31
Derek
"Ricordo il suo respiro affannato tra un bacio e l'altro e negli occhi una passione,
perversione ingenua e innocente. Era l'inferno e il paradiso della mia anima sola che vagava tra le altre."
- Charles BukowskiAvevo voglia di scoparla un'altra volta.
Era un istinto primordiale che non riuscivo a mettere a freno. L'avrei scopata più forte, in maniera più rude. Volevo farla gridare.
Renderla mia, più di quanto non lo fosse già stata ed era in quel momento.
Cazzo.
Mi sentivo un drogato.
Drogato di lei.
«E se io ti dicessi di no, tu rimarresti comunque con me stanotte?»
Non avevo mai concesso quel lusso a nessuna. Non l'avrei fatto neanche con lei, nonostante avessi voluto.
Era un qualcosa di troppo intimo per me, troppo sentimentale e troppo... Dolce.
Io non ero così. O meglio, con lei mi sentivo diverso. Così diverso da dubitare di me stesso.
Le accarezzai con l'indice il viso sudato e terribilmente rosso.
«Mi diresti davvero di no?», le risposi con un'altra domanda, osservando come le sue lentiggini sbrilluccicassero al chiaro della luna.
Diamine se era bella.
Era tutto ciò che di delicato potesse esistere.
Era tutto ciò che andava contro la mia natura e che io avrei distrutto se avesse continuato a darmi corda.
Lei rimase a guardarmi con un bagliore diverso. I capelli lunghi castano chiaro le ricadevano sul seno, le labbra gonfie e lucide la rendevano attraente, così come i suoi occhi verdi lucidi accecati dall'orgasmo intenso che aveva provato poco prima.
«Ti direi che non voglio che tu vada via.» Strinse le lenzuola attorno al suo corpo, coprendosi totalmente.
Iniziai ad avvertire il caldo: la mia camicia era sudicia, così come il resto del mio corpo.
Poco dopo aver finito, mi rimisi i boxer e rimasi disteso con le maniche della camicia arrotolate.
Forse dovevo andare via da lì, dovevo allontanarmi da lei prima che potesse fare qualcosa che poteva nuocere al mio segreto.
Si stava già ponendo delle domande: perché non mi spoglio? Perché lei non può toccarmi?
Cazzo, lo desideravo davvero. Al contrario di tutte le donne che mi ero scopato, io... Volevo le sue mani e la sua bocca sul mio petto, sul mio addome, su ogni parte nuda del mio corpo, ma non potevo permettere di mettere a nudo le mie fragilità.
Nessuno avrebbe mai conosciuto quel lato, lo ripromisi a me stesso.
«È tardi Fiorellino. E tu hai bisogno di riposare.» Le diedi un bacio casto sulla fronte che sapeva di lei e del sesso che avevamo appena fatto.
Non ricordavo di aver provato un orgasmo simile a quello che provai con lei quella notte.
Non ero così preso da una donna da troppo tempo o, forse, non lo ero mai stato.
Avevo bisogno ancora di baciarla, di consumarla e di nutrirmi di tutte le sue energie, ma sapevo bene che alle mie ferite e ai miei demoni non sarebbe piaciuto se fossi andato oltre.
Mi alzai a malincuore dal letto, mentre lei restò ad osservarmi.
«Non hai caldo Derek?», mi domandò sollevandosi dal materasso.
«Sto bene.» Risposi mentre mi accinsi a rimettermi i pantaloni.
Sentii i suoi passi dietro di me e il suo calore inondarmi sin dentro le ossa. Le sue mani, calde e soffici, posarono all'altezza delle mie braccia, sulla mia camicia sudicia.
«Vorrei toccare la tua pelle», mormorò con un leggero velo di desiderio nel suo tono di voce. «Fatti vedere, Derek», disse ancora. «Fatti scoprire... Fatti baciare nei tuoi punti più sensibili.» Si alzò in punta di piedi e mi diede dei baci leggeri sul collo che mi fecero rabbrividire. Scrocchiai il collo e per un attimo fui tentato di lasciarmi andare per davvero.
La sua bocca e gli strascichi dei suoi baci sulla mia pelle ruvida me lo fecero diventare di nuovo duro.
Era tremendo il potere che, a lei sconosciuto, aveva su di me.
Portò le mani sul mio petto e strinse il tessuto della camicia, avvicinandosi pian piano ai bottoni.
Chiusi gli occhi per qualche secondo mentre il suo corpo nudo posò sul mio e mi lasciai trasportare nel suo mondo. Un mondo meraviglioso a cui io, però, non potevo avere accesso.
Sbottonò il primo bottone, mentre continuò a lasciarmi dei baci umidi. Contrassi le mascelle, mentre sentii il cuore uscire dal petto.
Ricordati chi sei.
La vocina nella mia testa si palesò, e, mi fece ritornare alla realtà. Sbarrai gli occhi d'improvviso e mi distaccai da lei. Mi abbottonai la camicia in fretta e iniziai a sudare freddo.
«Non persuadermi, Victoria.» Affermai per poi girarmi verso di lei.
Lei frettolosamente afferrò il lenzuolo e, delusa, si coprì. «Cosa pensi Derek? Che da te voglia solo sesso?» Mi domandò, puntandomi il dito contro.
«Non posso darti nient'altro.» Risposi cinico.
I suoi occhi sbrilluccicavano di lacrime che, però, non avevano il coraggio di scendere lungo le sue guance.
Mi stavo comportando da vero stronzo, e, maledizione, mi sarei dato una sberla in faccia da solo.
Ma dovevo proteggerla.
Da me stesso.
«Mi sono concessa a te e questo è tutto ciò che hai da dire?», mormorò afflitta.
Volevo dirle che mi era piaciuto e che avrei continuato per tutta la notte.
Volevo dirle che non potevo spogliarmi perché portavo cicatrici profonde che non avevo il coraggio di mostrare.
Volevo dirle che era la prima donna con la quale non avevo usato il preservativo, la prima che scopai con dolcezza e passione.
La prima a cui avevo concesso di avere il controllo.
Volevo dirle, anche, che ero drogato di lei irrimediabilmente e incontrollabilmente.
La guardai negli occhi e potevo leggerne il disprezzo che provava nei miei confronti.
Ma cazzo, se mi faceva battere il cuore a mille.
«Va' a dormire.»
Mi girai e cercai di mantenermi composto, per poi avanzare verso la porta.
«Vaffanculo Derek!», esclamò ma non ottenne alcun tipo di reazione da me.
Perché aveva ragione.
«Siete tutti uguali! Tutti!», continuò buttandomi addosso tutta la sua rabbia. «Sei un vigliacco! Non posso credere che io mi sia concessa a te... Non avvicinarti più a me Derek. Vaffanculo!»
Varcai la soglia di uscita e con un velo di profonda incertezza, richiusi la porta alle mie spalle.
«Fanculo!», ripeté ancora una volta, mentre io uscii definitivamente dalla stanza.
Ero talmente combattuto che mi sentivo di star per toccare l'apice della follia.
La mia testa impazzì e non riuscii a pensare lucidamente. Sapevo che stavo sbagliando tutto, fin dal primo giorno.
Posai la mano nuovamente sulla maniglia. Rimasi fermo, impalato, davanti alla sua porta chiusa.
Siamo noi la tua casa.
Il mio demone interiore cercò di avere la meglio sul desiderio irrefrenabile di renderla mia in tutti i sensi. Non riuscivo a togliermela dalla testa.
Non riuscivo a far tacere le sensazioni che provavo quando toccavo il suo corpo, quando tremava al contatto col mio.
Era così pura, stretta, bagnata solo per me e io avvertii il bisogno di sentirla ancora.
E ancora.
La desideravo così tanto le avrei consumato ogni centimetro di pelle. Sino a quando non mi avrebbe pregato di smetterla.
Non doveva avere più fiato e forza.
Volevo prendermi tutto di lei.
Dopo dei secondi interminabili, riaprii nuovamente la porta e la trovai nello stesso punto in cui l'avevo lasciata qualche secondo prima.
Lei sussultò, stringendo la coperta a sé stessa e rimanemmo a fissarci con gli occhi desiderosi ma consapevoli dell'ennesimo errore.
Le nostre pupille si attraevano come calamite.
Sarei stato un pazzo ad andare via e maledicevo me stesso per la mia terribile incoerenza.
Ma infondo, non mi sarei stupito se si fosse stancata di me.
«Mi fai incazzare», mormorai stringendo talmente forte la maniglia della porta che le nocche divennero bianche. Lei posò lo sguardo sulla mano e rialzò di nuovo i suoi occhioni verdi, intrisi di lacrime. «Mi fai incazzare perché non riesco a starti lontano.»
Richiusi violentemente la porta alle mie spalle e sospirai.
Lei fece un passo indietro e io uno in avanti, fino a quando non mi ritrovai con la fronte poggiata alla sua.
«Va via.» Serrò gli occhi, guardandomi con disprezzo.
Le presi il viso con una mano, stringendo le guance e lei alzò il mento, allineando perfettamente le nostre pupille.
Non avrei mai smesso di guardarla e venerare ogni suo singolo dettaglio.
«Sei il mio veleno e il mio antidoto.» Le posai una mano sul fianco, stringendo la pelle.
Lei sussultò, notando quel gesto.
«Cosa significa?», mormorò ad un centimetro dalla mia bocca.
«Che saresti in grado di ferirmi, ma al contempo sei il rimedio ai miei guai e alla mia fottuta dannazione», dissi lambendo le sue labbra.
Passò le sue dita dolci e sottili sul cenno della mia barba e chiuse gli occhi, poggiando la sua fronte sulla mia. «Ti farei del bene, Derek, se tu me lo permettessi», asserì chinando lentamente il viso.
«Sai come mi faresti del bene adesso, Fiorellino?»
«Dimmi come.» Attorcigliò le sue braccia attorno al mio collo, respirando sulla mia bocca.
«Se ti lasciassi scopare come solo Derek Moore sa fare.»
Riaprii lentamente gli occhi. «Sii di nuovo mia. Sii mia per sempre.»
Altri secondi interminabili passarono davanti a noi, mentre ci consumavamo con gli occhi e ci saziavamo con i nostri stessi sospiri.
Un'intensa scarica adrenalinica mi riempì, contraendo ogni singolo muscolo del mio corpo. Scrocchiai il collo, irrigidii le braccia e decisi di passare all'azione.
Mi sbottonai velocemente i pantaloni lasciandoli ricadere sul pavimento, rimanendo in boxer. Mi sollevai le maniche della camicia e la osservai con intensità estrema.
Lei tremò sotto le mie iridi, deglutì a fatica mentre si morse il labbro inferiore.
Lei poteva essere la mia rinascita o semplicemente la mia dolce condanna.
Le ali con cui avrei spiccato il volo o chi mi avrebbe raso al suolo con uno schiocco di dita.
Chi avrebbe cicatrizzato le mie ferite o chi le avrebbe fatte sanguinare, ancora una volta.
Ma io non ero sicuro di voler sapere la risposta.
Lei posò lo sguardo sul mio corpo per metà nudo. Fece ricadere sul pavimento il lenzuolo, scoprendo il suo magnifico corpo.
Era una tela perfetta.
La mia opera d'arte.
Arrossì mentre il mio sguardo scottante bramava la sua candida pelle. Poi mi abbassai lentamente i boxer, non trascurandola con gli occhi neanche per un attimo.
«Ti piace quello che vedi?»
Annuì.
«Rispondi.»
«Mi piace.»
L'afferrai dalle gambe e la presi in braccio, palpando i suoi glutei. Lei fece un sospiro sorpreso per poi ricomporsi.
«Lo vuoi?»
«Lo voglio.»
Iniziai a camminare reggendola dalle cosce ed entrai nel bagno in suite.
«C-cosa vuoi fare?»
«Scoparti qui dentro mentre l'acqua del soffione soffoc le tue urla.»
Varcai l'interno della doccia vetrata che adornava il bagno in suite.
Contrassi i bicipiti e i tricipiti delle braccia, poggiando la sua schiena al muro freddo.
Una scossa di brividi le risalirono lungo la schiena e si morse il labbro inferiore. Intrecciò saldamente le gambe al mio bacino, schiacciata tra me e le mattonelle specchiate della doccia.
Aprii il getto d'acqua fredda che ricadde sui nostri corpi bollenti.
Il contrasto caldo-freddo riempì il suo corpo di lievi spasmi.
Ci guardammo negli occhi mentre le goccioline d'acqua scendevano lungo i nostri visi, le nostre bocche e i nostri corpi eccitati.
«Fammi dimenticare tutto, per una notte», sussurrò al mio orecchio mentre iniziai a strusciarmi contro di lei.
«Quello che devi ricordare», iniziai a parlare e con un colpo secco affondai nel suo corpo. Lei infilzò le unghie nella mia carne. «Solo e unicamente...», ritrassi il pene e dopo qualche secondo entrai nuovamente, spingendomi più in profondità.
Ansimò buttando la testa indietro e mentre soffocava gemiti profondi, il mio animo selvaggio si fece sentire.
«...Che non permetterò a nessuno di toccarti, sfiorarti, guardarti in modo non consono e soprattutto, Mio Dolce Fiorellino...», ansimai anch'io, quando, mi ritrassi ancora una volta ed entrai con violenza cominciando a spingere più forte.
Lei strillò tutto d'un tratto mentre boccheggiava, tentando di esalare un respiro sotto l'acqua. «...Ricorda che il tuo corpo, i tuoi occhi, la tua anima, il tuo cuore, la tua pelle, la tua bocca... Appartengono a me. Sei mia, Victoria Brown», ringhiai mentre la sollevai dalle gambe cominciando a scoparla senza alcun ritegno.
«Cazzo», gemette sulle mie labbra mentre il rumore del fruscio dell'acqua ci faceva compagnia.
«Fammi sentire come godi, Piccolo Fiore», sussurrai eccitato continuando a muovere il mio bacino contro il suo.
Si aggrappò alla mia schiena, graffiandomi leggermente.
Non scopai mai nessuna sotto la doccia.
Per me era il posto dove incontravo i miei mostri e i miei demoni, dopo una giornata di autocommiserazione.
E quel giorno, quella notte, per me fu la prima.
Mi sentivo un essere superlativo, superiore a chiunque e disperatamente forte.
Il posto in cui incanalavo le mie insicurezze, divenne il posto in cui mi sentivo un Dio.
Grazie a lei.
Mi appagava così tanto da farmi sentire vivo.
Ad ogni gemito, la mia anima sussultava e la mia goduria andava oltre qualsiasi limite.
«E-e t-tu Derek?», balbettò mentre irrigidii le gambe e io strinsi ancora di più la presa, tenendola stretta.
Io mi sento così fottutamente tuo, Fiorellino.
«Pensa a prenderti tutto me stesso, Piccola Vic», dissi tra un ansimo e un altro. La sollevai di più per baciarle il collo con passione, mentre scivolavo dentro di lei.
La colpii forte e mi mossi in maniera esperta, come se conoscessi da tempo il suo meraviglioso corpicino.
«Oh Derek...», scansò la testa dal getto e cominciò a boccheggiare per prendere aria. Spostò le sue mani sui miei glutei stringendoli fra i palmi delle mani.
«Ti scoperei tutta la notte», ansimai dal piacere sino a gemere ad ogni colpo violento che le davo.
«R-rallenta...», disse mordendosi il labbro. Aumentai sempre più il ritmo, fino ad avere poco fiato nei polmoni ma ne volevo sempre di più.
La volevo continuamente.
Era un circolo vizioso che non avrei mai smesso di desiderare.
I miei capelli bagnati scivolarono lungo la mia fronte, la camicia era zuppa e aderiva perfettamente al mio corpo scolpito.
Sentii i suoi capezzoli turgidi poggiare sul mio petto e la sua bocca cercare la mia.
«Mi vuoi baciare, Bambolina?»
«Sì, per favore», rispose affermativamente mentre le nostre labbra si sfiorarono.
Non me lo feci ripetere due volte, e, le insinuai la lingua nella bocca, baciandola in maniera rude.
Lei allungò il bacio e tentò di starmi al passo, ma io ero preponderante, fin troppo.
Ma poi mi venne voglia di guardarle il culetto così perfetto, e la feci scendere dal mio bacino, adagiandola coi piedi per terra.
«Derek?», mi osservò stupita, alzando un sopracciglio. Poi riprese ossigeno e chiuse un occhio per guardarmi meglio.
«Voltati, Fiorellino.»
Deglutii mentre con tranquillità si voltò, poggiando i palmi delle mani alle mattonelle della doccia.
Con i polpastrelli le accarezzai le natiche.
«Adesso piegati.» Afferrai la sua chioma e la strinsi in un pugno.
Lei esitò per un attimo, mentre io le tirai i capelli costringendola a fare ciò che le avevo chiesto.
«È imbarazzante», sussurrò e mi avvicinai a lei, piegandomi leggermente. Le accarezzai il clitoride gonfio con l'indice.
«Con me non sentirti mai in imbarazzo, Bambolina. Sei così bella che voglio avere per me ogni parte di te... Ogni tuo angolo di pelle, persino il più nascosto.»
Lei gemette sotto il mio tocco e iniziò a tremare come una foglia.
Mantenendo ben salda la presa alla sua chioma, allontanai la mano dalla sua intimità per poi tirarle una pacca sul gluteo destro.
«Derek!», strillò trattenendo il fiato.
«Zitta.» Ordinai e le tirai un'altra pacca, più forte della prima. «All'inizio fa male ma poi...», afferrai la mia lunghezza e affondai di nuovo nella sua fica bollente e bagnata nonostante l'acqua fredda incombesse sui nostri corpi.
Piagnucolò per l'appagamento che le provocai e inarcò la schiena.
«Il piacere è così intenso da non lasciarti respirare...» Conclusi la frase e le afferrai con le mani i fianchi, sbattendola contro il mio bacino.
«Oh mio dio», imprecò e questo mi eccitò sino allo stremo.
Spensi il soffione per godermi le sue grida mentre i nostri corpi si amalgamavano in maniera così perfetta tanto da sembrare surreale.
«Voglio sentirti gridare il mio nome, Piccolo Fiore. O stasera non ti concederò l'orgasmo.»
Aumentai ancor di più la velocità, stringendole i fianchi.
Il suono dei suoi glutei a contatto col mio addome mi fece impazzire, ma mi dovetti trattenere per non lasciarmi andare ad un orgasmo intenso, mai provato nella mia vita sino a quell'istante.
«Io... Derek», esclamò quasi all'apice del suo piacere.
«Chiamami Bambolina», le dissi mentre il mio pene, ad ogni spinta, veniva risucchiato dalla sua fica stretta, ma desiderosa di ogni colpo.
«Derek!» Urlò, stringendo i pugni contro il muro e lasciandosi andare ad un orgasmo intenso e profondo, che risuonava come una melodia dolce alle mie orecchie.
«Oh sì, Piccola Vic», mormorai e sentii il mio sperma invaderla completamente.
Mi abbandonai anch'io, mollando la presa dei suoi fianchi.
Ero esausto, ma, l'avrei fatto ancora e ancora pur di averla di nuovo.
Ero ossessionato dal suo corpo e nessun altro placebo, nessun'altra donna, era in grado di calmare il desiderio irrefrenabile di quel Piccolo Fiore.
Le sue gambe erano tremanti, così come il suo corpo.
Sollevai i boxer da terra e me li infilai di fretta.
Dopo di che, lei si alzò lentamente e così, avvolsi il suo corpo in un asciugamano.
La asciugai, per poi prenderla fra le braccia e portarla a letto. La distesi lentamente mentre lei si avvolse attorno al lenzuolo.
Mi sedetti al suo fianco e, ancora col corpo umido e bagnato, la guardai negli occhi.
Furono in grado di ipnotizzarmi e di scuotermi ogni neurone del cervello.
«Rimani?», domandò in un sussurro e desiderosa di una risposta positiva.
Avrei voluto dirle di sì, ma il mio animo mi ricordò chi fossi e che molto probabilmente sarei dovuto ritornare nella mia stanza.
«Victoria sai bene che...»
Per la prima volta fu lei ad interrompermi, afferrando la mia mano.
«Non hai voluto che ti toccassi, che ti spogliassi, almeno rimani con me stanotte.»
Ci pensai un po'.
Aveva le labbra gonfie che avrei baciato ancora, la fronte sudata e i capelli appiccicati all'attaccatura della fronte.
Ma era sempre uno spettacolo divino da osservare.
Mi stava proponendo un compromesso?
Nessuna domanda, ma dovevo rimanere con lei.
Forse potevo per un attimo non ascoltare i miei demoni, ma solo me stesso.
In realtà, sapevo che non avrei avuto bisogno di un compromesso.
Lo volevo.
Sarei rimasto a vegliare su di lei e forse, le avrei donato un risveglio con la mia bocca in mezzo alle sue gambe.
Accantonai per un attimo quel pensiero e mi concentrai nuovamente su di lei.
Fallo, ma sarà la prima e ultima volta, Derek. Sussurrò in maniera glaciale il mio demone interiore.
«Okay, Fiorellino.» Lei sorrise, facendomi spazio.
«Mi vado a cambiare, okay?» Annui e si mise comoda.
«Non farmi aspettare.»
Sospirai e mi diressi verso la mia stanza, esattamente di fronte alla sua.
Varcai la soglia frettolosamente, sbottonando la camicia e scoprendo il mio petto pieno di cicatrici.
Come potevo mostrarle i segni delle mie infinite guerre?
Me ne sarei vergognato, sino alla fine dei miei giorni.
Quando guardavo quei solchi, simbolo della mia sofferenza e delle mie debolezze, mi facevo solo schifo.
Provavo ribrezzo per non essere riuscito a uscire dal mio passato tormentato.
Ma molto probabilmente quella era una delle mie tante condanne e la vita avrebbe continuato a punirmi.
Optai per una felpa nera a maniche lunghe col cappuccio e un pantalone di tuta grigio che aderiva alle mie gambe muscolose.
Poi richiusi la porta alle mie spalle e rientrai di nuovo nella sua camera.
Notai che si era addormentata ed era bella anche in dormiveglia.
Non potevo perdere quell'immagine così appagante, quell'opera d'arte meritava di essere ritratta.
Le mie mani erano desiderose di dipingere su tela il suo viso.
Sarebbe stato un quadro perfetto.
Mi avvicinai alla scrivania che adornava la camera e aprii la valigetta da lavoro che Victoria si portò con sé.
Afferrai un foglio d'album e una matita. Avvicinai la sedia al suo letto, e mi posizionai di lato per avere una visione migliore.
Guardai attentamente ogni singolo dettaglio del suo viso e così iniziai a ritrarla.
Disegnai con minuziosità ogni suo segno particolare, dai nei sul viso, alle sue lentiggini distribuite sugli zigomi, sino ad arrivare ai suoi capelli scompigliati.
Mi concentrai, continuando a studiare ogni dettaglio che potesse rendere realistico il disegno.
Cosa mi stai facendo, Fiorellino?
Quella era la domanda che bazzicava nella mia testa come un martello pneumatico.
Cosa. Mi. Stava. Facendo?
Perché mi sentivo così tanto legato a lei?
Dannazione.
Passai un'ora ad ultimare il disegno e mi resi conto che erano le quattro del mattino.
Fu una notte insonne ma che passai a scopare la mia stagista per poi ritrarla mentre dormiva.
Ma quel giorno mi sembrò giusto così.
Lei era giusta. La persona sbagliata ero proprio io e non smisi nemmeno un minuto di pensarlo.
Non volevo farle del male, ma al contempo non riuscivo a starle lontano.
Finii ufficialmente il mio ritratto e decisi di dedicarle una frase. Ma sapevo bene che non ne sarebbe mai venuta a conoscenza, proprio perché, non le avrei mai mostrato quel disegno.
Era un altro dei miei segreti che avrei tenuto custodito dentro di me.
Girai il foglio al contrario e iniziai a scrivere:"Ricordo il suo respiro affannato tra un bacio e l'altro e negli occhi una passione, perversione ingenua e innocente. Era l'inferno e il paradiso della mia anima sola che vagava tra le altre.
- C. B."
Perché lei era perversa, ingenua e innocente.
Era l'inferno e il paradiso della mia anima, che avrebbe continuato a vagare sola o mano nella mano con la sua.
Doveva solo concedermelo.SPAZIO AUTRICE
Ciao Piccoli Fiori, finalmente sono riuscita a postare il capitolo 31. 🖤
Spero vi piaccia quanto sia piaciuto a me scriverlo!
Se vi va, lasciatemi una stellina 🌟
Vi voglio tanto bene.
Alla prossima 🖤
Grace Hall
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The Silence of a Promise
RomanceHo fatto un gioco con un Piccolo Bocciolo di Margherita. La bambina mi ha promesso di non parlare. E se avesse parlato, le avrei staccato i suoi petali e le avrei fatto male. Proprio come hanno fatto con me. Ho fatto una promessa. Non ricordo ben...