2. Tu, che sei lo specchio di me

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Cosa farebbe una persona perbene con cento euro rubati ad un tizio sbronzo?

La risposta è semplice: una persona perbene un ruba. Soprattutto la bustina di polvere bianca, che aveva l'aria di essere cocaina, ma non ero l'esperta. Con cento euro, a diciannove anni, avrei potuto comprare un sacco di meraviglie, tra cui molti pacchi di tabacco, vodka, erba, fumo...

Biglietti per un paradiso privo di problemi, liberarmi per qualche ora. L'avrei fatto, se non fosse che ero talmente al verde tenerli da parte, per ogni evenienza. 

"Louise, mi stai ascoltando?"

"Certo che no. Mi fai venire il mal di testa"

Mia zia mi lanciò un'occhiata, non severa come voleva apparire, staccando per un attimo gli occhi dalla strada. Guidava a bassa velocità, una di quelle snervanti che generano lunga fila dietro. Non perché non sapesse guidare: per me.

"Che pazienza... dicevo, sai che non puoi permetterti di fare tardi nella tua condizione e anche..." sospirò, "soprattutto... in questa famiglia... Alfonso..."

Alfonso è mio zio e, in poche parole, un alcolista. Ho già parlato delle meraviglie, ma come sappiamo tutti: se non le tieni a bada, le meraviglie ti rendono schiavo. Mio zio era schiavo, da quando aveva perso il lavoro ed aveva iniziato a bere, era diventato tutt'altra persona.

Da sobrio era ragionevole, lo zio che da bambina adoravo. Quando era ubriaco perdeva ogni raziocinio. Non era di indole violenta, ma l'ho già detto che l'alcol cambia le persone.

Se non preso nel modo giusto, dopo una bottiglia di vino poteva diventare pericoloso. Una volta mi aveva rotto il naso. Il mio setto nasale era lievemente deviato: nulla di visibile, per fortuna. Per puro errore, mi era capitato di rompere il vaso all'ingresso; ero con la testa altrove, e l'avevo soltanto urtato, ma era caduto rovinosamente. Si era arrabbiato talmente tanto da piazzarmi un pugno in pieno viso.

Il giorno seguente, smaltita la sbornia, mi aveva chiesto scusa, aveva persino pianto; ma non avevo nessuna compassione, nessun perdono. Era un uomo patetico, finito alcolizzato perché incapace di far fronte di suoi problemi, capace di picchiare la nipote che da sobrio diceva tanto di adorare.

L'avrebbe rifatto senza problemi, nella stessa situazione, perché nonostante tutto non voleva smettere di bere. Neanche per me e per sua moglie.

"Non mi fa paura, piuttosto mi fa vomitare", ribattei. "E poi, quale famiglia?"

"Non ricominciare. Siamo la tua famiglia ora"

Finsi una risata per farla infuriare: "Tu e zio siete un disastro. Neanche mi pagate i libri di scuola. Andiamo. Sta andando in rovina. Vuoi veramente parlare di famiglia?"

"Abbiamo problemi economici, tu hai dei soldi lasciati dai tuoi genitori. Perché sei così preoccupata di spenderli? In più, c'è Carlotta che ti paga per il fine settimana al locale, stai facendo la tua parte in casa", aggiunse. "Sarebbero fieri di questo, ma cosa avrebbero detto del tuo comportamento da bambina ribelle?"

"Peccato che non lo sapremo mai" sputai, sentendo le collane soffocarmi. Scesi. Avevo chiari problemi con i mezzi di trasporto, Lucia lo sapeva benissimo e strepitò: "Louise! Scendi..." piano, come un mantra, in risposta sbattei forte.

Di solito andavo a piedi, salvo casi eccezionali come i libri che si divertivano a giocare a nascondino.

La mia scuola non aveva un bel niente di diverso dalle altre scuole, fatta eccezione per gli alberi attorno, che facevano da recinto, colorati in base alla stagione. In autunno erano pieni di foglie secche che cadevano, cadevano, e venivano trascinate via dal vento. Delle volte mi soffermavo a chiedermi dove andassero a finire. Un giorno in particolare mentre ero in mensa e fuori faceva l'inferno, due erano posate sul piano esterno delle finestre. Le avevo studiate: solamente posate, eppure il forte vento e l'acqua insieme non riuscivano a smuoverle, tanto erano determinate.

Un battito d'ali su un mare di cicatrici🍃Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora