Victoria
"Sei in ogni mio pensiero impuro.
In ogni mio gesto nascosto.
Per quanto ancora sei disposto a vivere nella mia testa?
Ti prego, non invadere anche il mio cuore."
Victoria Brown
Il giorno della partenza per Roma arrivò in pochissimo tempo.
Il volo era programmato per il primo pomeriggio e saremmo giunti a destinazione all'ora di cena.
Dopo quello che successe con Luke, passammo i giorni seguenti cercando di non pensare a nient'altro che al lavoro.
Derek non mi sfiorò e io cercai di non pensare a lui.
Provai a non incrociare i suoi occhi e a mostrarmi indifferente a qualsiasi cosa uscisse dalla sua bocca.
Quella bocca...
Non riuscivo più a guardarlo con distacco.
Mi era entrato dentro come un vampiro che con i suoi denti aguzzi affonda nella pelle per uccidere e nutrirsi.
Derek Moore era proprio così. Mi azzannò, nutrendosi dell'ultimo briciolo di dignità che mi rimase e prosciugando ogni mio tentativo di fuga.
Nel mio stomaco albergavano emozioni contrastanti: la voglia di godermi quella settimana e il terrore di cosa potesse accadere.
Avevamo trasgredito qualsiasi regola e rimaneva soltanto il silenzio del nostro segreto.
La nostra attrazione era fatale, la chimica sfrecciava lungo le nostre anime, non permettendomi di pensare con lucidità.
Lui cercò in tutti i modi di porsi ad una distanza ragionevole dal mio corpo, dalla mia persona e da qualunque cosa mi appartenesse. Ma i suoi occhi non smettevano mai di cercarmi.
Ma quanto ancora avremmo continuato a vivere quella situazione così assurda?
«Vic sono così contenta per te!» La voce entusiasta di Alexa risuonava dall'altra parte del telefono. «Te lo meriti amica mia, dopo tutto il male che hai subito», mi disse e i miei occhi inevitabilmente si fecero lucidi, pronti a cedere in un pianto liberatorio.
Raccontai ad Alexa del viaggio di lavoro a Roma e del quadro presentato presso la galleria d'arte del Sig. Cooper.
Era elettrizzata e felice, forse più di quanto spettasse esserlo a me.
«Già...», mormorai e reggendo il cellulare con una mano, mi misi a guardare fuori dalla finestra.
Dopo qualche secondo di silenzio, ricominciò a parlare.
«Ehi» Con voce docile mi richiamò alla sua attenzione. «Quell'uomo ti sta dando fastidio, Vic? Devo venire a casa tua? Ne vuoi parlare? O è per Luke?»
Sparò a raffica tantissime domande che mi bombardarono il cervello in meno di un secondo.
Stavo mentendo spudoratamente ad Alexa ormai da un mese e i miei sensi di colpa mi stavano mangiando viva giorno dopo giorno.
Avrei dovuto sputarle in faccia la verità e invece mi stavo ancora nascondendo dietro delle bugie perché non avevo il coraggio di farlo.
«Vic?» Strillò, facendomi tornare alla realtà.
Scossi la testa e presi un respiro. «Devo andare adesso, il volo è fra due ore e devo ancora finire di preparare i bagagli», le dissi non troppo convinta.
«Sta' attenta, per favore», rispose lei. «Mi devi ancora una conversazione molto importante... Derek Moore», aggiunse. «Quello stronzo deve starti alla larga.»
Mi venne quasi da ridere istericamente. «Si sta comportando bene con me, Alexa... Stai tranquilla.»
Mi masturbò in palestra, sul tavolo della sua cucina, sul suo divanetto in salone... E io gli ricambiai il favore.
Se Alexa l'avesse saputo...
Se avesse saputo di me e di Derek, della mancata denuncia di Luke, dei suoi bigliettini lasciati sotto la porta e delle sue minacce... Le sarebbe venuto un colpo come minimo.
Non mi avrebbe parlato mai più e non potevo neanche biasimarla.
«Ti avviso quando atterro, okay?»
«Non lasciarti abbindolare da lui...», disse e nel suo tono di voce potetti notare la sua preoccupazione.
Troppo tardi.
«Non lo farò. Devo riattaccare.»
Sentii un sospiro. «Ti voglio bene.»
«Anch'io.» Allontanai il cellulare dall'orecchio e chiusi la chiamata con la mia amica.
«Sei pronta?»
Avvertii la voce di Derek echeggiare nella stanza degli ospiti, che ormai da tre settimane circa era diventata "mia".
Annuii lievemente.
Derek Moore quella mattina mi accompagnò a casa per prendere le ultime cose per il viaggio.
Per tutto il tragitto non proferì parola, fino a quando non ci ritrovammo davanti alla mia porta di casa.
L'ultima volta che ci entrai fu per trasferirmi a casa sua... In quel momento non ebbi il coraggio di rientrare in casa. Le mie mani tremavano come foglie e i miei occhi divennero subito lucidi.
«Andiamo insieme. Okay?» Sentii la sua voce calda rimbombarmi nelle orecchie e un sospiro fuori uscì dalla mia bocca.
«Non sei costretto a farlo.»
«Insisto.»
Costeggiò l'auto d'innanzi al cancelletto di casa e spense il motore.
Mi fece cenno di scendere dall'auto e così feci. Insieme arrivammo davanti alla porta e con un gesto sicuro infilai la chiave nella serratura. La aprii: notai come tutto rimase esattamente come l'ultima volta.
Il letto spoglio, le lenzuola sul pavimento e la cucina immacolata.
Un brivido mi percorse la spina dorsale.
«Abbiamo due ore di tempo. Credo che potremmo dare una sistemata qui.»
Girai lo sguardo sul suo mentre intravidi i suoi occhi scrutare qualsiasi angolo della stanza.
«Questa rimarrà pur sempre la tua casa, nonostante alberghino dei brutti ricordi», mormorò avvicinandosi ad una madia sopra la quale avevo posizionato delle cornici con alcune fotografie di quando ero al college.
Io rimasi in silenzio, mentre il suo dito scrutava le varie immagini che aveva davanti.
«Spero che un giorno potrai ritornarci senza paura.»
I suoi occhi si posarono successivamente sui miei. Le sue nocche sfiorarono le mie guance e io chiusi le palpebre.
«... E io farò il possibile per far si che questo accada.»
Quell'affermazione mi fece sorridere il cuore e mi fece capire che infondo non mi odiava così tanto come diceva.
Rimase ad accarezzarmi senza fermarsi e io mi godetti ogni singolo secondo.
Come ogni suo tocco violento e perverso mi faceva impazzire, anche i suoi sfiori docili erano in grado di farmi perdere la testa.
Staccò le sue dita dai miei zigomi arrossati e io riaprii gli occhi.
«Non sono abituata ad un Sig. Moore estremamente...», iniziai a parlare ma mi stroncò sul nascere.
«Dolce?», mi domandò.
Annuii.
«No, fiorellino. La dolcezza non mi appartiene.»
Aggrottai la fronte. «E allora come dovrei definire questa tua presa di posizione?»
Si mise le mani in tasca e allargò leggermente le braccia.
«Sete di vendetta. Voglio punire quel figlio di puttana.»
La sua voce divenne roca e seria. Quasi ringhiò per la rabbia e serrò le mascelle.
Il suo cambio di umore mi spaventò. Non osai immaginare cosa fosse stato in grado di fare se Luke gli si fosse palesato davanti.
«Preparo le ultime cose...» Tentai di cambiare discorso, aprendo l'anta del mio armadio. Inserii nella valigia che portai con me ulteriori vestiti e una pochette abbastanza grande per i cosmetici.
Derek raccolse le lenzuola e si preoccupò di sistemarmi il letto, mettendo le coperte pulite.
Rifece il letto in un batter d'occhio e lo guardai mentre tese le lenzuola in modo da non farle raggrinzire. Anche da sotto la maglia tecnica a maniche lunghe potetti intravedere i suoi muscoli guizzare e contrarsi.
Mi morsi il labbro e deviai lo sguardo, sperando di non farmi vedere.
In poco tempo la mia camera da letto ritornò di nuovo pulita, come se fosse nuova.
«Credo che ora sia di nuovo una camera», sussurrai.
Lui non rispose, ma si sedette sul materasso e alzò lo sguardo sull'orologio appeso alla parete a suo lato.
Ancora un'altra ora e ci saremmo dovuti recare in aeroporto.
Lui tastò il materasso, emettendo un sospiro.
«Derek?»
Lo richiamai alla mia attenzione ma lui non osò posare lo sguardo sul mio.
Mi sedetti al suo fianco e istintivamente posai la mano sulla sua. Lui trasalì.
«Derek...»
Irrigidì la mano ma non la sollevò. Il mio palmo continuò ad essere posizionato sopra il suo dorso e mi diede un cenno.
«Se solo ripenso che su questo fottuto letto lui ti abbia scopata contro la tua volontà... Commetterei un omicidio.»
Le sue parole erano cariche di rabbia e non potetti fare a meno di rimanere in silenzio.
«Se penso che ti abbia minacciato con delle fotografie... Se penso che si è appostato dietro la mia porta di casa... Che ci abbia spiato...», disse serrando un pugno, mentre la vena a lato del suo collo si espandeva sempre di più.
Decisi di tranquillizzarlo e l'unico modo che avevo era farmi sentire. Fargli sentire il mio corpo, trasmettergli le mie vibrazioni.
Avevo capito che con lui le parole servivano a poco. Voleva di più.
Aveva bisogno di tutt'altro.
Mi alzai e subito dopo mi misi a cavalcioni su di lui, attorcigliando le gambe attorno al suo bacino. Lui mi guardò sorpreso, mentre le mie braccia finirono al suo collo.
«Evito che tu vada in carcere.» Gli diedi la risposta alla domanda che lui mi fece semplicemente guardandomi negli occhi e aggrottando la fronte.
Mi spostò una ciocca di capelli a lato.
«Lo sai che così non mi calmi, vero?» Strinse con le dita delle mani i miei fianchi, mentre la sua erezione faceva fatica a contenersi. «Mi agiti...» Le sue dita scivolarono lungo la mia schiena, provocandomi dei brividi.
«Sempre meglio che vederti marcire in galera...», mormorai al suo orecchio.
Ogni volta che ripromettevo a me stessa di stargli lontano, non ci riuscivo mai.
Eravamo due poli opposti che si attraevano continuamente.
«Fiorellino, non hai ben capito che io pur di starti lontano e annullare l'impulso di scoparti, mi farei volentieri ammanettare.» Col pollice segnò il contorno delle mie labbra, mentre continuava a fissarmele con prepotenza. Le dita dell'altra mano stringevano con fermezza i miei fianchi, facendomi ansimare. «Oppure...», sussurrò e la sua mano agguantò il mio collo. «Potrei tenderti un agguato... Farti entrare in cella, ammanettarti, spogliarti e buttare la chiave.» Lambì le mie labbra, provocandomi dei brividi di piacere. La sua lingua vagava sulla superficie della mia bocca e la sua erezione si faceva sempre più dura, sino a comprimermi il basso ventre.
Delle goccioline di sudore mi percorsero le tempie, mentre il tempo sembrava essersi fermato.
Non resistetti più.
Dopo tre giorni di niente, avevo nuovamente bisogno di lui.
Mi fiondai sulla sua bocca e rapidamente lui aprì la bocca, infilando la lingua che si intrecciò con la mia. Le sue mani si attaccarono al mio fondoschiena.
Continuammo a baciarci senza fermarci e le mie narici cercavano di assimilare quanto più ossigeno possibile.
Risalii sui suoi capelli che intrecciai attorno alle mie dita mentre le nostre lingue continuarono a toccarsi a vicenda.
Strozzai un gemito quando lui si staccò e cominciò a baciarmi il collo, succhiarlo e morderlo come se fosse un piatto prelibato.
Mi morsi il labbro e il mio bacino premeva contro il suo corpo così come la mia intimità strofinò sul suo pube.
Lui acchiappò la mia chioma in un pugno e mi costrinse a guardarlo negli occhi.
«Fermati fiorellino», ordinò con voce roca e autoritaria. «O mi costringeresti a piegarti e a scoparti senza nessun freno.»
Sbattei le palpebre più volte mentre le mie labbra bagnate ne volevano ancora.
Mi resi conto della realtà e scossi la testa per riordinare i pensieri.
Era quello che volevo? Sì.
Le mie mutandine fradice risposero per me.
Quell'uomo era in grado di far uscir fuori ogni mio desiderio proibito e ogni mio peccato nascosto.
«Chi si odia, non scopa. Non era così il tuo monito, bambolina?»
Alzai un sopracciglio.
Ed ecco che l'anima stronza uscì fuori, ancora una volta.
«Lo è.»
Ripresi fiato e a malincuore, scesi dalle sue gambe e mi ricomposi. Mi toccai le labbra, cercando di togliere da dosso il suo sapore.
Mi schiarii la voce. «Penso che dovremmo andare in aeroporto.»
Lui mi osservò con ardore e davanti a me, si sistemò il cavallo dei pantaloni estremamente gonfio. Arrossii e mi morsi l'interno guancia.
«Ti dà fastidio?»
«Potresti farlo non d'innanzi ai miei occhi.»
«Be'», disse e fece un passo indietro. «Ti sei appena strusciata sul mio cazzo e mi hai fatto arrapare, penso che mi sia concesso sistemarlo nei pantaloni davanti a te.»
Sistemai le ciocche di capelli dietro il mio orecchio, cercando di ignorare le sue parole sporche. Poi buttai lo sguardo sulla valigia e mi accinsi a prenderla dal manico.
Dovevo smorzare quella tensione, altrimenti non ne sarei uscita viva.
«Andiamo?», domandai cercando di non far trapelare il desiderio che ancora soccombeva sul mio basso ventre.
«Dopo di te, Fiorellino.» Assunse un tono da galantuomo e mi lasciò passare.
Vic ripeti che va tutto bene.
Va tutto bene.
Derek parcheggiò l'auto nella sontuosa aerea che costeggiava l'aeroporto di New York. Un via vai di migliaia e migliaia di persone mi lasciò senza parole. Non mi ero mai allontanata dal mio paese, nonostante mi piacesse tanto viaggiare.
Ma mi ripromisi che non appena ne avessi avuto la possibilità, sarei andata a Parigi a vedere la casa di Claude Monet.
«In genere la nostra azienda organizza dei voli privati tramite la compagnia aerea. Per questo nonostante i biglietti, abbiamo un aereo tutto per noi con posti di prima classe», affermò.
«E non passiamo al check in e ai controlli di sicurezza?», domandai mentre insieme iniziammo a dirigerci verso l'entrata.
«No. L'aeroporto attende il nostro arrivo, sa' chi siamo. Ci scorteranno direttamente verso il nostro aereo.»
Non ero abituata a tutti quei benefici, tanto meno a volare su un aereo di prima classe.
Per me era tutto così assurdo, così nuovo e temevo di non esserne all'altezza.
«Sig. Moore.»
Un uomo sulla cinquantina d'anni, vestito in giacca e cravatta e con un colorito di pelle abbastanza scuro e occhiali da sole salutò Derek e dopo di che, mi fece il baciamano.
«Seguitemi.»
Derek mi fece cenno di andare e lui mi seguì a ruota.
Superammo tutti i controlli di sicurezza e saltammo le file chilometriche. Il mio sguardo non sapeva più dove poggiarsi, se sulle famiglie, sui bambini che giocavano in attesa di immettersi sul loro volo o su persone che invece viaggiavano in solitaria e smorzavano l'attesa leggendo un libro.
Nel giro di cinque minuti di cammino, arrivammo nella pista di decollo e atterraggio degli aerei. Erano tutti disposti su file e il nostro si trovava isolato in un angolo.
«Eccoci qui.»
Derek passò i biglietti a quell'uomo, il quale li piegò strappandoli leggermente e infilandoli nella tasca della sua giacca.
«Partiamo solo noi?»
«Gli altri colleghi dell'amministrazione e marketing ci raggiungeranno domani.»
Derek Moore rimase impassibile, serio e composto.
Quasi non lo riconoscevo più. Pensare che un'ora prima mi sussurrava cose oscene e in quel momento si comportava con aria autoritaria, mi scaturiva un effetto vibrante e quasi incandescente.
Il suo continuo adattarsi in base all'ambiente che lo circonda lo rendeva camaleontico.
Quello era uno degli aspetti che più mi piaceva di lui e che forse avrei voluto che mi insegnasse meglio.
Le porte dell'aereo si aprirono e con loro anche una scala automatica che poggiò al suolo.
L'uomo che ci scortò sistemò le nostre valige nel bagagliaio mentre io e Derek salimmo su. Rimasi completamente scioccata dall'ambiente.
Non appena entrai, i miei occhi si posarono sull'arredamento lussuoso e sfarzoso.
Davanti a noi quattro file da due sedili in pelle chiaro disposti uno di fianco l'altro con due televisori corrispettivamente di fronte, incastonati in una struttura di legno scuro. Le luci a led contornavano tutto l'ambiente dal pavimento sino al soffitto.
Mentre mi guardavo attorno, sopraggiunse un'assistente di volo con due bicchieri di vetro su di un vassoio. Era bionda, alta e molto magra. Era molto bella se non fosse per la voce da ochetta che usciva fuori dalla sua bocca rivolgendosi a Derek.
Mi domandai se fra loro fosse successo qualcosa e se la risposta fosse stata affermativa, di certo non mi sarei stupita. Anche se una sensazione di gelosia imminente e una morsa allo stomaco, si fecero strada nella mia testa.
Vic, non ha senso.
Scacciai quell'emozione negativa dalla mia testa, trovando un appiglio per distrarmi.
«Gradite dello champagne prima della partenza?», domandò stridula guardando da sotto le sue lunghe ciglia finte Moore.
«Sì, grazie.» Rispose lui.
Afferrò i due bicchieri, mentre lei, rivolgendogli un'ultima occhiata, si dileguò in fretta quando Derek le fece cenno con la testa.
Mi passò il bicchiere e ci accomodammo sulle poltrone. Non appena la mia schiena poggiò sullo schienale, chiusi gli occhi per l'estrema comodità.
«Hai mai preso un aereo?»
La sua voce risuonò nelle mie orecchie e mi costrinse a riaprire gli occhi. Fece roteare il liquido nel bicchiere per poi portarlo alla bocca.
Feci di no con la testa e iniziai a sorseggiare, per poi posizionare il calice in un alloggio posto a lato del mio sedile.
«Il decollo potrebbe essere leggermente burrascoso...», disse bevendo tutto d'un tiro. L'hostess ripassò, portandosi via il bicchiere vuoto.
«C-che?», risposi tartagliando.
«Se non hai mai volato, la prima volta è sempre così per tutti. Potresti vomitare.» La sua voce nascondeva un velo di divertimento.
Difficilmente Derek Moore scherzava, era più un suo modo di mettermi in imbarazzo.
«Se mi stai prendendo in giro...» Non conclusi la frase, perché il pilota si fece sentire da alcuni autoparlanti e ci consigliò di attaccare le cinture di sicurezza perché il decollo era previsto da lì a breve.
D'improvviso un forte rumore e delle vibrazioni percorsero tutto il mio corpo.
Ci stavamo muovendo e guardai fuori dal finestrino, notando come pian piano l'aereo si distaccava dal suolo.
«Oh. Mio. Dio.» Scandii bene le parole e mi morsi il labbro.
Derek mi afferrò la mano d'improvviso e me la strinse. Io spostai lo sguardo sul suo che mi stava osservando con un ciglio di piacere.
«Sai che sei sexy quando hai paura?», domandò ironicamente e io sbuffai.
«Non è divertente...» Strinsi più forte la sua mano, fino a quando le mie nocche non divennero bianche e chiusi gli occhi.
Dopo qualche secondo di paura e di adrenalina, mi rilassai non appena vidi il cielo e le nuvole sotto di noi.
Era un qualcosa che non avevo mai sperimentato e mi sembrava di essere in una favola.
Wow.
«Stiamo volando davvero?»
«Direi di sì.»
Puntai lo sguardo sulle nostre mani. Erano intrecciate e strette.
Mi trasmettevano calore, nonostante la sua anima fosse di ghiaccio all'apparenza. Ma ero sicura che nascondesse qualcosa, altrimenti, non mi avrebbe mai portata al mare.
Non dimenticherò mai quel suo gesto, anche se lui ripeté più di una volta che lo fece solo per il suo ruolo.
D'improvviso, sentii abbandonare la sua presa e venni trascinata nuovamente alla realtà.
«Toglimi una curiosità.»
«Sono tutt'orecchie signorina Brown.» Enfatizzò le ultime due parole con voce roca.
Morivo dalla curiosità di sapere.
Dovevo sapere.
Mi presi del tempo per porgergli la domanda.
«Hai aggiunto alla tua collezione anche l'hostess nei tuoi innumerevoli viaggi?»
Lui sogghignò, curvando leggermente il labbro.
«A te cosa interessa, Bocciolo?»
In verità non doveva interessarmi, ma nella situazione in cui io e lui ci ritrovammo, mi risultò difficile far finta di niente.
«Per caso sei gelosa del fatto che non ti ho ancora concesso il beneficio del sesso insieme a me?»
«Non credo che sia tu a dovermelo concedere, Derek.» La mia voce stizzita fece trapelare anche il mio senso di gelosia immonda per quell'uomo.
Nonostante non fossimo assolutamente nulla, continuai a provare una sensazione di fastidio.
«Comunque, no, Fiorellino.»
Sospirai in maniera sollevata. Non avrei sopportato che quella donna ci girovagasse attorno consapevole che Derek l'avesse portata a letto.
«Okay.»
In realtà non era solo una risposta affermativa. La mia era una sensazione di sollievo che pervase totalmente tutto il mio corpo.
«Ciò non toglie che possa averla toccata...», sussurrò con voce roca, poggiando poi una mano sulla mia coscia.
Indossavo un vestito lungo sino alle ginocchia e sentii la ruvidità della sua mano sulla pelle.
Trasalii.
Mosse il pollice creando piccoli cerchi mentre il mio respiro si fece corto.
«Siamo su un aereo...» Cercai di trovare il modo per rimanere composta e accavallai la gamba opposta, intrappolando la sua mano.
«Sono previste turbolenze.»
Nonostante il peso della mia gamba, la sua mano riuscì a muoversi lentamente e ad arrivare sulla parte superiore della mia coscia. Si insinuò al di sotto del mio vestito, giungendo al tessuto dei miei slip.
«Smettila Derek...», mormorai e mi morsi l'interno guancia per non cedere alla sua tentazione.
«Vuoi sapere come l'ho toccata? Se non ricordo male eravamo in viaggio di ritorno per New York...»
La mano opposta si accarezzò il cenno di barba, mentre lui mi guardava con occhi che tramutavano in desiderio ogni vibrazione che mi donava il suo corpo.
«Non mi interessa...», dissi girando lo sguardo e notando che non c'era nessuno oltre noi. L'hostess era nella cabina di comando col pilota e avvertii l'aria farsi sempre più tesa.
«Quindi non ti importa come ti farò godere su un aereo diretto verso Roma? Potrebbe essere un viaggio ricco di sorprese.»
Alcuni brividi percorsero la mia schiena, la mia spina dorsale, le mie gambe e ogni centimetro scoperto del mio corpo.
«Ne abbiamo già parlato...», dissi dimostrandogli che non avrei ceduto all'eccitante tentazione di essere toccata ancora da lui.
Ma svanì presto, perché non appena la sua mano stava abbandonando il tessuto quasi bagnato delle mie mutandine, io serrai fortemente le gambe per impedirglielo.
«Ma guarda che bambolina bugiarda.»
Deglutii sentendo i suoi occhi infuocati scottare sui miei. Lui mi fece cenno di ricompormi e così feci. Posizionai le gambe dritte, respirando a fatica.
Lui si tolse la cintura di sicurezza e si alzò, recandosi verso la porta chiusa che ci separava dalla sala controllo e dal pilota.
Disse loro qualcosa e dopo circa trenta secondi richiuse la porta. Successivamente tirò una tenda, cosicché avessimo completamente la privacy.
«Derek... Che cosa hai detto?», domandai allarmata.
«Che sarà un viaggio lungo e che stasera abbiamo una riunione. Dobbiamo riposare, no?»
Arrossii. «Non voglio che ci disturbino... Durante il nostro sonno.»
Sonno...
Mi sganciò la cinta e mi fece sedere in mezzo ai nostri sedili. Mi afferrò un braccio e lo distese completamente sul sedile dove poco prima era seduto lui. Attaccò la cintura di sicurezza e la strinse saldamente per bloccarlo.
«Cosa stai facendo?» Sgranai gli occhi perché mi resi conto di non riuscire a muoverlo.
«Mi assicuro che tu sia ben protetta per la forte turbolenza che dovrai affrontare», disse con voce roca.
Fece la stessa cosa con l'altro braccio, prestando attenzione che fosse tenuto ben fermo dalla cintura.
Il mio corpo era inarcato e le mie braccia tese. Ero in una posizione così scomoda che sentivo tutte le fibre muscolari contrarsi.
«Adesso che sei pronta, puoi allargare le gambe fiorellino.»
Le sue labbra si curvarono in un sorriso perverso, malvagio e ricco di libidine.
«Derek non è una buona idea...»
«Oh no, bambolina», disse inginocchiandosi davanti alle mie cosce. Le mani si posizionarono sulle mie cosce e mi costrinse ad allargarle. Poggiai il collo sul sedile e il mio petto faceva su e giù in maniera repentina.
Non riuscivo a contenere la voglia che avevo della sua bocca.
Sentii il clitoride pulsare, il basso ventre contorcersi e i nervi poco saldi.
Lui si avvicinò ai miei slip con la bocca, portando in alto lentamente il mio vestito. Mi scoprì e con i denti afferrò il bordino delle mutandine, cominciando ad abbassarle.
Cercai di afferrargli i capelli, ma le stringhe delle cinture erano così strette che ogni movimento mi doleva i polsi. Così, decisi che era meglio rimanere ferma.
«Non muoverti», ringhiò portando gli slip giù sino alle mie ginocchia. Poi mollò la presa e li fece cadere al suolo.
Mi allargò velocemente le gambe, mostrando la mia intimità ricca dei miei umori.
Ci soffiò leggermente sopra, aprì le grandi labbra con le dita e fece colare un po' di saliva al suo interno.
«Oh, Derek», mugolai per il piacere e contrassi i muscoli dell'interno coscia.
«Sta' zitta bambolina o potrebbero sentirti, vuoi questo?», domandò lambendo il mio clitoride pulsante e gonfio. Lo leccò, attuando dei piccoli cerchi con la punta della lingua.
Ansimai in maniera oscena, facendogli sentire la mia profonda eccitazione.
«Se non chiudi la bocca bocciolo, mi fermo. Trattieniti.»
Stronzo.
Sapevo benissimo che non era quello che voleva, ma in quella circostanza avrei dovuto fare silenzio o avremmo rischiato di essere scoperti.
Ma rimaneva comunque un fottuto stronzo.
Riprese a leccare in maniera peccaminosa la mia intimità, poi schiuse le labbra e succhiò famelicamente ogni singola parte.
Affondai i denti nelle mie labbra, sino a farmi uscire il sangue. Puntai le dita dei piedi sul pavimento, alzando i talloni e sollevai leggermente i glutei, spingendo il bacino verso la sua bocca.
Sentivo il suo alito caldo provocarmi degli spasmi e le mie gambe quasi cedere. Lui infilò un dito dentro e trattenni il respiro.
Poi si staccò con la bocca e cominciò a muoverlo lentamente, osservandomi.
«Cazzo, vivrei solo di questo», mormorò in un momento di follia. «Di te, del tuo sesso e di come il tuo corpo gode con me.»
Io arrossii in maniera imbarazzante, mentre lui accinse ad infilarne un altro e li mosse in maniera esperta. Avanti e dietro, a destra e a sinistra, sino a formare dei cerchi concentrici e ad un ritmo che mi fece impazzire.
Sentii l'orgasmo essere sempre più vicino e le mie braccia contorcersi per cercare di liberarsi.
«Liberami, per favore», squittii vergognosamente.
Lui rimase a guardarmi, muovendo rapidamente le sue dita.
«La parolina magica, bambolina.»
Capii subito e anche se ero in preda ad un orgasmo troppo vicino, riuscii a pensare con lucidità.
«Ti prego.»
Le sue dita si sfilarono dalla mia intimità in maniera repentina e sganciò le cinture dalle mie braccia, permettendomi di muovermi.
Ripresi fiato e mi toccai i polsi dolenti, fino a quando lui non si sedette sul pavimento, poggiando la schiena contro la tv di fronte ai sedili.
«Voltati.»
Aggrottai la fronte, mentre le orecchie iniziarono a fischiarmi. Molto probabilmente era per il cambio di pressione dell'aria.
«Voltati e non fare troppe domande, cazzo.»
Mi voltai mentre lui mi fece avvicinare.
«Adesso...» Accarezzò con entrambe le mani le mie gambe, sino a sopraggiungere nuovamente verso il mio sesso glabro.
«Adesso?»
Morivo dalla voglia e le gambe mi tremavano come se fossero foglie in una notte d'inverno.
«Siediti sulla mia faccia.»
La sua richiesta, per quanto assurda mi sembrò, mi fece raddrizzare le antenne e la eseguii senza alcuna protesta o domanda.
Avevo bisogno di quell'orgasmo.
Avevo bisogno di lui.
Avevo bisogno di sentirmi libera, per una volta.
Poggiai le mani sullo schienale del sedile e mi piegai, esponendo la mia vagina sul suo viso. Lui poggiò le mani sui miei glutei e chinò la testa, per assaggiarmi ancora una volta.
«Calda, stretta, succosa», disse commentando oscenamente il mio organo e riprendendo a succhiare.
Mi assaggiò, sino a divorarmi. Prese tra i denti il mio clitoride e lo lambì muovendo la sua lingua freneticamente e mantenendo un ritmo regolare.
Stavo per scoppiare.
«Ricordati di stare zitta», sussurrò mantenendo sempre un tono di voce arrocchito e stringendo le mie natiche.
Mossi il bacino contro di lui, come se lo stessi cavalcando sentendo i miei respiri sempre più irregolari e una morsa che mi arrivò sino alla gola.
Una sensazione inebriante arrivò fino al mio cuore, liberando le farfalle nel mio stomaco e permettendo di farle svolazzare libere.
Ero libera.
Mentre continuò a masturbarmi con la bocca, un'ondata di piacere si fece strada lungo la mia spina dorsale, provocandomi degli spasmi.
Mi morsi il braccio per non urlare e mi lasciai riempire e saziare da un orgasmo puro, folle e completamente autentico.
«Sei la condanna che sconterei in prigione per il resto della mia vita.» La sua voce era un mix di emozioni e mi provocò a sua volta delle sensazioni che non seppi nemmeno spiegare.
Sorrisi, non facendomi vedere mentre lui mi prosciugò ogni goccia di liquido. Mi leccò l'interno coscia, prendendosi tutto.
Mi risollevò le mutandine, mi diede un bacio sul gluteo destro e mi abbassò il vestito. Io mi risollevai, cercando di ricompormi. Avevo bisogno di sedermi e prendere fiato.
I capelli mi si erano appiccicati alla fronte e quando il mio sedere tastò il sedile, mi rilassai così tanto da sentirmi soffocare.
Lui era di nuovo seduto al mio fianco mentre guardava attraverso il finestrino le nuvole che ci circondavano.
Decisi di rischiare, come sempre. Non mi importava delle conseguenze o dei suoi occhi che mi avrebbero intrappolato ancora una volta. Avevo bisogno ancora di un contatto, così, poggiai la testa sulla sua spalla e lui, questa volta, non si oppose.
«Che significa che sono una condanna per te?», domandai chiudendo gli occhi.
«Sei tutto ciò che va contro la mia natura. Verrò punito per questo.»
Il profumo del dopobarba mi inebriò le narici e mi sembrava quasi di star sognando.
«Da chi, Derek?»
«Ne parleremo in un altro momento, Fiorellino.» Ritornò serio, ma non troppo. «Adesso devi riposare.»
Buttai uno sguardo sul cavallo dei suoi pantaloni, apparentemente gonfio. Fin troppo.
«Non preoccuparti per questo.»
Mi aveva scoperta.
«Non... Non stavo», mi interruppe e io alzai la testa. «Non è come credi», tentai di giustificarmi.
«Qualunque cosa tu stessi facendo, Bocciolo, non deve destarti preoccupazione.»
«Cosa intendi dire?»
«Se tu lo vorrai, ho tante cose in serbo per te.»
Le mie pupille mostrarono un punto interrogativo che non riuscii a nascondere.
«Sarei curiosa di saperle.»
«E io eccitato di fartele provare.» Controbatté, leccandosi le labbra. «C'è ancora la vincita di una scommessa da scontare.»
Ricordavo esattamente di cosa parlasse.
Mi disse che per la sconfitta, voleva ritrarmi, ma non andò oltre. Mi sembrava un pegno molto stupido, rispetto a tutto quello che vivemmo in quel mese.
Non risposi, ma deglutii a fatica.
«Adesso goditi il viaggio e riposa il tuo corpo... Perché una volta arrivati, non ti concederò nemmeno un attimo di pace.»
Ma io non volevo la pace.
Volevo solo risposte.
Ma sapevo benissimo che non mi avrebbe concesso il beneficio di una risposta.
Perché era fatto così.
Era enigmatico e misterioso, sin dal primo giorno che i nostri sguardi si incrociarono per la primissima volta.
«Sappi che con quell'hostess non è accaduto niente di tutto questo.» Mi rivelò tutto d'un tratto.
Sorrisi nuovamente, girando lo sguardo.
«E con nessun'altra donna.»
«Perché proprio io?», domandai ma lui non rispose. Si limitò a poggiare la testa sul sedile, rimanendo in silenzio.
Non insistetti questa volta, ma feci esattamente lo stesso.
Poggiai la testa sul cuscinetto, lasciando che la mia mente si perdesse fra i pensieri che andavano oltre quella semplice domanda.
Il mio cuore si tranquillizzò, ma sentii ancora le farfalle svolazzare.
Cercai di scacciarle via con scarsi risultati.
Non affezionarti, mi disse la vocina nella mia testa.
Ma forse... Era troppo tardi.
SPAZIO AUTRICE
Ciao a tutte Piccoli Fiori, questo è il ventottesimo capitolo della storia!
Perdonatemi per il ritardo, ma è un periodo veramente duro e pieno di impegni. Ma un modo per scrivere di loro lo trovo sempre... Ormai mi ci sono troppo affezionata e spero anche voi!
Mi trovate anche su IG e tiktok col nick higracehall!Se vi va, lasciatemi un commentino e una stellina :)
A presto,
Un abbraccio.
Grace Hall
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The Silence of a Promise
RomanceHo fatto un gioco con un Piccolo Bocciolo di Margherita. La bambina mi ha promesso di non parlare. E se avesse parlato, le avrei staccato i suoi petali e le avrei fatto male. Proprio come hanno fatto con me. Ho fatto una promessa. Non ricordo ben...