Victoria
"Al desiderio niente piace di più di ciò che non è lecito."
Publilio Siro
Erano passati tre giorni.
E non smisi per un attimo di ripensare a quel bacio. Non smisi per un secondo di accarezzarmi le labbra e leccarmele in modo peccaminoso per sentire ancora una volta il suo sapore.
Stavo impazzendo.
Era tutto così tremendamente sbagliato, eppure, sentivo l'esagerato bisogno di averne ancora.
Lottavo contro me stessa per togliermelo dalla testa ma con scarsi risultati.
La mia mente vagava verso un unico e singolo pensiero: la sua lingua nella mia bocca, le sue labbra attaccate alle mie e le mie mutandine vergognosamente umide.
Maledizione, stavo seriamente sprofondando negli abissi più oscuri dell'universo.
Come me ne accorsi?
Nonostante sapevo benissimo del trascorso con Alexa, del modo in cui trattava le donne, della sua arroganza e della sua prepotenza, era come se il mio corpo non andasse più d'accordo con la mia testa.
Ero proprio un'incoerente.
Una stupidissima ragazzina incoerente.
Ed eccitata.
Smettila, ripetei alla vocina nella mia testa.
«Vic mi stai ascoltando?»
La voce di Alexa mi fece tornare alla realtà.
Sbattei due volte le palpebre, cercando di ricordare cosa mi stesse dicendo.
«Mm, sì, sì» dissi pensierosa e affondai i denti nella cannuccia di plastica mentre mi gustavo un po' di cola con ghiaccio e limone.
Alexa si mostrò preoccupata per me e, non la biasimai, sparii per giorni senza motivo e meritava qualche spiegazione, così decisi di incontrarla.
«Vic», mi guardò con aria minacciosa.
Sospirai.
Dovevo trovare le parole giuste.
«Devo parlarti», feci il bicchiere da parte e incrociai le mie mani cercando di concentrarmi.
«Finalmente!» Esclamò aprendo le braccia. «Stavo per impazzire», poggiò entrambe le mani sulle mie per darmi coraggio. «Ti ascolto.»
Da chi sarei dovuta partire?
Da Luke? Da Derek Moore? O da me stessa?
«Io e Luke ci siamo lasciati», dissi tutto d'un fiato.
«Cosa?» Squittii mentre persone sedute a due tavoli da noi si girarono per guardarci.
Lei se ne rese conto e alzò le spalle. «Va avanti.»
Abbassai lo sguardo sulle nostre mani intrecciate mentre facevo la guerra con le mie emozioni per non crollare un'altra volta.
«Ha sempre avuto dei comportamenti strani, Ale, e ne ho avuta la conferma sabato.»
«Intendi dire dopo la cena?» Domandò scrutandomi attentamente.
«Sì, esatto», sospirai. «Mi...» La voce faticava a uscire dalla mia bocca, forse per mancanza di coraggio o semplicemente per paura di essere giudicata.
Lo strazio che ancora ardeva dentro me era immenso e l'unica persona che fu in grado di concedermi una tregua, fu l'ultima persona che pensai potesse farlo.
«Mi fai preoccupare così Vic», strinse ancora più forte le mie mani mentre il mio petto si muoveva frettolosamente per esalare quanta più aria possibile.
«Ha abusato di me», dissi in un lieve sussurro. «Mi ha picchiata, mi ha drogata e poi...», alzai gli occhi su di lei che mi stava guardando esterrefatta.
«Ma che cosa stai dicendo?»
La sua espressione cambiò totalmente: i suoi divennero lucidi, le sue mascelle si irrigidirono e le sue labbra si schiusero.
«Non l'ho più rivisto dopo quella notte. Sicuramente si starà nascondendo da qualche parte, lontano da me.»
«Dio Santo Vic», disse con la voce strozzata e, lasciando la presa dalle mie mani, si alzò per abbracciarmi forte. «Mi dispiace così tanto», affondò il suo viso sotto l'incavo del mio collo e io rimasi per qualche secondo stretta a lei.
«Giuro che se la vedrà con me», si staccò e si ricompose. «L'hai denunciato?»
Se le avessi detto anche delle fotografie e della sua minaccia, si sarebbe ancor di più preoccupata per me.
Non potevo darle ancora ansie.
«Sì. Sono sicura che lo troveranno, Alexa», mi asciugai una lacrima in fretta e tentai di ricompormi anch'io.
«Non posso ancora crederci. Gli uomini fanno davvero schifo!» Picchiettava le sue unghie sul tavolino del bar e con l'altra mano si resse il mento. «E adesso come stai?» Mi domandò con un tono preoccupato.
«Decisamente meglio.» Le sorrisi ma la mia mente stava già elaborando come avrei dovuto raccontarle la seconda parte della storia.
«Non posso neanche lontanamente immaginare come tu ti sia sentita... Ma lui è davvero un pezzo di merda», sospirò amareggiata. «Avrei voluto tanto essere lì con te per aiutarti...»
«È acqua passata, amica mia. Avrà quel che si merita», le dissi cercando di convincere più me che lei stessa.
«Hai idea di dove possa essere andato?»
«No, ma, sicuramente non troppo lontano da qui.»
Annuii con la testa.
«Lo troveranno. Ne sono sicura.» Aggiunsi.
Non finché mi mancherà il coraggio di denunciarlo...
«Se hai bisogno di qualsiasi cosa, qualunque cosa, io ci sono sempre per te.»
Mi chiesi cosa avessi fatto per meritarmi un'amica stratosferica come lei.
«In realtà c'è un'altra cosa che dovrei dirti.» Deglutii cercando di mantenere la compostezza del mio corpo.
Ebbi il coraggio di dirle di Luke, ma di Derek non riuscii neanche a scandire una singola parola.
Lei mi guardò da sotto le sue lunghe e folte ciglia. I suoi capelli neri scintillavano sotto la luce del sole e i suoi occhi scuri mi guardavano con curiosità.
«Ti senti bene?» Mi chiese allarmata.
«Sì, sì sto bene... Quello che volevo dirti è che...»
La suoneria del cellulare di Alexa mi interruppe.
«Scusa Vic, mi chiamano dal lavoro», mi fece segno col dito di aspettare, mentre si portò il telefono all'orecchio.
«Santo cielo», disse chiudendo il telefono dopo all'incirca cinque minuti. «Devo andare Vic, stasera devo ballare. Una ballerina è venuta meno e chi hanno pensato bene di far sostituire? Me, ovviamente.» Sbuffò, per poi alzarsi dalla sedia.
«Che cosa dovevi dirmi?»
«Nulla di importante», le dissi curvando leggermente il labbro.
«Sei sicura?»
Annuii e mi alzai anche io.
«Non sparire Vic», mi punzecchiò posando una mano sulla mia spalla. «E non farmi preoccupare.»
«Tranquilla Alexa, sarò molto indaffarata per la mostra di Venerdì e per di più devo recuperare un po' di lavoro.»
«Dobbiamo parlare ancora di...»
Sapevo benissimo a cosa stesse andando a parare.
Non avevamo ancora discusso del messaggio che mi inviò mentre ero in auto con Derek Moore.
Mi disse di stargli lontano per lui e lei... Cristo, mi vengono i brividi solo a pensarci.
«Ne parleremo.» Tagliai corto e ci dirigemmo all'uscita del bar. «Mi farò viva io dopo la mostra, okay?»
«Okay.»
Ci salutammo in un ultimo e caloroso abbraccio, e dopo di che, le nostre strade si separarono.
Nei tre giorni seguenti al nostro bacio, Derek Moore fece di tutto per sparire da sotto i miei occhi. Stette ore e ore chiuso nel suo ufficio in azienda, per poi tornare a casa e chiudersi nuovamente nel suo studio.
Non mi degnò di uno sguardo, non mi rivolse neanche una parola e tanto meno riusciva a star più di due minuti nello stesso ambiente in mia compagnia.
Ero diventata invisibile tutto d'un tratto, mentre lui, invece, era diventato l'unica fonte dei miei pensieri.
Erano 20 di sera e di lui nessuna traccia, se non il fatto che io ero rientrata circa un'oretta prima e avevo aperto la porta di casa con una copia delle chiavi che mi aveva lasciato in una piccola cassettina di fianco ad una splendida pianta posta vicino alla porta d'entrata.
Avevo fatto anche amicizia col portinaio, ma comunque, mi sentivo terribilmente sola in una casa gigantesca.
Non ebbi modo di vederla dettagliatamente, ma il lusso che la caratterizzava era allucinante.
Molte porte erano chiuse a chiave, le uniche libere erano la mia, il bagno di servizio e l'openspace cucina e salone.
Rimasi fissa a guardare esattamente il punto in cui c'eravamo baciati.
Illuminati dalla luce della luna, con la sua bocca che sapeva di whiskey e sigaretta e il suo profumo che puntualmente incanalavo nei miei polmoni.
Era più esperto di me, nonostante non sia stato il primo ad aver baciato, ma, mi lasciò senza fiato.
Le sensazioni che provai erano davvero difficili da spiegare: da un lato, mi ammaliò. Letteralmente. Ne volevo di più, sempre di più, volevo ancora una volta la sua bocca e le sue mani possenti sui miei fianchi. Dall'altro lato, mi sentivo sbagliata, sporca e in pericolo.
Tutto ciò che stava succedendo era un errore e lo sapevo.
Non sapevo più a chi dovessi dare ascolto: se alla mia razionalità o al mio istinto.
Mi aveva incasinato la testa e forse, anche il cuore.
Sentii la porta aprirsi e la figura di Derek palesarsi in due secondi davanti a me, ma non mi degnò ancora una volta di uno sguardo, e per questo, decisi di agire.
«Derek», mi incamminai dietro di lui cercando di stare al suo passo. Si tolse la giacca, rimanendo solo con la sua camicia bianca e le sue maniche arrotolate sino ai gomiti, lasciando intravedere ancora una volta i suoi tatuaggi e le sue braccia toniche.
«Sei pronta per la mostra di domani? Hai studiato tutto?» Si limitò a domandarmi mentre si fermò davanti al frigorifero e lo aprii, uscendo fuori la borraccia dell'acqua.
«Sì, sono pronta. Ma non è questo quello che vorrei dirti», bevve per poi richiudere il frigorifero.
«Sono giorni che mi stai evitando», affermai e incrociai le braccia in attesa di una sua risposta.
«Quello che è successo non deve più ripetersi, non sai a cosa andresti incontro.»
Mi avvicinai a passo lento, fino a che i miei occhi non si inchiodarono ai suoi, dando inizio ad un gioco di sguardi infinito.
«E se io volessi saperlo?»
«Sei troppo curiosa, Fiorellino. La curiosità può ucciderti.»
Alzai un sopracciglio, non dandogli la soddisfazione di zittirmi.
«Mi piace rischiare.»
Si avvicinò con la bocca al mio orecchio, mentre sentii i suoi respiri sulla mia pelle.
«Potrei diventare la droga di cui non sapevi di aver bisogno. Sarei una droga perenne e ti consumerei, fino all'ultimo centimetro di pelle... E mi implorerai sino all'ultimo istante di non smettere di darti questa sensazione appagante, eccitante e devastante, perché non ne potrai più fare a meno», le sue labbra sfiorarono il mio lobo e chiusi gli occhi, godendomi quella vicinanza. «E sai cos'è che ti fotterà?»
Mossi il capo in segno di no.
«...Che non ne potrò fare a meno neanche io e non mi fermerei. Neanche se ti vedessi stremata e stanca», sussurrò con voce roca. «Ho soddisfatto la tua curiosità, Fiorellino?»
Era capace di mandarmi delle scosse elettriche talmente intense lungo la mia spina dorsale, che avrei rischiato di andare in cortocircuito se avesse continuato imperterrito con le sue filosofie.
«Sei tu che mi hai baciato», gli ricordai. «Io non ti ho chiesto niente.»
Il suo naso sfiorò il mio e mi guardò negli occhi.
«Sei tu che mi hai invitato a farlo, piccolo Fiore. Ricordi? Mi hai detto di aprire le porte per l'ascesa all'Inferno e l'ho fatto. Ma non voglio che tu percorra quella strada, ecco perché ti sto evitando.»
Il mio respiro accelerò perché tutto d'un tratto mi sembrò che l'aria scarseggiasse sempre più, fino a consumarmi.
Ma ero così curiosa di capire cosa lui intendesse con quella metafora, che non potetti fare a meno di ignorare la sua frase.
«Ci sono dentro ormai, l'hai detto tu. Ma io voglio sapere cosa mi aspetta percorrere.»
Fece un ghigno, per poi arrotolare nel suo indice una ciocca dei miei capelli. Guardai quel gesto per poi spostare di nuovo gli occhi sui suoi.
Non potevo e non dovevo mostrarmi insicura.
«Ne sei sicura? Victoria Brown, stai per firmare la tua condanna a morte.»
Si avvicinò di nuovo cauto al mio viso, ad un centimetro dalla mia bocca, e diamine se volevo di nuovo un suo bacio.
«Niente che possa spaventarmi.» Risposi fissando le sue labbra.
«Ti piacciono le cose illegali, sporche e pericolose? Allora non sei così innocente, Fiorellino.» Col suo ginocchio mi divaricò lentamente le gambe intrufolandosi in mezzo alle mie cosce.
Sussultai, aggrappandomi con le mani all'isola della cucina.
Illegali?
Sporche?
Pericolose?
Victoria, ma che diamine stai facendo?
«Chiarisci illegale, sporco e pericoloso.»
Le sue mani si mossero lungo i miei fianchi e risalirono sino al mio collo, provocandomi dei brividi lungo la pelle che si tramutarono in una sensazione soffocante.
Le sue mani agguantarono i miei capelli e una scese ad afferrarmi il collo.
«Quanto sei disposta ad odiare chi è capace di farti inumidire le mutandine con un singolo tocco, Piccolo Fiore?»
Arrossii all'improvviso mentre un martello pneumatico stava bucherellando il mio cuore.
Che cosa ha detto?
«Non... Non mi provochi assolutamente niente», dissi come una bugiarda.
Merda.
In che guaio mi stavo per cacciare...
Con una mossa repentina, lasciò la presa al mio collo e ai miei capelli, prendendomi dai fianchi e alzandomi.
Mi fece sedere sul balcone della sua cucina, poi si allontanò da me.
«Che cosa stai facendo?»
«Prima mi hai detto di chiarificarti illegale, sporco e pericoloso. Cominciamo dalle basi.» Deglutii, mentre lui si poggiò comodamente al frigorifero di fronte a me.
«Senti Derek...»
Mi zittì, interrompendomi. «Fammi vedere, allora.» Mi ordinò sovrastandomi col suo tono di voce.
Sgranai gli occhi.
Indossavo ancora il vestito che avevo messo per uscire con Alexa quel pomeriggio.
«C-cosa stai dicendo?» Domandai, balbettando.
«Mi stai sfidando in continuazione, Bocciolo. Ed è ora che tu capisca cosa significa sfidare i tipi come me. Ora iniziamo il mio gioco.»
Che cosa voleva fare?
«Tirati su il vestito.»
Sarei potuta scendere e scappare da lì, ma mi sarei mostrata come quella che molto probabilmente ero... Una vigliacca.
Non sapevo a cosa avrebbe puntato, ma di certo, non gli avrei dato la soddisfazione di vedermi perdere.
Feci un respiro profondo e poi risposi al suo ordine, prendendo le estremità del vestitino e scoprendo le cosce.
Incrociò le braccia guardando con occhi pieni di lussuria lo spettacolo che gli stavo donando.
«Adesso apri le gambe.»
Cristo Santo.
«Non te lo ripeterò una seconda volta.» Si accarezzò lentamente la barba e avvertii i suoi muscoli tendersi.
Aprii lentamente le gambe lasciando intravedere i miei slip.
«Di più.»
Le mie guance andarono completamente a fuoco e facevo fatica a reggere il peso di quell'imbarazzo.
La stanza era un cumulo di tensione e mi sentivo così talmente piccola che mi sembrava esser dentro una gigantesca bolla.
Una bolla di lussuria.
Divaricai ancor di più le cosce, sentendo il mio basso ventre contrarsi per la sensazione di estrema eccitazione ma al contempo vergogna che stavo provando in quel momento.
Il mio cuore e la mia testa facevano fatica a trovare un accordo, mentre gli occhi peccaminosi di Derek Moore mi stavano osservando... Proprio lì.
«Toccati, Piccolo Fiore.»
La sua voce rude e terribilmente roca mi faceva impazzire, mentre rimasi ipnotizzata dai suoi occhi che ardevano desiderio.
Un desiderio che penso di non aver mai provato prima.
«Toccati e fammi sentire se è vero che non ti faccio bagnare le mutandine.»
Si avvicinò cauto mentre il mio corpo si rifiutava di muoversi.
«Non sai toccarti? Mm?»
Quando fu di nuovo vicino a me, afferrò il mio polso destro e me lo portò al centro dei miei slip.
«Toccati lentamente e affonda bene le dita dentro di te, Bocciolo.» Mi disse all'orecchio, poi lasciò il mio polso e posò le mani alle due estremità del mio corpo.
Feci come mi disse perché ormai ci ero dentro.
Ci ero dentro completamente perché lo provocai, fin troppo.
Potrebbe essere un contro senso, ma, in quel momento mi dimenticai totalmente di chi fosse lui e di chi fossi io.
Avevo lo stomaco sottosopra e il cuore traballante.
I polmoni affaticati e le gambe tremanti.
Ma soprattutto, il cervello in blackout.
Mi toccai di fronte a lui, ansimando leggermente. Sentii i miei umori sotto mie dita e vergognosamente affermai a me stessa che aveva ragione.
I suoi occhi si infuocarono e potetti avvertirli fin dentro le ossa. Si leccò le labbra come se fosse un'animale affamato mentre mi guardava dritto negli occhi.
Mi vergognai da morire perché non distaccò neanche per un attimo le sue pupille dalle mie, mentre io godevo di fronte a lui come una donna in astinenza.
«Basta così», ringhiò abbassando il suo sguardo e notando la sua erezione.
Merda.
Ne ero io l'artefice?
«Allora, Fiorellino, quanto eri bagnata per me?»
Ero eccitata, profondamente eccitata.
Volevo le sue mani e la sua bocca sul mio corpo, come se fossi l'unica donna rimasta sulla faccia della Terra.
«Perché non giudichi tu stesso?»
Lo provocai perché stranamente sentii di avere per una volta il potere sulla sua arroganza.
«Dammi le dita.»
Non compresi subito, ero stordita e disperatamente affamata.
Di lui.
Alzai la mano sentendo l'umidità sui miei polpastrelli e li avvicinai alla sua bocca. Mi prese la mano e mi leccò le dita, tremendamente bagnate.
Cazzo.
La punta della sua lingua attraversò tutta la lunghezza delle mie dita sottili, una per una. Leccava in mezzo, sopra, sotto l'unghia, godendosi il mio sapore.
Mi morsi il labbro per non ansimare e lo guardai, mentre cercai di interrompere quel senso di pulsazione che avvertivo in mezzo alle cosce.
I brividi che mi provocò la sua lingua a contatto con la mia pelle non li seppi nemmeno descrivere. Erano fugaci, infuocati, era come avere i raggi di un sole scottante sulla pelle.
E io mi stavo bruciando, per lui.
«Tu ti bagni per me senza che io ti tocchi minimamente», disse e mi agguantò con una mano il mento.
Si leccò le labbra, appagato da quella sensazione di pieno controllo. «E non puoi capire cosa ti farei.»
Dimostramelo.
«Credo che neanche io ti sia indifferente», ribattei.
«E sarà proprio questa la tua condanna», affermò con chiarezza avvicinandosi sempre più alla mia bocca.
Mi avvicinai anch'io, convinta che lui stesse per concedermi un bacio. «Buonanotte, Fiorellino.» Mi baciò la fronte e poi si allontanò dal mio corpo, portandosi via anche la mia impurezza, la mia eccitazione e la mia scarsa innocenza.
Rimasi sbigottita e mi resi conto che ero ancora con le gambe aperte sulla sua isola. Le richiusi subito e scesi dal bancone.
Stavo sudando, sentivo le goccioline scendere dalle mie tempie e il cuore martellarmi nel petto.
Mi aveva lasciata così, desiderosa e accaldata.
Si rivelò ancora una volta uno stronzo e io ancora una volta una stupida...
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The Silence of a Promise
RomanceHo fatto un gioco con un Piccolo Bocciolo di Margherita. La bambina mi ha promesso di non parlare. E se avesse parlato, le avrei staccato i suoi petali e le avrei fatto male. Proprio come hanno fatto con me. Ho fatto una promessa. Non ricordo ben...