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Victoria

"Quegli occhi portavano dentro una tempesta, eppure, furono capaci di ipnotizzarmi.
Ma non ebbi il coraggio di tuffarmici, perché sapevo bene che, se l'avessi fatto, non sarei più riemersa."
Victoria Brown


Quella sera non raccontai tutti i dettagli alla mia amica Alexa.
Quando sono rientrata Luke non c'era, mi aveva lasciato un biglietto dove c'era scritto di non aspettarlo per cena, perché aveva un colloquio di lavoro.
Ammetto che dopo averlo letto, fui sollevata. Fui sollevata di non trovarlo in casa, ma soprattutto di non essere riempita di domande.
Ero anche felice perché forse stava realmente cambiando, o quanto meno ci stava provando. Mesi fa mi avrebbe aspettato fuori la porta proprio come l'ultima volta per tempestarmi di domande e capire cosa fosse successo e cosa avrebbe giustificato il mio ritardo. Però, gli dissi una bugia buona, bianca, pura, e giustificai me stessa pensando a cosa avrebbe detto o fatto se avessi detto la verità. Se gli avessi detto che il mio Tutor bello, affascinante e stronzo mi avesse accompagnato a recuperare la mia auto... No, non volli immaginare.
La mattinata con il Sig. Moore, anzi, il Sig. Stronzo come pochi non fu affatto come mi aspettavo. Questo mi abbassò l'umore a livelli estremi: era una persona oltre che cupa, anche impertinente, piena di sé e terribilmente fastidiosa, ma anche di una bellezza disarmante. Non credevo che l'avrei detto, ma pensai seriamente che il mio sesto senso non sbagliasse, e che quell'uomo mi avrebbe portato solo problemi.
Allo stesso tempo, però, non potevo mandare al diavolo il sogno che avevo nel cassetto. Un cassetto che finalmente riuscii ad aprire dopo anni. Un cassetto chiuso col lucchetto per colpa dei miei genitori e che fin da piccola sognavo di poter rompere.
Non avrei affossato il mio sogno, solo perché un uomo si divertiva nel giudicarmi.
«Non puoi vestirti così, come se dovessi andare al supermercato», dissi prendendo in giro il mio tutor Derek Moore dopo la fantastica mattinata passata. «Ma ti rendi conto?», domandai esterrefatta dall'altra parte della cornetta.
«Amica... Questo è proprio uno stronzo», sibilò. «Però, è stato un galantuomo a portarti a casa!» Alzai gli occhi al cielo, mentre poggiai la testa su una spalla reggendo il telefono e con la mano del braccio opposto cucinavo la cena.
«Ma stai scherzando? Non lo sopporto. Diamine, non lo sopporto! Ti ho già detto che non lo sopporto? Mi ha trattata come se fossi una ragazzina...», girai il mestolo nella pentola, in attesa di una risposta dall'altra parte. «E poi, come posso essere così sfigata da parcheggiare la macchina e farmela portare via in una sola mattina? Oh, mio dio», abbassai il fuoco al fornello e mi girai poggiandomi sul bancone della cucina. «Cosa avrà pensato di me? Che, oltre a vestirmi in modo osceno, non so neanche parcheggiare?»
«Okay, okay, okay Vic, calma», la mia amica interruppe il mio inutile monologo. «È solo il primo giorno.»
«Il primo giorno di sei mesi...», controbattei.
«Secondo me dovete solo conoscervi meglio», aggiunse.
Mi rigirai di nuovo, presi il mestolo e assaggiai le verdure per vedere se fossero cotte. «Magari gli piaci, ed è per questo che...», al suono di quelle parole quasi mi affogai. Feci dei colpi di tosse, sputando le verdure nella pentola.
«Alexa!», lei scoppiò a ridere, mentre io stavo quasi per morire. «Se vuoi tentare di uccidermi, ci eri quasi riuscita!»
Lei smise di ridere e fu di nuovo pronta per controbattere. «Secondo me, hai bisogno solo di tempo. Sono seria adesso. Non preoccuparti, è solo questione di giorni... Prova a fare ciò che ti dice. So che non sei per questa tipologia di look, ma, si tratta solo di un piccolo cambiamento. Poi tutti passiamo giornate no, magari era solo nervoso. È pur sempre il tuo tutor ed è un essere umano. Domani andrà meglio, okay?» Cercò di tranquillizzarmi con le sue parole. Il suo tono calmo e pacato era sempre in grado di cessare le mie paure. Sapeva sempre come prendermi.
«Ciò non toglie che se fa di nuovo lo stronzo, verrà me medesima a spaccargli la faccia», interruppe il silenzio.
«Ora sì che sto meglio» Ridemmo entrambe. «Ma non credo che ce ne sarà bisogno», dissi.
Spero.
«Allora... Come va questa convivenza?»
Eccolo. L'argomento Luke Holland era l'ultimo della mia lista. Preferivo ritornare a parlare dello Stronzo numero 2, rispetto che lo Stronzo numero 1.
«Direi bene», mentii. «Ma non è una convivenza, è più... Un aiuto. È questione di qualche giorno, il tempo che si trovi un lavoro.»
«Be' ma dovrebbe farti piacere, quanto meno non sei sola e poi... Puoi recuperare un bel po' di sano sesso.» Aveva ragione se avesse tolto la parola sano da quella frase.
La verità era che ci avevo provato a lasciarmi andare, ma, non funzionò.
La verità era che non me la sentivo di lasciarlo col culo per terra, non ero quel genere di persona.
Mi sarei sentita una stronza per tutta la vita.
«Sei in linea Vic?»
La voce di Alexa mi fece tornare alla realtà. «Sì, sì», scossi la testa per scacciare via i pensieri.
«E se ci vedessimo? Magari domani sera. Devo consolare la mia amica con un bel drink come si deve, no? Dì a Luke che sei a casa mia, solo serata tra donne», disse entusiasta.
Aprii la bocca per rispondere ma è come se lei mi avesse letto nel pensiero. «Vietato dire di no. E poi mi devi un passaggio... Bye», affermò con voce stridula e prima che potessi rispondere, mi riattaccò. Abbozzai un sorriso, curvando leggermente le labbra.
Se non ci fosse stata lei, non avrei saputo seriamente a cosa o a chi aggrapparmi.

The Silence of a PromiseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora