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"Ma il sole dov'è? È qui vicino a me

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"Ma il sole dov'è? È qui vicino a me."
Emis Killa (Mercurio)


Osservai i suoi lunghi capelli scompigliarsi per via del vento, le sue lentiggini che vennero messe in risalto dal bagliore della luna e i suoi occhi verdi che sbrilluccicarono quando videro le onde del mare.
La pioggia cessò qualche minuto dopo il nostro arrivo. La sabbia era fredda, l'umidità le entrò nelle ossa tanto da trovarmi costretto a prestarle la mia giacchetta di pelle.
«Mi chiedo a che temperatura sia il tuo corpo per non patire mai il freddo.»
Ero abituato alle docce bollenti che i vapori dell'acqua vennero assorbiti dalla mia pelle e mi tenevano caldo anche col freddo di fuori.
«Perché sei voluta venire qui?» Misi le mani nelle tasche mentre ci fermammo sul bagno asciuga. Lei si tolse le scarpe e affondò i piedi nella sabbia, contemporaneamente si girò a guardarmi. «La prima volta che venimmo qui mi dicesti che andare al mare ti aiutava a riflettere», mi disse quasi cercando la mia approvazione.
«È così.»
Voltò lo sguardo verso il mare e si spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
«E io adesso ho bisogno di farlo.»
La guardai attentamente, contraendo la mandibola.
Mi chiesi cosa le stesse frullando nella testa.
«Si può sapere su cosa?»
Lei curvò le labbra in un mezzo sorriso.
«Devo riflettere sui miei sentimenti, Derek.»
Sentimenti?
«Non ti seguo.»
Immerse i piedi nell'acqua, mordendosi il labbro inferiore; forse per il freddo o forse perché voleva trovare il coraggio di dirmi qualcosa e non sapeva come fare.
Mi irrigidii.
«Da quando io e te abbiamo...», si interruppe, cercando le parole giuste. «Abbiamo fatto sesso, sei stato con altre?», domandò tirando giù la zip della giacca.
Ma che cazzo le stava prendendo?
«Dove vuoi arrivare, Victoria?»
«Rispondimi.» Si tolse la giacca, lasciandola cadere sulla sabbia.
Non avevo scopato più con nessuna e non avevo toccato nessun'altra.
Perché?
Perché con lei non mi sentivo così fottutamente sporco nell'animo.

«Non sono stato con nessuna.»
Si sfilò la felpa, facendole fare la stessa fine della giacca.
Rimase in reggiseno, mentre il suo respiro si fece affannato. Il petto si alzava e abbassava, come se il cuore volesse uscire dal petto.
Mi guardò con aria di sfida.
«Perché?», chiese mentre lentamente si sbottonò i pantaloni. La sua pelle si riempii di brividi mentre resse il mio sguardo.
«Cosa cazzo stai facendo?»
Se li abbassò e sollevò prima una gamba e poi l'altra, togliendoseli completamente.
Fece un passo in avanti, alzò il mento e si pose a pochi centimetri da me.
«Rivestiti. Subito.» Ribadii.
Per la prima volta la vidi sicura di sé stessa, mentre la mia libido stava andando a fuoco.
«Sai qual è il problema?», riprese a parlare. «È che pur non sopportando il tuo atteggiamento da fottuto menefreghista, Derek, io non riesco a star lontana da te.»
Mi guardò da sotto le sue lunghe ciglia e poi attorcigliò le braccia attorno al mio collo.
La verità era che ancora avevo i muscoli doloranti e intorpiditi. Mi sentivo anche il sangue in mezzo ai denti, il suo sapore ferroso mi stava dando la nausea.
«Ti piace farti del male.»
Sentii il suo profumo invadermi il naso e i suoi respiri caldi sulla mia bocca.
Mi solleticò la pelle, mentre la mia erezione faceva fatica a contenersi.
Le cinsi i fianchi con le mani, e, sotto le mie dita, avvertii i suoi brividi.
Le nostre bocche si sfiorarono appena, mentre premetti su di lei la patta dei pantaloni gonfia.
«Può darsi», mi guardò dal basso mentre passò ad accarezzarmi il viso. «Ma forse mi piaci più tu.» Arrossii come la prima volta che ci conoscemmo, mettendo in risalto la sua estrema timidezza ma anche il suo profondo coraggio.
Era bellissima.
Fin troppo bella per la mia anima dannata.

«Fiorellino», sussurrai e trascinai le dita lungo la sua spina dorsale, cingendo con una mano il suo collo. Lei deglutii, mostrandomi quanto le eccitasse quando lo facessi e quegli occhi da cerbiatta mi facevano impazzire. «Non andrai oltre la semplice infatuazione.»
«Non puoi comandare il mio cuore», mormorò reggendo il suo sguardo. Le leccai il labbro inferiore e poi lo afferrai tra i denti, succhiandolo. Ansimò, spingendomi la testa verso la sua. Si attaccò a me, alzandosi in punta di piedi.
«Soffrirai, Bocciolo, perché io non sono in grado di provare sentimenti per le persone. Te l'ho detto tante volte», dissi mentre il palmo della mano scese sul suo gluteo.
«Perché non provi a lasciarti andare?», sussurrò.
La fissai, spostando le pupille a destra e a sinistra.
Non riuscivo a smettere, perché mi nutrivo di lei. Era la mia linfa vitale: mi cibavo di ogni sua speranza, perché io non avevo più motivo per credere in qualcosa.
Invece lei sì.
Lei era piena di vita, di coraggio e di ambizione.

Ma ognuno è artefice delle proprie scelte e lei delle sue. E se quello che voleva era me, si sarebbe dovuta trattenere e legare a sé anche la sofferenza che le avrei procurato.
Lei mi piaceva, da morire. Era l'unica che volevo toccare, baciare e scopare.
Non volevo più nessuna, a parte Victoria Brown. Ma dirglielo avrebbe significato illuderla di un sentimento molto più profondo che di certo non avrei saputo gestire e vivere.
Non ero tagliato per l'amore. E se per farla mia ogni fottuto secondo della mia esistenza dovevo provarci, ormai avevo fatto un patto con i miei demoni. Ed io non avrei voltato le spalle a chi mi aveva salvato da quella cazzo di clessidra, in un letto di ospedale, a lottare tra la vita e la morte.
«Se mi lasciassi andare, ti dovrei scopare fino all'alba di questa mattina», dichiarai senza alcun velo.
«Fallo.»
Strisciai la punta del mio naso col suo, mentre iniziò a tremare per il freddo.
«Giurami che per te sarà niente meno che solo sesso.»
Esitò qualche secondo, ma poi, si lasciò trasportare dal momento: mi baciò insinuando la lingua nella mia bocca.
Impazzii.
Mi stavo trattenendo da troppo.
Mi sbottonai velocemente i pantaloni tirandoli giù, mi sfilai gli scarponi, i boxer e la presi in braccio, sollevandola dai glutei. Lei attorcigliò le gambe tenendole ben salde sui miei fianchi e pian piano cominciai ad entrare nell'acqua.
Nonostante la pioggia passata, la temperatura del mare non era bassa.
Continuammo a baciarci, consumandoci la bocca a vicenda. Camminai sul fondo marino, tenendola stretta. Il suo corpo si riempii di brividi al contatto col bagnato ma sentii i suoi capezzoli duri strisciare sul mio maglione.
Ciò che mi piaceva di quella spiaggia era la piccola oasi che si trovava a pochi passi dal largo del mare. Era circondata da scogli di tutte le dimensioni, con un piccolo e corto bagno asciuga che divideva la spiaggia in due parti.
L'acqua era così cristallina che la luna riusciva a riflettervi tutta la sua bellezza.
Ed era proprio in mezzo a quegli scogli che l'avrei presa e fatta mia.
Mi piegai sulle ginocchia, immergendo lentamente i nostri corpi nell'acqua.
«O-oh», mormorò a pochi centimetri dalla mia bocca.
«Ora ti riscalderò così tanto da non avvertire più il freddo...», le aprii leggermente le gambe e scesi a baciarle il collo. Lei poggiò la schiena su uno degli scogli in mezzo a noi e si mise in punta di piedi sulla sabbia. Posizionò le mani tra i miei capelli e si morse il labbro.
«Dimostramelo...», mi disse a corto di fiato. Sorrisi sulla sua pelle, mentre strusciai la lingua sulla sua clavicola, sul suo petto, per poi allargare la coppa del reggiseno sinistro. Soffiai sopra al capezzolo turgido, lo pizzicai con le dita facendola sobbalzare e poi lo presi tra i denti. Con l'altra mano tracciai tutto il perimetro del suo bacino, scesi lungo l'ombelico e infilai la mano nel perizoma striminzito.
Lei mi attaccò al suo corpo e mi tirò i capelli, soffocando dei gemiti sensuali.
«Baciami», mi sollevò la testa e non me lo feci ripetere due volte.
Mi avventai sulla sua bocca e intrecciai la sua lingua alla mia; nel frattempo le mie dita vagarono nella sua fica calda e bagnata dei suoi umori. Le allargai le grandi labbra, ci passai due dita per poi inserirle all'interno.
«D-Derek», mi ansimò nelle orecchio mentre cominciai a muovere esperte le dita. Sentivo la sua intimità che si dilatava e si restringeva ad ogni spinta.
Il mio cazzo voleva esplodere dentro di lei e non ci avrei messo molto prima di prendermela.
«Vuoi essere scopata?» Con la mano libera le alzai entrambe le braccia sulla parte ruvida dello scoglio, bloccandole i polsi e con l'altra uscii e le accarezzai il clitoride gonfio.
Annuii senza indugiare neanche per un attimo.
«Lo voglio sentire.»
«Voglio essere scopata da te.» Rispose con non-calanche.
Mi leccai con la punta della lingua la bocca.
«Ripetilo», mormorai eccitato per poi riprenderla in braccio. Uscii lentamente da quell'oasi di mare e mi nascosi dietro uno scoglio.
«Scopami Derek Moore», disse lievemente. La distesi sulla sabbia e mi resi conto di quanto fosse perfetta.
Lei divaricò le gambe e si sfilò gli slip zuppi d'acqua. Rimase solo col reggiseno che bagnato lasciò intravedere i suoi seni.
Era una tela da riempire, un disegno da dipingere, un quadro da custodire gelosamente e tener lontano dagli occhi più indiscreti.
Mi chinai su di lei, insinuandomi in mezzo alle sue gambe. Mi ressi con i gomiti all'altezza delle sue spalle, mentre i miei bicipiti guizzarono da sotto il maglione che ormai era diventato aderente al mio petto. Per poco non mostrò i segni e le mie ferite, ma lei sembrava non esserne particolarmente attratta. Continuò a guardarmi negli occhi, desiderosa di essere presa da me. Strusciai l'erezione in mezzo alle sue gambe, donandole dei leggeri gemiti.
Lei si aggrappò al mio bacino, azzannando i miei glutei con le unghie e attorcigliando le gambe attorno al mio bacino.
«Ripetilo ancora una volta», le sussurrai all'orecchio mentre la punta del mio cazzo era quasi alla sua entrata.
Si avvicinò a sua volta al mio lobo e mi dichiarò esattamente quello che volevo sentire.
«Scopami fino all'alba...»
Ci guardammo ininterrottamente nelle pupille degli occhi e un mix di emozioni si fece strada nel mio stomaco.
Per quanto cercassi di reprimere le mie emozioni, difficilmente riuscii a contenerle. Dovevo essere più forte di loro, altrimenti avrei fatto un torto che difficilmente mi avrebbero perdonato.
Tu non ci tradirai.
Sì, lo so.
Affondai dentro di lei con un colpo secco. Irrigidii il bacino e mi accompagnò nei movimenti, cercò di starmi al passo con scarsi risultati.
Ero molto più veloce, scaltro e grande di lei. Avrebbe perso in partenza ma anche vinto senza rendersene conto.
I suoi occhi sbrilluccicavano di lussuria e di un sentimento talmente proibito tanto da farmi vibrare l'anima.
Cazzo, quanto mi sentivo vivo insieme a lei.
«Sei pericolosa», dissi tra un gemito e l'altro.
Sorrise quasi furbamente, godendo delle mie spinte.
«Pensavo fossi amante del pericolo», sussurrò e si morse il labbro. Velocemente cambiai la situazione, voltandomi di schiena sulla sabbia e trasportandola su di me.
«Se del pericolo ne ho il controllo, Piccolo Fiore, sì.»
Lei si sollevò lentamente e si slacciò il reggiseno, mostrando il suo corpo completamente nudo.
«Confermi di non avere il controllo quando sei con me?» Mi domandò con una provocazione bella e buona.
La sollevai col bacino, spingendo il mio pene dentro di lei, e contemporaneamente le strozzai un gemito.
Agguantai con una mano la sua gola, stringendola fortemente. Si fece rossa in viso, toccando la mia mano per allentare la presa.
«Zitta e cavalcami», le ordinai e così in preda ad un estrema eccitazione, ripresi a scoparla.
Tenendo ben salda la mano alla sua gola e avvolgendo l'altra attorno alla sua coscia, ripresi a spingere con forza.
Gememmo all'unisono mentre i nostri corpi si amalgamarono a vicenda.
In realtà aveva centrato il punto.
Con lei perdevo il controllo di me stesso.
Sentii le ferite bruciare a contatto con la sabbia che si mescolò con la voglia di distruggerla.
Cambiai di nuovo posizione. Le feci poggiare la schiena allo scoglio accanto a noi, mi misi seduto e lei si posizionò su di me a cavalcioni.
«Ora appurerai che il piacere e il dolore sono un'unica esistenza», le sussurrai e cominciai a spingere ed affondare in lei aggressivamente. Lei saltava sulle mie gambe e contemporaneamente la sua schiena strusciò sulla parte ruvida dello scoglio.
Le afferrai nuovamente il collo e la baciai con avidità, mentre i colpi divennero sempre più intensi. Lei soffocava i gemiti nella mia bocca, costringendomi a distaccarmi da lei. Le goccioline di sudore tinsero le nostre fronti e i nostri corpi si davano piacere a vicenda.
«Cazzo, ho la schiena in fiamme», blaterò ma la sua voce era tutt'altro che sofferente.
Era la voce del peccato, la voce di chi sapeva che da lì a poco sarebbe esplosa.
«Il tuo corpo è in fiamme per me Fiorellino», le dissi, e con forza, la attaccai a me e le infilai la lingua in bocca.
Guazzavo tra i suoi umori e il mio cazzo veniva risucchiato continuamente dalla sua fica stretta.
«Il piacere e il dolore sono due emozioni talmente intense che non si possono controllare. Ma io nel corso della vita ho imparato a farlo.» Dichiarai allentando i colpi e leccandole una guancia. Lei rimase immobile, col corpo contratto e le guance che stavano per andarle a fuoco.
La mia mano passò ad attorcigliare i suoi capelli lunghi, stringendoli in un pugno ben saldo.
«E vuoi sapere esattamente il motivo per il quale sei pericolosa?»
«Sono... Sono curiosa», mormorò ma ormai era a corto di fiato e l'unica forza che le era rimasta ero proprio io.
Ormai eravamo in spiaggia da ore e avremmo da lì a poco visto le prime luci del mattino.
«Con te perdo esattamente il controllo di queste emozioni. E porca puttana non lo riesco a sopportare.»
Il mio pene si contrasse dentro di lei, tanto da farla sobbalzare.
«D-Derek...», balbettò. «T-ti prego non fermarti più...» La sua voce estasiata e rotta dal piacere e dalla goduria, alimentarono le mie fantasie.
Ripresi a baciarla con foga, mentre i nostri corpi si unirono e non si fermarono.
Dopo qualche minuto lei allentò il ritmo e strinse le gambe a me.
«Se il tuo corpo è in fiamme, allora, brucia per me...», le sussurrai con voce roca. «Brucia per me, perché io darei fuoco a me stesso pur di alimentare la tua fiamma.» Dichiarai, consapevole delle parole forti che le avessi detto, ma, con lei mi usciva spontaneo.
Le diedi un altro bacio, mentre lei si abbandonò al piacere più intenso, donandomi un orgasmo fuori dal normale.
Contrassi i bicipiti e tricipiti, sentii il sangue pompare nelle vene e venni anch'io dentro di lei. Lei poggiò la testa sotto l'incavo del mio collo, mentre il mio maglione di tessuto leggero le pizzicò la guancia.
Le prime luci del mattino illuminarono i nostri corpi e il sole pian piano fu pronto per albeggiare nel cielo.
Poggiai la testa sulla sua, le accarezzai lentamente la schiena e pensai a quanto fottutamente mi piaceva quel Piccolo Fiore.
Respirai lentamente, annusando i suoi capelli setosi misti al profumo del mare.
La salsedine rivestì i nostri corpi e mi concessi il relax di quel momento.
Non riuscivo più a fare a meno di lei.
Questa era la verità.
Un'amara dichiarazione che non le avrei mai fatto.
Un altro segreto che avrei custodito.
«Le luci del primo mattino», disse distaccandosi con la testa da me.
«Ti ho scopata fino all'alba... Ho fatto esattamente ciò che mi hai chiesto.» Le spostai una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Aveva il trucco leggermente sbavato, ma era comunque di una bellezza disarmante.
La mia Piccola Margherita.
«E ciò che io volevo.» Aggiunsi poi.
Lei sospirò, donandomi un lieve sorriso. Le sue lentiggini vennero nascoste dal suo rossore. Non smetteva mai di imbarazzarsi con me e questo era uno degli aspetti di lei che più mandava il mio cervello a puttane.
«Dovremmo andare...», affermò con incertezza.
Annuii. «Ti riaccompagno a casa.»




Victoria guardava fuori dal finestrino, con la testa poggiata al vetro come se la sua mente stesse vagando in posti lontani. Avrei tanto voluto esplorarli con lei.
Sentivo ancora il suo fiato sul collo e il suo odore addosso.
Arrivato a casa mi sarei fiondato sotto la doccia e forse sarei uscito dopo qualche ora.
Avevo bisogno di pensare.
Avevo bisogno di prendermi i miei spazi, perché avevo completamente la testa a fanculo.
Mi domandavo perché il mio cuore perdeva un battito ogni qualvolta che la scopassi, perché difficilmente riuscivo a dimenticarmi del suo profumo... Perché ne volevo sempre più?
Cosa cazzo mi stava facendo?
«Come va con la schiena, Bocciolo?»
Fui così preso dalle mie fottute domande che non le avevo neanche chiesto come stesse.
«Non fa così male», disse spostando lo sguardo sul mio. «Fa più male sapere che...», si interruppe e sospirò.
«Che?»
«Che per te io sia solo una delle tante.»
Quanto vorrei dirti che non è così.

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