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Victoria

"Volevo urlare quello che sentivo, ma sono rimasto zitto per paura di non essere capito."

Charles Bukowski


Rividi Derek direttamente il giorno in cui dovevamo rientrare a New York.
Non incrociò il mio sguardo neanche per errore, non si degnò di parlarmi e tantomeno di avvicinarsi a me.
Sembrava come se non esistessi. Aveva sminuito tutto ciò che avevamo vissuto. Mi aveva finalmente concesso una parte di sé stesso, ma a lui non sembrò importare.
Ero arrabbiata, oltre che delusa.
Bevvi un sorso d'acqua e poggiai il bicchiere di vetro sul bancone.
«Torno a casa mia.» Sbottai, irrequieta.
Derek si irrigidì e si bloccò tutt'un tratto. Poi sollevò lo sguardo su di me per la prima volta dopo quella notte. I suoi occhi mi fissarono per qualche secondo.
«Non vai da nessuna parte.» Abbassò nuovamente la testa e tornò a tagliuzzare le verdure sul tagliere.
Alzai un sopracciglio e mi alzai dal bancone.
«Ho già deciso.»
Non potevo sopportare di rimanere un altro minuto dentro quella casa.
Si bloccò nuovamente e poi sospirò frustato.
«Stasera, dopo l'asta di beneficenza, chiamerò un taxi», dissi alzandomi dallo sgabello. «Tutto tornerà alla normalità.»
Feci per allontanarmi da quella stanza che stava diventando fin troppo stretta, ma lui mi bloccò dal polso, stringendolo fortemente.
«Mi spieghi che cazzo ti prende?» Domandò con tono di voce arrabbiato.
Aveva anche il coraggio di chiederlo?
«Cosa mi prende? Cosa mi prende?!» Cercai di strattonare la sua presa ma con scarsi risultati. Lui mi tirò verso il suo corpo, attaccandomi completamente alla sua figura. «Dillo tu cosa ti prende!»
«Quel figlio di puttana è ancora là fuori e non aspetta altro che questo momento, cazzo!» Mi sbraitò in faccia. La carotide a lato del suo collo sembrava stesse per scoppiare e i suoi occhi fecero trapelare una rabbia profonda.
Ma non potevo ancora sottomettermi alla sua persona. Non poteva prendermi e accantonarmi quando voleva lui.
Nel profondo sapevo che non era solo odio quello che provavo, ma stava mutando in qualcos'altro. E no, non doveva andare oltre.
Non potevo e non dovevo innamorarmi di lui.
«Non mi interessa.»
«Smettila di fare la bambina capricciosa.»
«Lasciami.» Bisbigliai, mentre lui continuava a stringere fortemente la presa. «Mi hai ignorato da quando ho lasciato la tua stanza in hotel, sono passati due giorni, e adesso? Adesso ti sei ricordato che esisto? Non sono il tuo giocattolo che prendi, usi, getti e rompi quando ne hai voglia!» Cercai di trattenere le lacrime che insistentemente mi appannarono la vista.
Lui mi osservò sorpreso e al quanto confuso.
«Perché stai piangendo?» Furono le uniche parole che riuscì a dire.
«Non sto piangendo», dissi in un sussurro.
«Non starai piangendo per me?» Domandò quasi scioccato. «Victoria dimmi che non stai piangendo per me.»
Sospirai.
Che cosa avevo combinato?
«Derek, per favore, lasciami.» Dichiarai amareggiata.
Ci guardammo nuovamente per alcuni secondi, fino a che lui non mollò la presa. Mi allontanai con piccoli passetti all'indietro per poi dirigermi verso la camera degli ospiti, o meglio, la mia pseudo stanza.
Ci entrai dentro velocemente e chiusi a chiave. Mi voltai, poggiando la schiena alla porta e posizionai il palmo della mano sulla mia bocca.
Le lacrime all'angolo dei miei occhi cominciarono a scendere. Le mie guance erano bollenti e zuppe. Strusciai la schiena alla porta, fino a quando non mi sedetti sul pavimento. Portai le ginocchia al petto e ci poggiai il mento su, continuando a piangere.
Luke mi aveva rovinato la vita.
Derek stava rovinando il mio cuore.
Non sapevo in quel momento cosa fosse peggio: se la consapevolezza che Luke fosse ancora in giro o la comprensione che tra me e Derek non ci sarebbe stato nulla, se non un rapporto di lavoro e anche occasionale. Non avevamo costruito niente. Non avevamo interessi in comune, se non la passione per il disegno.
Non sapevo niente di lui.
E cosa potevo pretendere se i presupposti erano quelli?
«Apri la porta Victoria.» La voce di Derek mi fece sussultare. Mi asciugai le lacrime velocemente e presi un respiro profondo.
«Lasciami in pace!» Mi rialzai e poggiai una mano sulla maniglia.
«Okay.» Rispose tutt'un tratto.
Alzai un sopracciglio e mi allontanai da lì.
Mi sedetti sul letto e guardai di fronte la porta. Non sentivo più i suoi passi, ma dei rumori provenire dalla serratura.
«Vattene!» Gli gridai contro. Ma non ebbi risposta, fino a quando la chiave che era nella serratura non ricadde al suolo e la porta si spalancò. «Ma che...», mi alzai di scatto.
«Ti ricordo che questa è casa mia.» Si mise in tasca un paio di forcine, molto probabilmente gli utensili con i quali era riuscito a buttare giù la chiave e ad aprire la stanza.
Incrociai le braccia. «Cosa vuoi?»
«Se vuoi andartene sei libera di farlo, ma non tornerai a casa tua.»
«Tu non decidi per me.»
«Lo sai benissimo anche tu che sarebbe una scelta sbagliata.» Fece un passo in avanti. «Ti pagherò un hotel, o se preferisci posso acquistare un appartamento che sia solo tuo. In questo modo siamo sicuri che Luke non riuscirà a trovarti.»
«Non li voglio i tuoi soldi, non voglio...», mi interruppi e mi risedetti sul materasso. Misi le mani tra i capelli e mi ressi la testa. Presi una pausa, per poi ricominciare. «Voglio delle risposte. Perché per te è così maledettamente difficile lasciarti andare? Perché mi ignori da giorni? Perché non ti lasci toccare?»
«È complicato, non capiresti.» Si sedette al mio fianco. «E comunque sono questioni che non ti riguardano.»
«Proprio per tutto ciò che abbiamo condiviso... Io merito... Merito di sapere», tirai sul col naso per trattenere altre lacrime.
«Ci siamo solo divertiti», ammise con un velo di rammarico nel tono di voce. «Ti avevo detto che non sarei andato oltre la semplice attrazione fisica, Victoria... L'unico sentimento che sono in grado di nutrire è solo per me stesso», dichiarò.
Il mio cuore si crepò, mentre un macigno si fece strada nel mio stomaco.
Abbassai lo sguardo e per un istante mi sentii il mondo crollare addosso.
«E allora perché ti sei lasciato toccare?»
«Avrei messo a tacere per un po' le tue domande.»
Un'altra crepa invase il mio petto, e questa volta fu più profonda della precedente.
Trattenni un singhiozzo. «Perché hai lasciato che dormissi con te?»
«Vic...», alzò la mano per accarezzarmi il viso, ma mi scansai subito.
«Non mi toccare.»
«Non lo so.» Rispose.
Poi presi un ulteriore respiro.
«Perché mi hai regalato quel vestito?», domandai ancora.
«Victoria, basta!», sbraitò. «Smettila con tutte queste cazzo di domande!» Si alzò in posizione eretta e cominciò a camminare avanti e dietro per la stanza. «Io ti avevo avvertita! L'inferno non è solo fatto di orgasmi e lussuria... L'inferno è fatto anche da cattiveria, odio e sofferenza.»
Cattiveria.
Odio.
Sofferenza.
Era questo ciò che provava per me?
Davvero?
Rimasi a guardarlo e mi alzai anch'io. I miei occhi bruciavano, ma non mi importava. Cercai di trattenere quanto più possibile le mie emozioni. Non mi andava di palesarle.
Non meritava un briciolo della mia tristezza.
«Tu mi piaci, ma finisce qui. Non c'è e non ci sarà mai nient'altro tra me e te. Ti ho scopata e mi è piaciuto, e credo che valga lo stesso per te. Ma non possiamo continuare se tu... Se tu soffri per me. Non è così che deve andare.»
«Ti odio.» Lo spintonai premendo le mani sul suo petto.
«Anch'io.» Mi guardò dritto negli occhi, come un uragano pronto ad abbattere qualsiasi cosa che avesse trovato davanti.
Riuscì a rimanere serio e a non far trapelare nessun tipo di emozione. Era come se avesse alzato tutt'un tratto un muro e io sicuramente non l'avrei scavalcato.
Dovevo tutelare me stessa perché non avevo voglia di soffrire ancora.
Così... Mi convinsi.
«Voglio un appartamento quanto più vicino all'azienda e quanto più lontano da te.» Mi avvicinai a lui. «Voglio anche che fai recapitare tutte le mie cose lì», dissi con sicurezza e puntandogli il dito. «Entro due ore.»
Ci guardammo per qualche secondo e il mio cuore perse un battito.
«Consideralo già fatto.»
Superai la sua figura, arrivando allo stipite della porta. «E non mandare nessun maledetto taxi a prendermi stasera, farò da me.»
«Dove stai andando?»
«Non è una questione che ti riguarda.» Sbottai, ripetendo esattamente le sue stesse parole.
Respira, Vic.







«Che ne pensi di questo?» Roteai su me stessa e poi mi guardai allo specchio.
«Vic sei splendida!», commentò Alexa. «Farai un figurone per l'asta di stasera!»
Pensai che l'unica terapia per riprendermi dalla conversazione avuta con Derek Moore era proprio lei.
«Non lo so», mormorai girandomi e rigirandomi davanti allo specchio.
Non avevo proprio voglia di presentarmi lì. Non avevo voglia di vedere Derek e non avevo voglia di fingere dei sorrisi.
Il mio mood era rimanere a casa a guardare un film con un piumone caldo e una vaschetta di gelato per affogare le mie colpe.
Sì, perché era tutta colpa mia.
E lui era solo uno stronzo senza cuore.
«E questo come mi sta?» Alexa riprese la mia attenzione.
«Wow...»
Il suo fisico era meraviglioso e tutto ciò che indossava le stava bene.
«Sei bellissima, ma, è piuttosto casto per i tuoi gusti...», commentai. Poi alzai un sopracciglio e lei ammiccò. «Cosa hai da dirmi?», le chiesi sorridendo.
«Ragazze, posso esservi utile?» Una delle commesse si avvicinò con gentilezza, sorridendoci.
«Prendiamo questi!» Esclamò Alexa, non lasciandomi possibilità di risposta.
Rientrammo nei camerini, ci spogliammo e in un batter d'occhio eravamo in cassa a pagare.
«Sei sicura che il completo sia adatto per la serata di stasera?»
«Vic, eri uno schianto.» Mi fece un occhiolino, facendomi scappare una piccola risata.
Dopo aver pagato, ci dirigemmo verso l'uscita e con due bustoni in mano cominciammo a camminare.
«Allora?», le dissi dandole una spallata amichevole. «Cos'è quel vestito poco tipico di Alexa Water?», chiesi ironicamente.
«Può essere che un ragazzo abbia richiamato la mia attenzione...», sussurrò guardandomi con occhi scaltri.
«Cosa?», domandai squittendo.
«E che questo ragazzo in questione mi piaccia... Parecchio.»
«Ma non mi dire!», affermai divertita.
«E si dia il caso mi abbia invitata ad uscire», concluse leggermente in imbarazzo. «Ma non posso presentarmi ad un primo appuntamento mezza nuda, giusto?» Rise lievemente, mentre io alzai gli occhi al cielo.
«Alexa che ha un appuntamento... Tutto pensavo, tranne che questo! Hai sempre snobbato tutti, cos'ha questo tipo che gli altri non hanno?», domandai curiosa.
«Devo capirlo anch'io Vic, ma mi fa impazzire. Penso siano stati i suoi modi di fare... Non è stato spavaldo, non si è buttato addosso come se fosse in una crisi di astinenza. È stato... Gentile.»
La guardai con occhi intrisi di una dolcezza estrema.
«Lo sai che prima deve avere la mia benedizione, giusto?»
«È solo un'uscita Vic», disse rassicurandomi. «Voglio andarci piano...»
«Come vi siete conosciuti?»
«Mentre tu eri a Roma, io sfoggiavo il mio bel culetto sul palo... Durante un'esibizione», disse mordendosi il labbro. «Ed è lì che mi ha notata! Abbiamo preso un drink dopo il lavoro», disse continuando a camminare.
«Be' allora in bocca al lupo amica mia», porsi una mano attorno alla sua schiena stringendola.
«E tu invece?», mi domandò. «È da un po' che non organizziamo una serata pizza e Netflix...», affermò con tono malinconico.
In quel momento mi sentii mancare.
Volevo tanto raccontarle tutta la verità, ma sapevo benissimo che l'avrei persa.
Avevo trasformato il nostro rapporto in un cumulo di bugie e menzogne... Tutto questo solo per Derek Moore.
Ma non era quello il momento giusto. Mi serviva calma, tranquillità e concentrazione per iniziare a raccontarle la lista delle bugie che ormai andava avanti da mesi.
Ma a casa mia non potevo tornare. Per quanto mi costasse ammetterlo, Derek aveva ragione.
Ritornare nella mia piccola dimora, soprattutto da sola, non avrebbe fatto altro che attirare Luke verso di me.
Non sapevo dove fosse e cosa stesse facendo, ma desideravo solo di non vederlo mai più.
Vivevo con l'ansia, e inconsciamente, volevo denunciarlo una volta per tutte. Volevo vederlo marcire in prigione per tutto il male che mi aveva fatto. Ma avevo le mani legate.
«Il lavoro mi sta distruggendo...», sussurrai un po' nel panico. «E casa mia è un disastro, ormai sono più in ufficio che nella mia camera», giustificai così la mia assenza e lei parve capire.
Non riuscii a tenermi ancora dentro tutto quel disastro.
«Sto cambiando casa.»
«Cosa?»
«La mia è troppo grande, il tempo che ci passo è così poco che ho pensato di avvicinarmi all'azienda e prenderne una più piccola. Ti manderò l'indirizzo.»
«Hai bisogno di una mano col trasloco?»
«No, ho già organizzato tutto.»
Lei annuì.
«Alexa», continuai a parlare. «Mi dispiace se ultimamente ti dedico poco tempo... Credimi, vorrei passare più tempo con te.»
«Fai ciò che devi fare Vic», si fermò fronteggiandomi. «È il tuo momento.» Poggiò per qualche secondo le nostre buste di sano shopping e i suoi palmi erano sulle mie spalle. «Ci ho pensato... Ed è giusto che dedichi parte del tuo tempo al lavoro che hai sempre voluto fare. Io ci sarò sempre, anche se ci vediamo poco.»
Un magone salì dritto nella mia gola e non riuscii a trattenere gli occhi lucidi.
Mi sentivo così tremendamente in colpa.
«Ti voglio bene», sussurrai e mi buttai su di lei, stringendola fortemente. «Non so come farei senza di te», dichiarai poi.
«Anch'io te ne voglio, Vic», si distaccò lentamente e tirò su col naso. «Tantissimo.»







«Ho rispettato i tuoi standard?»
Varcai la soglia dell'ultima stanza, stringendo fortemente la borsa che reggevo sulla spalla.
«È carina.» Mi limitai a dire. «Mi interessa sapere che oltre l'azienda non ti incrocerò altrove.»
Richiuse gli occhi in due fessure, focalizzando la sua attenzione sulla busta poggiata sul materasso del letto.
Eravamo in quella che sarebbe stata da lì in futuro la mia nuova casa. Era carina, piccola, ma degna di essere vissuta.
Derek aveva ottimi gusti e non mi sorprese l'arredamento moderno e la vista pazzesca su New York.
Era un appartamento sito a pochi angoli dall'azienda, in un piano sufficientemente alto per godere le meraviglie della città.
«Grazie.»
Mi fece un cenno con la testa. «Come hai fatto in così poco tempo?»
«Ho le mie risorse.» Si limitò a dire. «Hai comprato un vestito?»
«Non sono affari tuoi.» Sbottai, infastidita.
Fece un passo in avanti, ma non avrei ceduto. Non gli e l'avrei data vinta. «E adesso, se permetti, devo prepararmi. Non posso fare tardi.» Gli feci cenno di uscire da casa mia, puntando verso l'uscita.
Ancora un altro passo verso di me.
Se si fosse avvicinato ancora, gli avrei tirato sicuramente un pugno.
«Non... Avvicinarti.» Sospirai. «Sono venuta qui per starti alla larga. Rispetta questa scelta.»
I suoi occhi mi scrutarono a fondo e mi sentii così terribilmente piccola da sentirmi male.
«Perché ti impunti così tanto nel volermi comprendere?» Mi domandò con tono di voce rude. «Fregatene come fanno tutti. Io non mi sono interessato nel sapere del tuo passato. Fallo anche tu.»
«Se fossimo tutti come te... Il mondo andrebbe a rotoli», dichiarai. Intravidi la sua espressione delusa, ma ogni volta riusciva a non far percepire alcun tipo di emozione. «Io ti ho donato me stessa», continuai a parlare e questa volta mi avvicinai io.
«E tu mi hai donato solo una parte di te.»
«Ed è giusto così.» Aggiunse.
«Ma a me non va più.»
Non era vero, continuavo a desiderarlo nonostante il suo essere stronzo, sfottente e menefreghista.
Lui spostò una ciocca di capelli dietro il mio orecchio.
«Sono sollevato che tu abbia capito che non sei diversa dagli altri.» Sospirò. «Sei solo tanto buona, ma io per te sono veleno. Sono veleno per qualsiasi persona che mi stia intorno. Ciò che tocco sfiorisce.»
Deglutii per buttare giù il magone che avvertivo.
Ci guardammo negli occhi per dei secondi che sembravano durare un'infinità.
Avevo voglia di baciarlo, di sentire il suo sapore e di stringerlo a me. Ma avrei continuato a farmi del male.
«E tu sei un fiore così bello che non merita di appassire tra le mie mani.»
Mi sfiorò le labbra con l'indice e il medio.
Alzai il mento e trattenni il fiato.
«Vattene.»
Non proferì parola e si allontanò da me, portandosi via il suo odore.
Chiusi gli occhi fino a quando non sentii la porta di casa sbattere.
Mi asciugai un'altra lacrima.
Smettila di piangere per quello stronzo.






Non avevo per niente voglia di andare a quella serata d'asta, ma, in ballo c'era anche il mio quadro.
Mi sudavano le mani solo al pensiero di sapere chi l'avrebbe acquistato e a quanto.
Era davvero così bello?
Le lezioni private che mi tenne Derek mi aiutarono tantissimo. Era uno dei pochi ricordi positivi che avevo di lui, a parte il sesso... Eppure, non mi sarei fermata. Avrei indagato su di lui e sul suo passato. Non avrei smesso fino a quando non avrei scoperto con chi fossi stata sino a quel momento.
Indossai il completo che avevo comprato con Alexa quel pomeriggio: era un corpetto bianco con la scollatura simile ad un cuore, un pantalone aderente verde petrolio, un blazer del medesimo colore e un paio di décolleté.
Lasciai i capelli sciolti, mi truccai cercando di nascondere le occhiaie e mi spruzzai del profumo per nascondere l'odore di Derek. Si era impregnato sulla pelle e per quanto mi costava ammetterlo non volevo che andasse via. Ma dovevo comunque camuffarlo, altrimenti avrebbe riacceso i ricordi di noi due e non potevo permetterlo.
«Sei emozionata?», mi domandò il sig. Cooper, affiancandomi in mezzo ai numerosi ospiti che pian piano presero posto.
«Per me questo è tutto così surreale... Perfino le mie emozioni sono congelate», dissi sorridendo lievemente.
«Andrà bene.» Mi diede una pacca gentile sulla schiena. «Son sicuro che il Sig. Moore ha fatto sicuramente un ottimo lavoro.»
Sì, nello spezzarmi il cuore...
«Ho imparato tanto», affermai. «E ho fatto tesoro di tutti i suoi consigli.»
«Sono fiero di voi.»
Se solo sapesse...
Il Sig. Cooper si sedette nei primi posti, mentre io, con lo sguardo, cercai la toilette e mi allontanai. Derek ancora non era arrivato e sperai con tutta me stessa di non incrociare il suo sguardo.
Vagai per i corridoi della galleria dove si sarebbe svolta l'asta e finalmente trovai l'insegna che mi avrebbe condotto al bagno.
Entrai all'interno e persino gli arredi erano lussuosi, con uno specchio dorato gigantesco, luci a led e lavandini con cromature dorate.
Dopo qualche minuto perso a sistemarmi l'outfit, uscii fuori e abbassai lo sguardo al lavandino per sciacquarmi le mani.
D'improvviso sentii una mano tapparmi la bocca con forza e un braccio stringermi fortemente la vita.
Alzai lo sguardo di scatto allo specchio e col cuore a mille mi dimenai, cercando di capire chi fosse, ma con scarsi risultati: indossava un cappuccio e teneva lo sguardo basso.
Poggiai la mano sopra la sua, provando a togliermela di dosso. «Sta ferma e in silenzio o ti giuro che ti ammazzo.» Mi spintonò verso uno dei bagni, e dopo avermi seguita, chiuse la porta a chiave.
Si abbassò il cappuccio e mi guardò con gli occhi intrisi di cattiveria.
«Luke», dissi con la voce rotta dai singhiozzi. «Luke per favore», sospirai.
«Luke, Luke, Luke», mimò il tono della mia voce alludendo ad una presa in giro. «Allora? Cosa mi racconti, Piccola Vic? Ti stai divertendo a fare la puttana e giocando a fare la donna imprenditrice?»
Lo spintonai con due mani, cercando di uscire da quelle quattro mura, ma lui mi spinse a sua volta, facendomi perdere l'equilibrio e cadere al suolo.
Si inginocchiò davanti a me, mentre io feci di tutto pur di limitare il contatto.
«Fatti una vita, maledizione», sussurrai impaurita.
«Sei tu la mia vita, brutta puttana», affermò agguerrito, tirandomi uno schiaffo in pieno viso. Sobbalzai per il dolore, mettendomi in un angolino.
«Vaffanculo», sussurrai con un groppo in gola e terribilmente spaventata.
«Tu hai rovinato la mia esistenza. Io ho fatto di tutto per te e tu come mi hai ripagato? Facendoti la storiella d'amore con un altro figlio di puttana. Lo sai che rovinerò a entrambi? Sia te, che lui. Lui soffrirà come un cane per averti portata via da me e tu ne pagherai le conseguenze.» Si avvicinò pericolosamente al mio viso, mentre io deviai lo sguardo. Agguantò con una mano la mia faccia, stringendomi le guance. Mi costrinse a guardarlo negli occhi. «Non vedevo l'ora che tu tornassi da Roma solo per rivederti e farti questa sorpresa», mi disse stringendo i denti.
Le sue pupille riflettevano odio e rancore, due sentimenti che insieme sprigionarono tutta la sua cattiveria. Mi costrinse a rialzarmi, tenendo ben saldo il mio viso. L'altra mano cinse il mio bacino e mi schiacciò al muro con il suo corpo.
«Ti denuncerò», dissi con rabbia mentre sentii gli occhi bruciare.
«Se lo farai, ti farò perdere tutto. Lo sai vero? Io so' cose che gli altri non sanno. Ho innumerevoli altre mille fotografie di te e di quel maledettissimo stronzo. Sarebbe un peccato veder crollare tutto ciò che hai costruito, non è così?» Non riuscivo a trattenere le lacrime che caddero dritte e costanti lungo la mia faccia. «Sai cosa penserà poi la gente di te? Che sei andata a letto col tuo tutor e che sei solo una raccomandata del cazzo. Dove finirà tutta la stima per la ragazza che in poco tempo ha scalato le vette più alte del successo? Dove finirà la fierezza del tuo capo, che capirà che sei solo una sgualdrina da quattro soldi? Lo sai che il nome dell'azienda dove lavori potrebbe macchiarsi in maniera indelebile solo perché ti è piaciuto aprire le gambe ad uno degli esponenti più alti? Magari penseranno che volevi solo i suoi soldi.»
Il mio cuore fu trafitto da innumerevoli schegge che una dopo l'altra erano pronte a farlo scoppiare e disintegrarlo totalmente.
«Ci siamo capiti?», mollò la presa dal mio viso. Mi massaggiai le guance intorpidite, guardandolo con disprezzo.
«Ti conviene farmi uscire se non vuoi essere scoperto proprio stasera. Derek sarà qui a momenti e se mi vede in queste condizioni, te la farà pagare.» Riuscii a tirar fuori un minimo di coraggio, puntandogli il dito contro.
Lui sfoggiò una risata contenuta. «Adesso farai una cosa per me.»
«Vai a farti fottere!»
Poggiò un'altra volta la mano sulla mia bocca, negandomi l'opportunità di rispondere. Strusciò la patta dei suoi pantaloni sul mio pube e io cercai in tutti i modi di allontanarlo da me, ma con scarsi risultati.
Non un'altra volta.
Poi afferrò la mia mano mentre l'altra venne schiacciata dal suo braccio.
Ero completamente immobilizzata. Avvicinò la sua bocca al mio orecchio. «Toccami o ti strappo i vestiti e ti faccio uscire da qui nuda. Ti rovinerò la serata e non potrai farci niente.»
Mi posizionò la mano tremante proprio in corrispondenza del suo pene.
«Stringilo.» Sibilò.
Derek, dove sei?
Feci come mi chiese, mentre singhiozzavo contro il suo palmo.
«Continua sin quando non te lo dico io.» La sua mano guidava la mia e lo agguantai con tutta la mia forza, pregando che quella tortura finisse presto.
Ho bisogno di te...
«Non verrà nessuno a salvarti, neanche il tuo spasimante. Sai perché? Perché un'altra donna sta facendo esattamente ciò che tu stai facendo col mio cazzo, ma a lui.»
È solo una provocazione...
«È troppo impegnato a dimenticarsi che tu esisti.» Ridacchiò e ansimò contemporaneamente al mio orecchio.
«Dio santo le tue mani rimangono sempre le tue mani... Quanto cazzo mi fai eccitare», mugolò e un senso di vomito si fece strada dentro di me. Ebbi il primo conato, così lui si distaccò velocemente da me.
«Ci rivedremo presto.» Si rimise il cappuccio e frettolosamente uscì dal bagno, lasciandomi sola e completamente smarrita.
Aprii in fretta e furia la tavoletta del water e vomitai.
Cercai poi di ricompormi, di indossare una maschera e provare a dimenticare temporaneamente ciò che fosse successo.
Mi risistemai grossolanamente il trucco, i capelli e mi sciacquai sia la bocca che le mani innumerevoli volte.
Mi sentii di nuovo sporca, distrutta e a pezzi.
Volevo andarmene a casa e fare finta che non fosse successo niente.
Magari era solo un incubo.
Mi tirai due pizzicotti sul braccio, poi abbassai lo sguardo, rendendomi conto che era tutto reale.
Presi un respiro e mi schiarii la voce.
«Che la serata abbia inizio», sentii la voce del presentatore riecheggiare, così mi diedi un'ultima sistemata e decisi di uscire allo scoperto.
Tenni lo sguardo basso ma ero terrorizzata da Luke. Avevo paura che uscisse fuori da un momento all'altro pronto a farmi ancora una volta del male.
Per sbaglio, urtai contro qualcuno non appena misi piede fuori dalla toilette.
Ma dal profumo mi accorsi subito chi fosse.
«Victoria», mi chiamò ma non lo sentii. «Che succede?» Poggiò entrambe le mani sulle mie spalle ma io mi allontanai immediatamente.
«Niente. L'asta è appena iniziata», dissi velocemente per poi dirigermi verso la sala principale.
Sentii i suoi passi rincorrermi come un predatore che insegue la sua preda. Prendemmo posto insieme, sedendoci ad una fila dietro rispetto a Cooper e agli altri del team.
Diversi quadri di autori si susseguirono sul palco, dando vita ad uno scenario di diverse proposte. Per ogni vendita, la casa dell'asta avrebbe devoluto la somma di denaro in beneficenza.
«Hai intenzione di rimanere in silenzio ancora per molto?», bisbigliò lui, mentre io non osai guardarlo negli occhi o sarei scoppiata a piangere. «Cosa cazzo succede, Victoria? Sei uscita sconvolta da quel bagno.»
«Non ho niente da dirti.»
Cercò di limitare il tono di voce. «Guardami.» Girai appena lo sguardo verso di lui, quando il presentatore mi richiamò alla sua attenzione.
«Il prossimo quadro è di una nuova autrice che pian piano sta trovando la sua strada nel mondo dell'arte.» Il presentatore mi indicò e io mi guardai attorno, deglutendo.
Era prevista una presentazione?
«Invitiamo sul palco la signorina Victoria Brown, il sig. Paul Cooper e anche uno dei maggiori esponenti dell'azienda Cooper Education, il sig. Derek Moore.»
«Durerà poco. Andiamo», mi disse Derek come se volesse rassicurarmi. Dopo di che ci alzammo in piedi e solo dopo notai il suo smoking grigio e i capelli laccati.
Salimmo tutti e tre sul palco e ad accompagnarci gli applausi di tutti gli acquirenti. Le luci a led erano puntate su di noi e volevo solo sotterrarmi in quanto non ero minimamente in grado di reggere un discorso di senso compiuto, dopo quello che era successo.
Il presentatore mi affiancò, ma Derek non smise mai di guardarmi e tenermi d'occhio.
Non era stupido, aveva perfettamente capito che ci fosse qualcosa che non andava, indipendentemente dalla chiusura del nostro rapporto.
«Allora Brown, ci spieghi cosa ha voluto rappresentare con questo quadro», disse euforico, passandomi il microfono.
Presi un respiro, mentre gli occhi scottanti di Moore mi lasciarono segni indelebili. Strinsi saldamente il microfono con le mani e cominciai a parlare.
«È un viso a metà. Simboleggia il rinascere, il ricominciare daccapo. Significa trovare la propria strada, inseguirla e persistere nel raggiungimento dei propri obiettivi», dissi guardando gli ospiti e poi rivolgendomi verso Derek. «Una persona mi ha insegnato che...», mi interruppi trattenendo il fiato.
«Sono sollevato che tu abbia capito che non sei diversa dagli altri.»
Quella frase riecheggiò per tutto il tempo nella mia testa, divisa con il ricordo di Luke che poco prima mi teneva in trappola.
«Mi ha insegnato...», deglutii e mentre rivolsi il mio sguardo al pubblico, intravidi nuovamente Luke seduto nell'ultima fila, che mi fissava, a braccia conserte.
Come aveva fatto ad entrare? Perché nessuno l'aveva mandato via?
Ed eccolo lì.
L'attacco di panico mi arrivò sin dentro le ossa.
No, no, no, no.
«I-io...», iniziai a balbettare. «Credo che... Che sto per svenire», sussurrai.
E poi... La vista mi si annebbiò.
Sentii solo le forti braccia di Derek stringermi e sollevarmi per non farmi cadere al suolo. Le voci spaventate e incredule del pubblico mi stordirono.
Capii immediatamente una cosa: avevo fallito.
Ancora una volta.






SPAZIO AUTRICE
Ciao a tutte Piccoli Fiori 🖤
Volevo solo avvertirvi che il PROSSIMO CAPITOLO sarà molto turbolento, ricco di emozioni... Non vedo l'ora di farvelo leggere.

Nel frattempo, buona lettura 🖤

Se vi va lasciatemi una stellina ✨

Alla prossima 🖤

Ps. Vi aspetto su Instagram! higracehall (nick)

The Silence of a PromiseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora