30. Cicatrici

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Il bianco della parete mi faceva tornare in mente gli angeli. Da piccola prima di andare al letto maman mi affidava al mio angelo custode; mi faceva recitare le preghiere. Io non credo in certe cose. Nessun angelo custode, ho dovuto prendere forza e rialzarmi da sola: con il sangue, i graffi, i lividi, pur senza voglia di vivere.

Nessuno ha mai ascoltato le mie urla.

Perché ci ripensai proprio lì? Oh, sicuro. C'era il mio angelo che mi chiamava.

"Louise, porca puttana, apri". Bussava e strepitava oltre la porta da dieci minuti.

"Non mi va" sghignazzai, alla pari di una bambina all'asilo.

"Inizio ad incazzarmi"

"Non ti ho chiesto di venire. Cioè, non in questo senso. Nell'altro senso te l'ho chiesto come un disco rotto..."

"Louise, questo posto non mi piace e sono dannatamente preoccupato. Sono qui per te"

"Mhmm". Dischiusi la porta, con nel palmo della mano quattro pasticche.

"Finalmente. Che stai facendo? Questo bagno fa schifo"

Entrò e chiuse la porta alle sue spalle, io mi sedetti di nuovo per terra. Non ero in me. Il trucco colato sulle guance, il rossetto sbavato, occhi come panda, puntati sulle pasticche. Sono così belle. Ne vorrei tanto un'altra. Smetterei di soffrire.

"Potrebbe venirti qualche malattia per quanto fa schifo questo bagno"

"Non ha importanza. Me lo merito"

Sospirò, e si affiancò a me. "Perché mi hai chiamato se non vuoi farti aiutare?"

"Non lo so. Volevo sentirti. Non ti ho chiesto di aiutarmi"

"Mi credi così indifferente? Sei fuori controllo. Che persona sarei stata ad ignorarti?"

"Come tutti gli altri. E poi non faccio che infastidirti da quando ci conosciamo. Che ti importa?"

"Mi importa", continuò, togliendomi i capelli davanti alla faccia. "Dammi le pasticche"

"Non voglio"

"Sono qui con te. A cosa ti servono?"

"Jared..."

"Sono qui", reiterò. "Ti aiuto io, non ti servono"

"Prometti?"

"Prometto". Gliele passai, lui le buttò subito nel water.

Tentò di sollevarmi, ma avevo le gambe di gelatina; mi prese di peso e mi caricò in spalla, dicendo di tenermi stretta. Avvolsi le braccia al suo collo, e poggiai la fronte sulla schiena. Fra corpi sudati, puzza di fumo, confusione, odore di alcol, non avevo ancora una visione limpida: la testa vorticava, il corpo preso da spasmi continui. I sensi mi stavano abbandonando.

"Jared... n-non mi sento..."

"Sono quasi all'uscita". A stento tenni saldi i sensi fino all'aria aperta. Jared mi posò a quello che pareva essere il tronco di un albero.

"Ci sei?"

Dai miei occhi sgorgarono altre lacrime ribelli. Jared si lasciò andare sull'erba. Passarono dei secondi interminabili di silenzio, in cui ignorai il suo sguardo per la vergogna. Nella tasca avevo un biglietto da cento. Glielo mostrai.

"Dimmi che non è ciò che penso".

Mi scappò un singhiozzo, chiaro segno che aveva fatto centro.

Rilasciò un lungo sospiro, scuotendo la testa. "Perché l'hai fatto?"

Un battito d'ali su un mare di cicatrici🍃Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora