Victoria
"Sul capo biondo delle margherite, sui miei capelli, sul mio collo nudo, dal cielo alto si sfaldava il vento."
Antonia Pozzi
«Allora, com'è? È un fico?» Cercai di tenere a bada l'entusiasmo della mia amica Alexa, ma sembrava incontrollabilmente priva di ogni contegno. «Hai dato una sbirciatina in basso?», sgranai gli occhi alla sua affermazione.
«Alexa!» Squittii dall'altra parte della cornetta. «È un rapporto di lavoro, e nient'altro!»
«Okay...» Sghignazzò divertendosi palesemente nella sua presa in giro. «Ma, adesso devi dirmi la verità. Smettila di fare la casta e pura solo perché sei fidanzata!» La sua allusione al mio pseudo fidanzamento mi fece riflettere, e in realtà, anche rattristire. Mi sentivo di vivere in una situazione che non mi faceva stare più bene, e, per giunta, non proferii parola con lei di ciò che mi aveva fatto Luke.
Non ebbi il coraggio.
E comunque non volevo coinvolgerla. Dovevo risolverla per conto mio.
«Diciamo che è...» Attorcigliai il filo della cornetta attorno al mio indice, mentre stavo spaparanzata nel mio letto matrimoniale a fissare il soffitto. Non sentii Alexa controbattere ma ero certa della sua intrepida attesa alla mia risposta. «Tenebroso.» Conclusi.
Non seppi dare una chiara definizione di quell'uomo. Era alto, molto più di me, un velo di barba gli contornava il viso e aveva i capelli neri e folti. Gli occhi marroni, delle ciglia abbastanza lunghe e delle labbra carnose. Aveva un fisico tonico, la camicia e la giacca aderivano perfettamente al suo corpo, che sembrava disegnato e scolpito. Le gambe slanciate e le cosce formose erano segno che sicuramente era un tipo al quale piaceva allenarsi.
«Affascinante, riservato, colto, ma allo stesso tempo mi ha destato un po' di imbarazzo, disagio e un senso di vuoto nel petto», sospirai. «Non so neanche perché ti sto dicendo queste cose Alexa, ma... C'è qualcosa in quell'uomo che mi incute angoscia.»
«Senti, amica mia, secondo me sei solo agitata», afferma e capii che forse aveva ragione. «Vedrai che più passeranno i giorni e più ti tranquillizzerai. Infondo, è pur sempre qualcuno che dovrà giudicarti, e sappiamo entrambe che tu non sei un'appassionata di giudizi. Non sopporti queste situazioni scomode...» Alexa mi conosceva fin troppo bene. Anche più di quanto mi conoscessi io.
«Sì, hai ragione, penso sia ansia da prestazione e... Ho paura di non soddisfare le sue aspettative.» Confessai smaniosa.
«Sappiamo entrambe che ce la farai, anzi, le supererai. Sei brava, hai talento e hai studiato così tanto per arrivare fino a qui. Non è un caso che su un migliaio di persone, abbiano scelto te, Vic. Io credo in te.»
Sorrisi dall'altra parte del telefono.
Alexa era la persona di cui mi potevo fidare di più, con la quale potevo parlare di tutto, senza temere mai il suo giudizio. Perché sapevo bene che lei non giudicava le mie scelte, anzi, cercava sempre di appoggiarmi e di capirle.
«Hai la capacità di ascoltare e comprendere le persone e sei una ragazza così tremendamente sensibile e dolce, sono sicura che ti farai amare e capirai perché ti ha trasmesso queste sensazioni.» Termina il suo discorso, e fu capace di tranquillizzarmi. Poi riprese con le sue solite domande scomode. «Ma adesso, mia cara Vic, quanti anni ha?» Ritornò il timbro divertito e furbo.
Alzai gli occhi al cielo. «Ma non lo so Alexa, non penso mi sia dato saperlo», risposi in imbarazzo. «Ma suppongo non più di trenta.»
«Cosa?» La voce sbigottita della mia amica mi provocò uno sghignazzo. «Trenta? Trenta? Cazzo, sei la donna più fortunata della terra Victoria Brown!» La sua voce cristallina mi fece allontanare la cornetta dall'orecchio e strizzai un occhio.
«Ma non sai neanche che aspetto abbia», le risposi mantenendo ben salda la mia razionalità. Anche se sapevo benissimo che un uomo così era difficile da incontrare... Era davvero bello.
O come direbbe la mia amica, un Fico.
«Diamine, parliamo di un insegnante trentenne, moro, alto, bello, affascinante... Sembra l'inizio di un film por...» La interruppi immediatamente e la sgridai, perché sapevo benissimo cosa stesse per dire.
«Santo cielo!» Squittii. «Smettila!» Lei scoppiò a ridere prendendomi ancora in giro. Io poi la seguii, abbandonandomi a quella leggerezza che ormai mi mancava da tempo.
«Sei così adorabile Vic», finii di ridere e io mi ricomposi.
Riconobbi che non aveva tutti i torti, ma non potevo assolutamente lasciarmi distrarre dalla bellezza incantata di quell'uomo. I miei obiettivi erano altri e di certo non volevo impelagarmi in ulteriori situazioni scomode. Non cercavo un uomo, anche perché un tipo come Luke Parker al mio fianco bastava e avanzava.
Sentii il campanello suonare e mi alzai con la schiena dal materasso. «Devo riattaccare, ci sentiamo dopo okay?» Udii un sì dall'altra parte, così riposizionai il telefono sul mio comodino e mi recai alla porta d'ingresso.
Non aspettavo nessuno, in realtà.
Spiai dalla finestra per capire chi fosse e un brivido mi percorse la schiena. Deglutii e aprii leggermente la porta, lasciando solo una piccola fessura per far sì mi sentisse. «Va' via... Non voglio vederti.» Mi accinsi a richiudere quello spiffero, quando la sua mano me lo impedì.
«Aspetta, non ero in me, ero ubriaco come la merda», disse con voce tremula. «Apri questa porta... Ho bisogno di te.»
Amareggiata, decisi di aprirgli, ma mi allontanai dalla sua figura per impedire al suo corpo di sfiorarmi. «Che cosa vuoi? Se pensi di farmi pena, hai sbagliato persona, Luke.»
Allungò una mano per accarezzarmi il viso, ma mi schivai. «E ti prego, non mi toccare...» mormorai con le lacrime agli occhi.
Dannata sensibilità.
«Sono stato uno stronzo, lo so. Ma non posso fare a meno di te, Vic. Credimi. Sono stato una merda tutto il giorno...» Lo interruppi nel pieno del suo monologo mentre tentava di ammorbidirmi il cuore.
«E come credi che sia stata io? Credi che sia stata meglio di te? Mi hai lasciata così, come se fossi uno zerbino da calpestare, cazzo!» Lo spintonai con entrambe le mani sul suo petto.
Mi illusi di riuscire ad avere la meglio su di lui, almeno una volta. Ma durò poco, così incredibilmente, poco.
«Lo so, lo so, lo so», si avvicinò a me e riuscii a prendere tra i palmi delle sue mani le mie guance. «Ma ti prometto che non accadrà mai più, perché io ti amo. Ti amo Vic. Mi devi credere.»
Voltai il mio sguardo sul pavimento, dove la sera prima il mio corpo è giaciuto dopo il suo schiaffo. Sospirai, facendo sollevare leggermente il mio capello dalla fronte. «I miei genitori hanno così tanti debiti che vogliono cacciarmi di casa. Lo sai questo? E io non so dove andare senza un lavoro e senza i soldi. Sarei un senza tetto. Lo capisci?»
«Non è un mio problema», riuscii a dire. Tolsi le sue mani dal viso e mi voltai, camminando avanti e dietro nel mio salone di casa. Avevo ultimato di sistemare gli ultimi pacchi dopo il mio rientro e avevo più spazio a mia disposizione per allontanarmi da Luke. «Dopo il collage non hai mai voluto cercare un lavoro, perché dicevi che eri troppo ricco, che non ne avevi bisogno. Dicevi che tua famiglia nobile e benestante ti avrebbe mantenuto. E ora?»
«Si è indebitata fino al collo... E ora», un singhiozzo mi fece sussultare. Stava piangendo. «E ora mi hanno dato la colpa... Sono dei dispregevoli stronzi, maledizione. Se mi ami, ti prego, aiutami.» Si inginocchiò davanti a me e mi pregò di aiutarlo.
Il mio cuore non riuscì a reggere: sapevo che, se non l'avessi aiutato, mi sarei sentita in colpa per tutta la vita. Non potevo lasciarlo così, in bilico fra la sofferenza e lo smarrimento. Non mi sembrava neanche il momento di affrontare il discorso "separazione". Anche se, in cuor mio, sapevo che prima o poi l'avrei fatto. Ma decisi di pazientare ancora un po'.
Profondamente angustiata posai una mano sulla sua spalla. «Alzati», sussurrai. «Ti aiuterò, okay, ma solo per qualche giorno.» Lui si rialzò subito e mi strinse forte al suo corpo.
«Grazie amore mio», mi prese il viso con entrambe le mani e mi guardò negli occhi. «Sarà anche un modo per condividere un po' di tempo insieme, non trovi? Ultimamente ti sento così lontana da me...» Si avvicinò al mio volto e accarezzò le mie labbra con le sue.
«Ti mostro la tua stanza, okay?», mi distaccai.
Sapevo a cosa sarei potuta andare incontro e dovevo assolutamente mettere le cose in chiaro fin da subito. Lui mi faceva sentire desiderata, ma, ero io quella sbagliata. Io non riuscivo a provare l'emozione di desiderarlo, di desiderare il suo corpo e la sua bocca. Ed era ingiusto, per me e per lui.
«Pensavo che avremmo dormito insieme, Vic», affermò lui con delusione. «Cosa significa questo?»
Io mi accinsi a salire le scale e non mi voltai verso la sua faccia. Avvertivo la sua ombra farsi sempre più vicina a me. Mi seguì pazientemente verso il corridoio e aprii una delle porte che conduceva nella stanza degli ospiti che era proprio di fronte alla mia camera da letto.
«Significa che dobbiamo andarci con calma.»
Luke aggrottò la fronte e la sua espressione era rammaricata. Si dimostrò dispiaciuto, pentito e mortificato. Entrai nel vano e aprii le tende. Il cielo era nuvoloso e si poteva osservare solo un quarto di luna. Rimasi ferma a guardare quel frammento, con le braccia incrociate e Luke fermo dietro di me.
«Mi dispiace per il male che ti ho fatto. Ma ero impazzito, non rispondevi ai messaggi e credevo fossi in pericolo. Ma capisco che forse ti sei sentita oppressa nell'ultimo periodo», fece una pausa. Sentii le sue parole e avvertii il suo tono sincero.
Forse aveva capito?
«Lo so, io ti ho privato di diverse cose ma... Sei l'unica a cui penso ormai da anni, non riesco a vedere nessun'altra che non sia tu al mio fianco.»
Mi girai e appoggiai i glutei sul piccolo davanzale della finestra, per mettermi comoda. «Io ti chiedo solo un po' di libertà, Luke. Non ti nego che nell'ultimo periodo ho pensato a diverse cose... Ma non a te», fui onesta con me stessa e con lui. «Non ti chiedo di cambiare, ma di comprendermi. Se mi ami davvero come tu dici, allora devi fidarti di me.»
«Te lo prometto, Vic. Non ti farò mai più del male e rispetterò i tuoi spazi», disse tutto d'un fiato.
Curvai leggermente le labbra e gli stampai un bacio sulla bocca.
Credevo fortemente nelle sue parole. Volli riprovarci, volli fidarmi di nuovo di lui perché a nessuno si nega una seconda opportunità. Mi ripromisi che però, quella, doveva essere l'ultima volta.
«Mi troverò un lavoro e metterò i soldi da parte per comprarci una casa, tutta nostra. Solo nostra», mi disse prendendomi il viso fra le mani. «Creeremo una famiglia e cresceremo i nostri figli con i giusti valori e...»
«Okay, okay, vacci piano però», sogghignai.
Lui annuii, fortemente divertito dalla mia mia risposta.
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The Silence of a Promise
RomanceHo fatto un gioco con un Piccolo Bocciolo di Margherita. La bambina mi ha promesso di non parlare. E se avesse parlato, le avrei staccato i suoi petali e le avrei fatto male. Proprio come hanno fatto con me. Ho fatto una promessa. Non ricordo ben...