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Derek

"Muovo le pedine sulla scacchiera della vita. Seguo le mie regole. Faccio le mie mosse. E vinco, vinco sempre. Vinco per il potere, vinco per il successo. Mi piace giocare col fuoco, anche se rischio di scottarmi.
Ma infondo, cos'è la vita senza il pericolo?"
Derek Moore


12 anni prima...

«Derek! Preparati, ti porto in un bel posto!» La voce squittente e armoniosa di mia mamma riecheggiò dal piano di sotto sino alla mia stanza.
Ero chiuso a chiave nel mio bagno ed ero posizionato davanti allo specchio con le mani poggiate al lavandino. «Sto arrivando, mamma», gridai dall'altra parte ma rimasi immobile a fissarmi. Abbassai i miei occhi sul lavandino e trovai il coraggio di afferrare quel pezzo di vetro che tanto mi stava fissando.
Mi fissava e bramava da giorni, in realtà.
Con le lacrime agli occhi lo portai sul polso sinistro con la mano destra tremante. Trascinai la lama lungo la mia pelle e mi inginocchiai per il troppo dolore.
Il sangue vivo e intenso iniziò a uscire, macchiando il pavimento. Feci cadere il pezzetto di vetro al suolo e mi ressi il polso grondante di sangue.
Il bruciore e il dolore mi ricordava che fossi ancora vivo.
Uscii dal bagno con un asciugamano attorno alla vita e aprii immediatamente un cassetto posto al di sotto della mia scrivania.

Afferrai due polsini da inserire rispettivamente al polso destro e al polso sinistro. Poi mi vestii in fretta e tentai di assumere un aspetto decente.
«Derek», mia madre arrivò bussando alla mia porta.
«Ancora un attimo», risposi e mi disinfettai il taglio sul polso.
Mi bruciava da morire, mi sentivo l'aria mancare e il fiato corto. Volevo urlare ma non potevo. Strinsi i denti il più possibile e dopo che asciugai tutto, indossai quei polsini neri che si intonavano con la mia t-shirt.
Dopo aprii finalmente la porta a mia madre, la quale con la mano destra reggeva un cestino di paglia e dall'altra sventolava le chiavi dell'auto.
«Dove andiamo?» La guardai.
«Al mare! A guardare il cielo al tramonto. Ti va?»
Il cielo, il tramonto, il mare... Guardare le tre bellezze più belle dell'universo con mia madre era tutto ciò che mi aiutava ad andare avanti e a non uccidermi.
Non era ancora il momento per porre fine alla mia vita.


Avrei disegnato per ore la faccia imperterrita ed esterrefatta di Victoria Brown. Avrei ritratto con cura ogni piccolo dettaglio: dagli occhi verdi come le ninfee di Monet, alle lentiggini che quasi scomparivano mentre tappezzavano il suo naso e le sue guance arrossate, la sua bocca triturata dai denti e il sudore all'attaccatura dei capelli.
Sarebbe stato uno dei ritratti migliori di tutta la mia carriera.
«Gradirei che si posizionasse verso la luce del sole.»
Il Bocciolo sapeva il fatto suo, ma d'altro canto le avevo commissionato un compito molto difficile. Cercava in tutti i modi di tenermi testa e fare la forte, e non nascondo che mi piaceva. Mi piaceva il suo modo di fronteggiarmi e farmi capire che per lei non avevo nessun diritto di trattarla così.
Sì, per lei.
Per me, invece, niente di tutto ciò che avevo fatto sino a quel momento era sbagliato. Lo consideravo un antipasto da gustare piano piano, e qualora lei mi avesse dato fastidio o avrebbe intralciato i miei programmi, l'avrei consumata con voracità, fino all'ultima briciola.
«Sei pronta, Bocciolo?» Le domandai, mentre avvertivo i raggi del sole così caldi e rilassanti sul mio viso. Lei mi guardò con occhi fulminei, per poi afferrare la matita e iniziare presumibilmente a fare dei piccoli schizzi.
La mano tremante si muoveva con eleganza sulla tela e i suoi occhi erano attenti sulla mia immagine.
Dovetti ammettere a me stesso che essere guardato così meticolosamente da quel Piccolo Fiore mi piaceva. Mi piaceva osservare lei e i suoi occhietti balzare da una direzione all'altra mentre rifletteva se guardarmi per più di cinque secondi oppure far finta che io non la stessi fissando come se volessi saltarle addosso.
Victoria Brown decise di continuare il suo percorso e molto probabilmente si sarebbe dovuta adattare al mio carattere difficile e complesso, ma dubitai fortemente della permanenza di quella scelta.
Non ero facile, tanto meno mi piaceva esserlo.
E quel Fiore doveva trovare un altro posto in cui crescere: ciò che potevo darle era una terra infertile e condizioni estremamente difficili per poter sbocciare.
Victoria aveva bisogno di un Tutor senza demoni, tenebre e oscurità piantati addosso.
Sentii il mio iPhone con qualche crepa sul vetro, reduce della sera precedente, suonare insistentemente nel taschino inferiore del mio pantalone. Feci segno a Victoria di interrompere e sentii il mio cuore stringersi in una morsa appena lessi chi mi stesse chiamando.
«Pronto?» Mi girai dal lato opposto di Victoria, dandole le spalle.
«Salve. Il Sig. Derek Moore?» Iniziai a camminare da una parte all'altra per l'agitazione, continuando a ignorare la figura di Victoria che nel frattempo attendeva che terminassi la telefonata.
«Sì, sono io. Cosa è successo?»
«Deve venire qui immediatamente, ha di nuovo le sue crisi e chiede di lei.» Deglutii, cercando di mandare via ogni tentativo di pianto e trovando un minimo di forza per rispondere.
«Arrivo subito.» Riattaccai.
Infilai il cellulare nella tasca del pantalone, feci un sospiro ma non mi voltai ancora nella direzione di lei.
Dovevo prima mettere a freno la mia angoscia, tristezza e delle lacrime che presumibilmente stavano quasi per tappezzarmi il viso.
«Si sente bene?» La sua voce candida e innocente risuonò nella stanza che d'improvviso fu solo un cumulo di tensione.
Mi presi qualche secondo e poi mi schiarii la voce. «Magnificamente, ma per oggi dobbiamo interrompere. Ho avuto un problema con un'acquirente per la vendita di un quadro e devo assolutamente risolvere.» Fu così che riuscii a girarmi, quando fui in grado di gestire le mie fottute emozioni. «Avevo preparato questi per te.» Aggirai la scrivania e uscii da un cassetto riposto a lato alcuni fogli protocollati e spillati. «Queste sono alcune nozioni aziendali che devi conoscere. Ti serviranno per quando ti interfaccerai nel mondo del lavoro, e, per conoscere ogni singolo movimento della nostra azienda. Studialo con cura», glieli porsi ma la mia mente era proiettata completamente da un'altra parte.
«Grazie.» Li portò al petto stringendoli saldamente fra le mani.
«Ci vediamo domani in azienda. Alle 8, puntuale.»
Lei annuì. «E studia, potrei interrogarti.» Le ordinai indicando con lo sguardo i fogli che precedentemente le avevo consegnato.
«Non mancherò, Moore.»


Il contachilometri della mia auto stava per impazzire. Mi recai in una delle cliniche private di Long Island City più rinomate, ricche e lussuose di tutta New York. Sfrecciai in una maniera esagerata tanto da arrivare dall'altra parte di Brooklyn in quindici minuti esatti.
Non potevo perdere altro tempo.
Parcheggiai immediatamente la mia auto nell'immenso giardino della struttura e mi avvicinai ad una delle guardie poste d'innanzi alla porta.
«Sono Derek Moore.» Mi fecero entrare senza alcun indugio e mi diressi verso la reception dove ad aspettarmi c'era l'infermiera che seguiva il mio caso da anni, ormai.
Si chiamava Nathalie ed era una signora sulla cinquantina d'anni, bassina, molto minuta, ma brava, competente, umile e soprattutto umana.
«Derek, vieni con me.» Annuii e camminammo velocemente lungo quei corridoi infiniti. Il cuore mi pulsava a un ritmo indefinito, come se stesse fibrillando, la mia bocca era asciutta per l'ansia e l'affanno si fece sentire. Ma non ne volli sapere né di bere un po' d'acqua, né di fermarmi, né di prendere aria.
Sarei tornato in condizioni fisiologiche solamente quando l'avrei vista e calmata.
Finalmente arrivammo alla camera numero 512, situata al terzo piano della clinica. «Le abbiamo raddoppiato il dosaggio dei miorilassanti, calmanti e sonniferi, ma nulla l'ha fermata. Non ha dormito tutta la notte e chiedeva di te, in continuazione.» Aprii la porta e comparve la figura di quella donna accovacciata sul pavimento, che fissava imperterrita il muro d'innanzi a lei. Si dondolava, come se stesse aspettando qualcosa o qualcuno, mentre pronunciava parola senza senso.
Strinsi i pugni, cercando di mantenere quanta più calma possibile. Nathalie poggiò una mano sulla mia spalla e me l'accarezzò lentamente. «Stamattina l'abbiamo trovata mentre sbatteva insistentemente la testa contro il muro.» Scrollai le spalle e mi avvicinai a lei, cauto. «Si è procurata due grossi ematomi sulla fronte che stiamo prontamente curando, ma, le sue condizioni sono altamente instabili e il medico ha dato disposizione di sedarla. Potrebbe farsi del male. E poi, sul suo comodino ci sono le pillole che non ha voluto prendere, ma per la sua salute mentale è importante che le ingerisca. Provaci tu, Derek.» Feci un sospiro rassegnato e rimasi in silenzio per qualche secondo.
«Lasciatemi solo con lei.» Sbottai e sentii la porta richiudersi alle mie spalle. Poggiai una mano sulla sua spalla e lei sussultò.
«Non voglio i vostri stupidi farmaci...» Sussurrò accovacciandosi sempre di più. «Andate via... Andate via!!» Urlò disperata, iniziandosi ad agitare come una dannata.
«Sssh... Sono io, Derek» Le dissi in un mormorio. «Sono qui.» Lei si girò di scatto e con gli occhi pieni di lacrime, mi abbracciò. Mi abbracciò forte come se fossi l'unica ancora a cui potesse aggrapparsi. Io la strinsi forte a me, come se fosse una bambina da dover accudire.
Il suo odore era ancora il suo odore,
Le sue mani erano ancora le sue mani,
I suoi occhi stanchi erano ancora i suoi occhi.

«Vuoi la torta al cioccolato fondente con la granella di nocciole?» Mi domandò, poggiando la testa sotto l'incavo del mio collo. «Oggi non è il tuo compleanno? Te l'ho preparata con tanta cura, ed è proprio lì», indicò col suo indice un angolo vuoto della camera. «È lì, proprio in quel frigorifero», disse tirandosi su col naso.
«La mangerò più tardi, okay?» Mi sedetti sul pavimento e appoggiai la schiena al muro, tenendola stretta tra le braccia. «Però devi promettermi di fare la brava, hai capito?»
«Io non ho fatto niente...» Poggiai il mento sul suo capo e annusai il profumo dei suoi capelli. «Sono loro che mi dicono che devo riposare, riposare, riposare, ma io non voglio più dormire... Voglio andare al mare e guardare il tramonto come facevamo un tempo.»

The Silence of a PromiseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora