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Derek

"Noi ci salviamo da soli dalle cattiverie dell'universo.
Ma da noi stessi, chi ci salva?"

Derek Moore

15 anni prima...

Camminavo per le strade di Boston alla ricerca di un posto che potesse vendermi un pacchetto di sigarette senza chiedermi necessariamente se fossi o meno maggiorenne.
Iniziai a fumare all'età di tredici anni ed era uno di quei pochi modi che avevo, dopo il dolore, di sfogarmi e di rilassarmi.
Ma finii due pacchetti da venti nel giro di quattro giorni.
Mi stavo autodistruggendo, ma non mi importava. Finché il mio corpo avrebbe avuto la forza di rispondere a quegli stimoli negativi, avrei partecipato come protagonista alla mia misera distruzione.
Tenevo la testa bassa col capo coperto dal cappuccio della mia felpa nera e le mani in tasca. Il passo svelto era accompagnato dall'aria fredda e gelida.
Mi stavo deperendo: ero sempre più magro, sempre più debole. Mia madre pensava che non stessi mangiando abbastanza, mio padre invece era spesso assente per lavoro. Si recava a Brooklyn per sbrigare alcune pratiche e lo vedevo molto poco. Per cui non si accorse del mio malessere.
Le cose fra di loro non luccicavano, ma non andavano nemmeno di merda.
Eravamo una madre, un padre e un figlio come tanti.
Ma non una famiglia.
Dopo alcuni giri, finalmente, riuscii a trovare un tabaccaio che mi vendette due pacchetti di sigarette Chesterfield, come se fossero caramelle.
Uscii subito e mi diressi velocemente verso casa. Era quasi buio e dovevo rincasare prima che mia madre tornasse a casa e mi vedesse sfregiato in viso e macchiato di sangue.
Ero un mostro.
Mi ci hanno ridotto così quei pezzi di merda. Ma il primo fra tutti che mi ripromisi di uccidere non appena avessi avuto modo, era proprio Cole Anderson.
«Vedi chi c'è... Il mio grande amico del cuore e dell'anima», Cole mi affiancò e porse un braccio sulla mia schiena, abbracciandomi.
Io non risposi.
«Sai che ho trovato un bel posto per te?»
Continuai a camminare dritto per la mia strada fino a quando lui non mi prese per il colletto e in un vicolo cieco mi appiccicò al muro.
«Pensavo che per oggi lo show fosse finito.» Affermai secco. «Vedo che la tua vita è abbastanza noiosa senza darmi fastidio.»
Mi sbatté violentemente contro il muro facendomi gemere per il dolore. «Lo show finisce adesso.» Fece un fischio e d'improvviso uscirono fuori i suoi amici complici che puntualmente erano sempre dietro l'angolo, ad un passo da lui. «Datemi una mano», disse. Alzarono il passo e ci raggiunsero, mi presero dalle gambe e mi sollevarono.
«Che cazzo state facendo?!» Strillai e uno di loro aprii un cassonetto.
«Goditi la tua nuova casa», ridacchiò Cole mentre mi buttarono all'interno. Richiusero velocemente il cassone e scapparono via.
«Aspettate, aspettate! Non posso stare negli spazi chiusi... Sono...» Il tremolio della mia voce mi impedì di andare avanti, mentre cercavo disperatamente la forza per aprire di nuovo quel cassonetto e tornare a respirare.
Non ti aspetteranno mai, Derek.
Devi farcela da solo.
Nessuno verrà a salvarti.
E così fu...
L'ennesima volta in cui mi salvai da solo, perché infondo, ancora, mi volevo bene.

Io non avevo paura.
Smisi di provare paura quando toccai su pelle la morte, quando provai a farla finita e a chiudere gli occhi, lanciandomi nel buio.
La paura non è nient'altro che un ostacolo, e io non ne volevo più nella mia vita.
La paura rende deboli e io non volevo essere debole.
Lo ero già stato abbastanza nella mia adolescenza.
Non avevo paura dei luoghi chiusi, neppure dell'oscurità.
Ma quando mi sono ritrovato chiuso in quel maledetto ascensore, ho avuto di nuovo paura.
Paura di essere privato della mia libertà, di essere privato della luce e della mia vita.
Mi sentii svenire ripercorrendo ciò che avevo subito nella mia adolescenza. Stavo provando di nuovo le medesime sensazioni e questo mi fece incazzare. Perché quel bambino violentato psicologicamente e fisicamente non esisteva più.
Eppure, quella mattina lo sentii di nuovo dentro di me.
E non doveva succedere o avrei dato di matto.
Ho avuto paura di essere vulnerabile agli occhi di Victoria Brown, che dovetti ammettere a me stesso, mi aveva salvato.
Ogni volta che provavo a starle lontano, il mio istinto parlava e agiva per me: la mia testa sotto il suo collo. E ancora potevo avvertire il suo profumo, la sua pelle morbida, i suoi capelli setosi e il suo sudore che le colava per l'ansia.
Mi sono lasciato toccare da quella ragazzina: mi ha accarezzato il viso, posando le sue dolci, profumate e calde mani su di me. Mi ha rassicurato, tranquillizzato e protetto.
Mi sentivo legato da lei da un filo conduttore malinconico, e non capivo a cosa cazzo mi avrebbe portato.
Ma l'avrei scoperto, avrei indagato, avrei cercato qualsiasi cosa che io e lei potessimo avere in comune.
Me lo imposi come obiettivo.
E poi, mi stava entrando dentro, quella mocciosetta.
Nel corpo, nelle viscere, nel sangue e nell'anima.
Perché la mia bocca bramava la sua terribilmente peccaminosa e candida, l'avrei baciata fino a toglierle il fiato. E io non baciavo mai le donne, non amavo quel tipo di contatto. Ma avrei attorcigliato la mia lingua con la sua fino a non farla più respirare.
L'avrei posseduta fino a farmi pregare di smettere.
L'avrei presa in ogni angolo del mio ufficio e l'avrei torturata fino a che non avrebbe pianto.
Ma dovevo bloccare i miei istinti animaleschi, perché ne avrei pagato il prezzo. Ed era troppo alto per farmi ammaliare da quell'inutile ragazzina che per giunta era anche fidanzata.
Ma dubitai che quel coglione la facesse godere fra le lenzuola, non come l'avrei fatta godere io se l'avessi avuta sotto di me.
Lei era così pura che l'avrei marchiata a vita con le mie tenebre.
Ma non le avrei dato l'opportunità di entrare così a fondo e scavarmi dentro.
Sarebbe stata uguale a tutte le altre. Mi sarebbe entrata solo dentro i pantaloni, se fosse stato necessario.
Ma sapevo benissimo che non era giusto, perché non potevo permettermi distrazioni.
Dovevo assolutamente preparare almeno tre quadri per la mostra di venerdì.
Thompson per quanto coglione, mi aveva minacciato. E io non potevo permettere di perdere il posto che bramavo ormai da tempo.
Mi sono sempre fatto da solo, in qualunque aspetto.
E non mi serviva nessuno.
Io non volevo essere salvato perché non ne avevo bisogno.
Mi sono salvato da solo e avrei continuato a farlo.
E non avevo bisogno neanche di lei e della sua compassione.
Avevo bisogno solo della mia oscurità, dei miei demoni e dei miei mostri, che in questi quasi ventinove anni di vita, mi hanno sempre ricordato chi sono.
Non avrei permesso a nessuno, neanche a quella ragazzina, di portarmeli via.
Loro erano parte di me.
Loro erano la mia casa.
Quella che non ho mai avuto.

The Silence of a PromiseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora