata in una qualche esibizione o una roba del genere.
Rimasi a guardare il suo corpo che giaceva rilassato sul letto.
Quel Piccolo Fiore stava realmente diventando un problema.
Tempo prima le dissi che per battermi doveva saper fare le sue mosse e giocare con strategia. Ed era quello che stava facendo, perché fu l'unica donna in grado di farmi perdere il controllo di me stesso.
Mi sedetti di fianco a lei, meditando su quello che mi aveva detto.
Luke.
Diceva di averlo visto e che addirittura le avesse parlato. Ma sapevo benissimo che l'alcol fosse potente sulla mente umana e cercai di pensare che forse era stata una semplice allucinazione.
Ma se non fosse stato così?
E se realmente lui si fosse palesato?
Non avrei risposto di me e delle mie azioni.
Capii che da quel momento dovevo seriamente proteggerla a tutti i costi.
Possibile che la polizia ancora non l'avesse trovato? Era davvero così bravo a nascondersi?
«Mmh», borbottò aprendo lentamente gli occhi. «Ho freddo», si lagnò arricciando il naso. «Mi aiuti a toglierlo?»
Dalla sua faccia capii che non era ancora del tutto sobria, specie per avermi fatto quella richiesta. Poi si alzò dal letto, mettendosi di spalle.
«Per favore», pronunciò dolcemente.
Abbassai gli occhi sulla cortezza pericolosa di quel vestito. Era un tubino nero che risaltava ogni centimetro delle sue piccole curve. La cerniera arrivava sino al fondo schiena.
Mi inumidii le labbra con la lingua.
Da seduto alzai le braccia e con una mano le abbassai lentamente la cerniera del vestito che ricadde ai suoi piedi, mostrando l'intimo nero.
Avevo letteralmente il suo sedere a pochi centimetri dalla faccia e il palmo della mia mano si trattenne da non tirarle una sculacciata per la sua disobbedienza.
Lei si girò, donandomi la visione del suo addome, delle sue curve e delle sue cosce snelle. I suoi occhi verdi sbrilluccicavano inebriandomi di un bagliore assoluto.
«Che c'è?» Mi guardò dall'alto e il suo corpo si riempii di brividi che scagionarono nel mio cervello dei pensieri poco puri.
«C'è che vorrei darti una bella lezione», sussurrai con voce roca. «Ma in questo momento sei ubriaca.»
«E allora?» Mi domandò sfacciata e si sedette sulle mie gambe.
Sentii il suo culetto adagiarsi sulla patta dei miei jeans, mentre il sangue si accumulò tutto in un unico punto, proprio dove avvertivo pulsare da quando le avevo abbassato quel vestitino.
«Non devi sederti così su di me.»
Poggiai una mano sulla sua coscia fredda, mentre l'adrenalina viaggiava lungo le mie terminazioni nervose.
Cristo.
«Sennò che fai? Non mi fai venire un'altra volta?» Scoppiò a ridermi in faccia.
«Ti sculaccio.» Ringhiai come un dannato. «Non costringermi a farti il culetto rosso prima del tempo.»
La feci alzare dalle mie gambe.
Sentivo il cazzo così talmente teso che mi faceva male da morire.
Dovevo allontanarmi da lei, subito.
«Vigliacco.»
Si stese sul letto, mettendosi sotto le coperte.
«Vedremo se sarai ancora in grado di parlarmi così quando impartirò la tua punizione.»
«Fanculo.» Mi alzò il dito medio.
«Buonanotte anche a te, mio Piccolo Fiore.»





La mattina dopo arrivai in sala riunioni in anticipo, mentre aspettavo che Thompson finisse di parlare con alcune persone di alto rango.
Mi sedetti al capo del tavolo, ponendo davanti a me il tablet e il cellulare.
Aspettai all'incirca due minuti, quando sentii aprire la porta della sala.
Cominciarono a entrare le donne dell'ufficio amministrazione e bilancio, Thompson, gli addetti alle vendite e poi lei.
Quel Piccolo Bocciolo di Margherita che invase lo spazio col suo senso di colpa e vergogna per la scorsa notte.
Si sedette al mio fianco, schiarendosi la voce.
Non mi guardò, ma afferrò carta e penna per procedere con i suoi appunti.
Li prendeva spesso.
Ammiravo il suo modo di lavorare, dovevo essere sincero con me stesso.
Dall'altro lato si sedette, per mia sfortuna, Cassandra, che forse aveva capito che l'unico modo per non rimanerci male era smettere di sperare che le cose tra me e lei potessero cambiare.
Thompson si sedette di fronte a me, all'altro capo del tavolo.
«Come sapete tra un mese ci sarà la prima asta dell'anno», iniziò a parlare sistemandosi gli occhiali sul naso. «Le richieste per i quadri del Sig. Moore sono state innumerevoli, ma numericamente non bastano per reggere le spese di un'asta. La casa con cui mi sono messo in contatto questa mattina ha preteso il doppio della clientela. Dobbiamo trovare il modo di attirare quanta più gente possibile.»
Con la coda dell'occhio guardai il Bocciolo, intento a concentrarsi mordicchiando la penna.
«Suggerimenti?» Domandò guardandoci uno ad uno.
«Cambiare casa dell'asta?», domandò ingenuamente Cassandra.
Thompson alzò gli occhi al cielo, visibilmente stizzito.
In realtà, non riuscivo a capire come lei potesse lavorare per noi. Era così scontata.
«E se...», Victoria emise un piccolo suono e tutti ci girammo verso di lei. «Se parte del ricavato delle vendite lo dessimo in beneficenza?» Tutti la guardammo e Thompson si chinò in avanti per ascoltarla meglio. «Va avanti Brown.»
«Potremo pubblicizzare l'asta come evento benefico. Attirerà molte più persone, specialmente le più generose.» Finì di parlare e osservò uno ad uno tutti, volgendo l'ultimo sguardo su me. Io annuii lentamente, perché sapevo benissimo che aveva avuto un'idea geniale.
Iniziarono tutti a parlucchiare fra di loro, tranne Thompson che si alzò dalla sua postazione e si avvicinò proprio a lei.
«Tu. Brown», la indicò col dito e la guardò con uno sguardo quasi fiero. «È un'idea geniale.» Le diede una pacca sulla spalla dolcemente e lei gli sorrise.
«Voi.» Si rivolse agli altri. «A lavoro, subito. Chiamate anche gli addetti all'ufficio di grafica e marketing, dev'essere una pubblicità che arrivi anche a capo di New York.»
Cassandra guardò Victoria con uno sguardo pieno d'invidia, ma che non resse troppo a lungo, perché io la fulminai con gli occhi e lei abbassò le sue pupille. Poi si alzò e seguì tutti gli altri fuori dalla sala riunioni.
Lì rimanemmo io, lei e Thompson.
«Che ne pensi Derek?» Mi domandò, rimanendo in piedi tra me e lei e poggiando le mani sul tavolo di vetro specchiato dove eravamo seduti.
Lei rigirava la penna tra le dita ma non ebbe la fermezza e il coraggio di guardarmi, molto probabilmente era ancora abbastanza imbarazzata da ciò che era successo, per cui cominciai a parlare rivolgendomi solo al nostro capo.
«Funzionerà. Molti dei nostri clienti sono abituati a partecipare a campagne di beneficenza. Io e Victoria ci assicureremo che tutto funzioni.»
Thompson annuì e cominciò a camminare avanti e dietro per la stanza.
«Ci tenevo a dirti Victoria che ho sentito parlare bene di te dopo la mostra.»
Lei inarcò un sopracciglio e poi curvò le labbra in un sorriso, arrossendo. «Davvero?»
«Sì. E ho anche una notizia», disse uscendo dal taschino della sua giacca un bigliettino da visita. «Il Sig. Cooper vorrebbe fare un incontro con te.» Lui sollevò il suo sguardo da lei a me, mentre allargai le narici per incanalare quanto più ossigeno possibile.
«Questo è il suo biglietto da visita», li e lo passò mentre lei rimase esterrefatta.
Era felice, contenta, gli occhi si illuminarono e le sue guance continuavano imperterrite ad avvampare.
Quel coglione pensava di trasportare anche lei nel suo gioco dannatamente perverso? Peccato che gli e l'avrei impedito.
Pagava fior di soldi e promuoveva chiunque facesse sesso con lui.
Era malato, oltre che uno psicopatico.
Non capivo come la moglie potesse essere sposata con un viscido come lui.
«Ma di cosa si tratta?», domandò lei girando il bigliettino fra le mani.
«Sicuramente vorrà vedere qualche tuo quadro, ma ti spiegherà meglio lui.» Le fece l'occhiolino. «Pensaci Brown, potrebbe essere uno dei tuoi primi lanci. E Derek Moore non si esimerà sicuramente dall'aiutarti. Insieme fate squadra, e così continuerà ad essere. Buona fortuna.» Concluse quel discorso di incoraggiamento del cazzo per poi dileguarsi dalla sala riunioni.
«Wow», esordì sbigottita mentre io mi alzai dalla mia postazione, trascinando la sedia sul pavimento e facendola trasalire.
«Non illuderti, fa così con chiunque essere umano femminile.»
Lei aggrottò la fronte e mi guardò male. «Ti dà così fastidio che qualcuno mi abbia notata?» Alzò anche lei il sedere dalla sedia, infilando il bigliettino da visita nel taschino dei suoi pantaloni.
«Mi darebbe fastidio se chi ti avesse notata fosse uno psicopatico del cazzo. Non fidarti di lui.»
«E invece dovrei fidarmi di te?», mormorò dando un'occhiata alla porta per vedere se ci fosse qualcuno. «Hai picchiato un uomo. Ancora una volta...»
«Lui voleva approfittare di te, cazzo», dissi con un tono cupo. Strinsi i denti solo a pensare a quella faccia da stronzo. «E tu eri ubriaca.»
Decisi di tralasciare per un attimo il particolare di Luke. Li e l'avrei chiesto appena le acque fra noi si fossero calmate. Non potevo permettere che si chiudesse come un riccio solo per il gusto di farmi un torto.
Doveva parlarmi.
Avrei aspettato il momento giusto. Finché era sotto la mia custodia, non le sarebbe capitato più niente. Anche perché, se fosse successo ancora, sicuramente, l'avrei ammazzato con le mie stesse mani e me ne sarei fregato altamente delle conseguenze.
«Anche se fosse... Potevi ucciderlo. Avresti voluto davvero macchiarti le mani di sangue?» Si avvicinò a me tenendomi testa.
«Per te sì.» Sbottai tutto d'un tratto e lei arrossì. «Ucciderei chiunque ti mettesse le mani addosso senza il tuo consenso, Victoria.» Mi avvicinai a lei mentre le sue pupille si pietrificarono contro le mie. «E forse anche chi ti toccherebbe col tuo permesso.»
Si morse l'interno guancia e il suo sguardo si incupì maledettamente. Sembrava un cerbiatto alla ricerca della sua mamma.
«Non sono di tua proprietà.» Mi puntò il dito contro.
«Direi che ieri pensavi il contrario quando hai posato il tuo sederino sul mio uccello.»
Lei rimase a bocca aperta. «Aspetta, quasi dimenticavo...» Mi avvicinai al suo orecchio e con la coda dell'occhio mi assicurai che non ci fosse nessuno nel raggio di pochi metri. «Volevi essere anche sculacciata, diciamo che non sei così innocente come vuoi far credere.»
«Allontanati. Da. Me.» Sibilò indietreggiando. «Avrei potuto dirti quelle cose solo da ubriaca e così è stato.»
Sghignazzai e afferrai dalla tasca della mia giacca un pacchetto di sigarette appena comprato. Scartai l'involucro di carta e lo aprii. Afferrai con la bocca una sigaretta e posai ancora una volta lo sguardo sul suo.
«Devo ancora impartirti la punizione per non aver rispettato quello che ti ho chiesto.»
«Oh, tu non farai proprio niente.»
«Hai paura di non uscirne viva, Fiorellino?»
«Non ho paura di niente.»
Incrociò le braccia, guardando altrove.
«Dimostri il contrario.»
Esalò un respiro poco convinto.
«Io...», disse prendendosi tra i denti il labbro inferiore. «Io ti ringrazio per esserti preso ancora una volta cura di me, Derek, ma...» La interruppi subito, alzando l'indice.
«Non mi prendo cura di te. Non mi prendo cura di nessuno. Ho evitato solo che la tua vita andasse a rotoli ancora una volta.»
Con quella frase le scoccai una freccia dritta al cuore.
I suoi occhi si fecero lucidi dopo aver realizzato quello che le avessi detto.
Non ero sentimentale, tanto meno romantico o robe simili.
Ero uno stronzo e lei doveva capirlo.
«Sei un bastardo», bisbigliò arricciando il naso e trattenendosi. «Ma va bene così. I tipi come te, come dici tu, non si stancano mai
Lei rigettò la freccia con tutto l'arco, ma ero sempre in grado di deviare ogni colpo dopo quello che avevo vissuto fin da piccolo.
Tenendo la sigaretta tra le labbra, mi avvicinai alla porta e la richiusi.
«Ascoltami bene», dissi tenendo ancora la sigaretta tra le labbra. «Ciò che io ti dico non sono parole che devono essere buttate nel cesso, Fiorellino. Ieri ti avevo chiesto di non ubriacarti, ma non perché io non voglia. Ma perché quel cazzone di Luke Holland è ancora un latitante, porca puttana.»
Lei deglutì.
«So badare a me stessa.»
«No, è qui che ti sbagli.» Afferrai la sigaretta tra l'indice e il medio. «Tu non sai badare a te stessa neanche per il cazzo. Devi ancora imparare.»
I suoi occhi mi scrutarono con tristezza ma allo stesso tempo con la voglia di massacrarmi di insulti.
Sorrisi, perché la vista di una Victoria così arrabbiata con me mi faceva eccitare più di quanto non lo fossi ogni volta che le sue iridi verdi mi scrutavano.
«Ieri avresti ricevuto l'ennesima violenza. Non l'avrei potuto sopportare e credimi se ti dico che mi sarei macchiato volentieri le mani di sangue, questa volta. E no, non puoi passarla liscia, Fiorellino. Devi capire che ad ogni azione corrisponde una conseguenza.»
Sì, la stavo spaventando.
Ma non le avrei mai fatto del male.
L'avrei rispettata, sempre.
Ma dovevo comunque lasciarle un segno.
Non era di mia proprietà, ma era come se lo fosse.
Mi stava entrando nelle viscere e mancava poco che invadesse anche il mio DNA.
Era peggio della cocaina.
Era veleno e antidoto.
«Vuoi farmi soffrire come fanno tutti?»
«No. Peggio.»
Deglutì, facendo un passo indietro. «Voglio che il tuo corpo mi desideri più di quanto ti desideri io. Voglio che il tuo corpo mi dimostri il desiderio carnale, puro e violento di avermi, in una situazione abbastanza scomoda.»
«Che cosa stai dicendo...», disse in un misero fiato.
«Ti manca ossigeno nei polmoni o stai avvampando per le tue mutandine già bagnate?» La provocai, causandole bruciore alle guance.
«Qualunque gioco perverso tu voglia fare, Derek Moore, troverò il modo di vincerlo.»
«La prossima volta ci pensi due volte prima di fare cazzate.»
Mi allontanai da lei, lasciandola nei suoi pensieri con le braccia conserte e lo sguardo nel vuoto.
«Ci vediamo a casa, Fiorellino.»
Chiusi la porta, portandomi via le sue insicurezze e le sue paure, ma sapevo benissimo che non aspettava altro che capire cosa le avessi intenzione di fare.
Tutto per il mio Piccolo Bocciolo.







Ero affacciato nell'immenso balcone che mi donava ancora una volta il cielo teatrale di Brooklyn, mentre aspiravo il fumo.
Avevo parlato con mia madre qualche ora prima: mi disse che si sentiva stanca, amareggiata e che aspettava che uscissi da scuola per preparare il pranzo.
Peggiorava sempre più.
La malattia avanzava, le cure non riuscivano a colmare tutto il suo malessere e l'unica soluzione era sedarla.
Ricordai la torta al cioccolato con le granelle di nocciole che preparava puntualmente ogni anno per il mio compleanno.
Potevo ancora sentire quell'odore. Come l'odore dell'amore che riusciva a trasmettermi tutti i giorni.
Avrei pagato anche con la mia vita per riaverla di nuovo con me. A guardare il cielo, il mare e il tramonto.
Ma non era possibile.
L'unica cosa che mi rimaneva da fare era sperare che quanto meno i farmaci potessero allungare un po' la sua esistenza.
Avrei voluto più giorni per lei rispetto a quanti potevo averne io.
Avrei voluto portarla di nuovo al mare.
Ed ero intenzionato a farlo.
Ciò che pensai di fare era chiedere un permesso per farla uscire almeno qualche ora.
Sospirai e guardai l'orologio al mio polso.
Mezzanotte.
«Cosa dovrei fare adesso?»
La voce di Victoria mi echeggiò nelle orecchie e mi girai di scatto, riprendendo il controllo della realtà e abbandonando tutti quei pensieri.
Indossava un completino sportivo con un top nero e un leggings altrettanto nero, le Nike e i capelli sciolti.
La squadrai, iniziando ad immaginare il suo corpicino sudato sotto il mio tocco.
Mi leccai le labbra e lo sentii già venirmi duro.
Il potere che aveva quella ragazzina su di me non poteva neanche immaginarlo.
«Ci alleniamo.»
Alzò un sopracciglio, mentre io ciccai la sigaretta e la spensi nel posacenere.
Rientrai in casa, chiusi la portafinestra e mi avvicinai.
«E questa sarebbe la tua punizione? Portarmi in palestra? E poi a quest'ora? Sarà chiusa.»
Ridacchiai e mi accorsi di quanto fosse intelligente e al contempo così innocente che avrei scopato anche quel suo lato dannatamente fanciullesco.
«Cammina», le ordinai cupo e afferrai il borsone da terra. «Possibilmente senza farmi troppe domande.»
«Stronzo.»
Ti farò vedere quanto posso essere stronzo, pensai.
Uscimmo da casa e camminammo a piedi per qualche isolato.
«A quest'ora dovremmo dormire, anziché fare questi stupidi giochetti», proferì stizzita mentre tentava di tenermi il passo.
«Imparerai a fare quello che ti dico.»
Lei sbuffò e arrivammo d'innanzi alla struttura sportiva.
Tirai fuori dalle tasche dei miei pantaloni di tuta un mazzo di chiavi, mentre lei si abbracciò per il freddo.
Aprii la porta blindata e la feci subito entrare. La seguii a ruota, chiusi la porta a chiave e accesi l'interruttore delle luci.
«Tu hai le chiavi?», disse guardandosi attorno.
«Sono un uomo pieno di sorprese.»
«Non avevo dubbi, Derek Moore...»
Si tolse il cappotto e la sistemò ad un appendi giacca.
Cominciò a camminare sorpassando la mia figura e potetti avvertire le vibrazioni ansiogene del suo corpo.
Era tesa.
Aveva il respiro corto, le labbra leggermente secche e il sudore attaccato alla fronte.
Avanzava passo dopo passo scrutando tutti gli attrezzi e le macchine, come se non avesse mai visto una palestra in tutta la sua vita.
Eppure, si allenava lì. Non era la prima volta che varcava quella soglia, ma sapevo bene che qualcosa dentro di lei stava cambiando.
Le mani tremanti, i piedi che compivano piccoli passetti poco decisi e la sua deglutizione continua.
Le osservai la schiena semi-nuda per via di quel toppino striminzito e fissai il suo culetto piccino ma sodo al punto giusto.
«Sei ansiosa?»
Mi posizionai dietro di lei e le raccolsi i capelli con le mani.
«Vorrei sapere cosa ci facciamo realmente qui», mormorò e girò il viso verso il mio.
«Guarda dritto», le imposi e lei girò nuovamente il capo.
Vidi goccioline di sudore impregnare il suo collo e scendere lungo la sua schiena.
Divisi le ciocche in tre strisce e cominciai ad acconciarle una treccia. Le mie mani si muovevano esperte e veloci lungo i suoi capelli, intrecciando le ciocche con rapidità.
Lei sospirò, ma restò ferma con la testa.
«Passami l'elastico che hai al polso.»
Strinsi saldamente la treccia e lasciai cadere lungo la sua schiena.
«Derek», disse per poi girarsi verso di me. «Il tempo passa e mi confondi.»
«Ti dona», affermai con voce roca e bassa.
Arrossì per poi deviare lo sguardo da un'altra parte.
«Vai davanti a quello specchio.»
Lo indicai col dito e lei mi lanciò prima una severa occhiata.
«Non aspetterò oltre i tre secondi.»
Ammonii quel suo sguardo così lei fece come le dissi.
Si mise d'innanzi allo specchio, dritta, con le braccia che le ricadevano lungo i fianchi.
Mi sedetti sul sedile di un macchinario alle sue spalle, chinai la schiena e poggiai entrambi i gomiti sulle gambe.
«Adesso ti farò una richiesta.»
Lei mi guardò dal vetro con gli occhi colmi di eccitazione, frenesia e un pizzico di paura.
Sentii il sangue pulsare nel mio basso ventre mentre sfregai le mani per cercare di calmarmi.
Ti farò vedere Fiorellino cosa significa disobbedire a Derek Moore.
«E tu», mi interruppi passando la lingua sulle labbra. «Dovrai eseguire la richiesta senza obiettare.»
Non tolse lo sguardo dai miei occhi e mentre pronunciavo quelle parole, aggrottò la fronte.
«A che gioco stai giocando?»
Mi alzai e la raggiunsi, ponendo entrambe le mie mani sulle sue spalle. Mi attaccai a lei e la mia barba le solleticò la pelle.
«Al gioco in cui tu sei una fedele, che frequenta puntualmente la chiesa e che veneri una sola e unica religione. Quella religione sono io.»
Le mordicchiai il lobo dell'orecchio provocandole dei brividi lungo la schiena.
«Vinci se riesci a non pregare il tuo unico Dio invano. Al contrario, puoi dichiararti sconfitta.»
Scesi con le mani lungo le braccia, mentre il mio tocco le provocava piccoli sussulti.
«Non nominerò Dio per delle semplici carezze», dichiarò guardando i nostri riflessi allo specchio.
«Non saranno delle semplici carezze, Bocciolo.»
Strusciai il labbro lungo il suo collo dandole dei lievi baci umidicci.
«Cosa vuoi, Derek Moore?»
«Sei impaziente.»
«N-no», balbettò e alzai gli occhi sul suo riflesso. Passai la lingua sulla sua pelle che profumava di bagnoschiuma e mi godetti il suo sapore.
Poi pian piano mi allontanai donandole altri brividi.
«Voglio che ti liberi di questa divisa sportiva.»
Le sue labbra si seccarono e dovette passarci la lingua, mentre respirava con affanno.
«C-cosa?» Balbettò ancora una volta.
«Togliti quel leggings e quel toppino. Al resto penserò io.»
Non riusciva a tenere a freno le sue emozioni e questo mi piaceva.
Era un libro aperto che da lì a breve avrei sfogliato.
Delicatamente ma senza fermarmi.
Lei rimase lì, impalata, davanti quello specchio.
«Non farmi aspettare troppo, Fiorellino, altrimenti mi costringi ad agire prima del dovuto.»
Victoria rivolse i suoi occhioni verdi al vetro e buttando giù la saliva cominciò ad abbassarsi lentamente i leggings.
«No, no, no, non ci siamo Bocciolo. Alzali.»
«Derek, per favore...»
«Alzali.» La fulminai con lo sguardo, quasi ringhiando.
Se li alzò in fretta.
«Voglio che mi guardi attraverso il vetro. I tuoi occhi devono essere solo miei. Le tue iridi devono fondersi con le mie. Non guardare nient'altro. Ti voglio inchiodata a me.»
Le sue guance ribollirono, tanto da macchiarsi di un rosso intenso.
La tensione arieggiava e un fuoco si accese nel mio animo e nel suo, e difficilmente si sarebbe spento.
Incastrò le sue pupille nelle mie, e, sedendomi nuovamente alla mia postazione, mi godetti lo spettacolo.
I nostri occhi ardevano, si mangiavano ed erano totalmente veneranti gli uni verso gli altri.
Si stavano fottendo a vicenda.
«Okay, Fiorellino. Adesso puoi ricominciare.»








SPAZIO AUTRICE
Ciao a tutt* Piccoli Fiori, vi ho pubblicato il capitolo ventitrè dopo due giorni dalla pubblicazione del capitolo precedente. Ma ho così tante idee nella testa che le mie dita hanno cominciato a digitare per ore e ore, e, inaspettatamente, sono riuscita a concluderlo prima del dovuto.
Spero che la storia vi stia piacendo e appassionando: intrighi, tensioni e passione saranno gli elementi chiave dei prossimi capitoli...


Se vi va lasciatemi una stellina e un commentino :)

Se volete scambiare qualche chiacchiera mi trovate su Instagram e TikTok col nick @higracehall


PS. Il prossimo capitolo sarà molto spicy...

Alla prossima.

Grace Hall

The Silence of a PromiseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora