11. Mi fai schifo

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"Sei troppo sicura di te. Il tuo problema è che pensi di essere la migliore, volevo dimostrarti che non è vero" palesò, passando una mano sul ciuffo.

"Vuoi distruggere la mia esagerata autostima?", ridacchiai. "Ci vorrà un pochino... ma sì, sei bravo, Jay"

Si bloccò, sguardo perso nel vuoto, nel marroncino del tappeto soffice. "Puoi smettere di chiamarmi Jay? Lo faceva una persona importante per me, se mi chiami così anche tu mi sembra di sporcarne il ricordo"

"Sporcare? Perfino? Ti faccio davvero tanto schifo? Cazzo, cazzo, cazzo..." alzai un sopracciglio, "Jared, devi proprio spiegarmi che cosa ho fatto per meritarmelo..."

Ero convinta che avrebbe ricacciato la storia del fastidio e bla bla bla; invece, esitò. Stavolta voleva pugnalarmi, darmi il colpo di grazia.

Assottigliò il tono fino a ridurlo a un sibilo: "Mi fa schifo quello che cerchi di mostrare di te. Una puttana che dà a tutti la possibilità di possederla, qualcuno che si avvicina agli altri al solo scopo di avere rapporti fisici, perché questo ti fa stare bene. Tu non ti dai nessun valore, Louise. Se non sei tu a darti un valore, come posso dartelo io? Come puoi non farmi schifo? Sei squallida, non trovo niente di positivo in te. Non ho alcun interesse sincero, continuo a vederti soltanto per l'accendino, e lo sai benissimo".

Mi fischiavano le orecchie. Sentivo il vomito salirmi in gola; vomitare è sempre stato il modo in cui il mio corpo cerca di dirmi che c'è qualcosa che non va. Vomitavo sui mezzi di trasporto, per i ricordi traumatici; vomitavo di notte, svegliandomi di soprassalto per gli incubi; quando mi faceva male il petto, quando la maschera cedeva, quando il mio autoinganno veniva abbattuto, quando sentivo il senso di colpa, il disgusto verso me stessa.

Perché tu sei viva? Non ti fai schifo? Dovevi morire con loro.

Avrei tanto voluto morire con loro. Vorrei tanto essere morta. Ogni respiro è come una lama che si conficca sul cuore. Non sopporto di respirare. Mi faccio schifo perché sono debole e non ho il coraggio di farla finita.

"Hai ragione". Un sorriso amaro. "Non sono comunque affari tuoi. Devo andare in bagno, magari ci vediamo un'altra volta", faticai a dire, pur mantenendo una calma imperturbabile. Mi alzai come una molla, presi di fretta chitarra e custodia e corsi giù per le scale.

Non appena voltai l'angolo da casa di Gregoria, smisi di trattenere i conati e mi liberai sulle aiuole dei loro vicini.

***

Il mio letto si macchiò di gocce cremisi. Avevo passato la notte senza dormire. Non che non avessi sonno, ma perché conoscevo il potere del mio subconscio. Le parole di Jared avrebbero aggravato i miei incubi, facendoli diventare insostenibili, una tortura.

Meglio non dormire, piuttosto che respirare quelle visioni mostruose.

Alla seconda notte insonne, la mia testa cedette. Avevo sonno, sentivo di poter svenire da un momento all'altro. Non posso dormire, mi spaventa. Bevvi una Red Bull dopo l'altra, adoperai perfino la cocaina rubata al tizio sconosciuto tempo fa: facevo di rado uso di droghe pesanti, sapevo quanto potessero essere distruttive, ora ne avevo un assoluto bisogno. Nessuno può capire quanto io abbia il terrore di annegare, di ritrovarmi in mare aperto a boccheggiare, minacciata da esseri mostruosi sott'acqua che cercando di acchiapparmi per portarmi sul fondale. Soffoco.

Il sonno era uno dei miei nemici prediletti. Un momento di vulnerabilità, in cui non potevo combattere razionalmente contro i miei demoni, quindi prendevano il sopravvento.

In seguito all'incidente, il trauma mi portò ad avere molte complicazioni: incubi, vomito, tremori, difficoltà a mangiare, a parlare, allucinazioni, immagini ossessive del momento dell'impatto, fino a sfociare in crisi isteriche.

Passavo tre o quattro giorni a settimana con dottori. Ricordo la diagnosi, quando presero Lucia e Alfonso da parte; bisbigliavano invano per timore che li ascoltassi: "Disturbo da stress post-traumatico, è naturale, deve essere seguita, così piccola se non riceve aiuto avrà serie e pericolose ripercussioni da adulta".

Il dottore non aveva torto. Avevo un equilibrio piuttosto precario, sul filo del rasoio. Ero bilanciata, ma bastava un soffio di vento, una frase buttata a caso, una qualsiasi sciocchezza che stimolasse ricordi per farmi crollare.

Lo sapevo, e sapevo come proteggermi. Le parole di Jared stavano per stimolare una nuova crisi, che sarebbe partita dagli incubi notturni: scene orribili in loop, così tremende da spingermi alla pazzia.

Non dormirò. Tuttavia, le crisi più gravi hanno altre ripercussioni aggiuntive; non dormendo, rischiavo la presenza di persone intorno a me.

Mi chiusi in camera, pregando che zia non lo scoprisse. Non dormirò, non dormirò.

"Dormire è importante, prova a contare le stelle". A volte Lucas, a volte la mamma, a volte il papà, a volte tutti insieme. "Te lo ricordi quando eravamo piccoli e per dormire facevamo a gara a chi riusciva a contare tutte le stelle? Tu perdevi sempre!"

Sospirai, rannicchiata sulla sedia. Non esiste, devo ignorarlo. Come facevo ad ignorarlo? "Bien sur. Certo che me lo ricordo. Lucas adesso vattene, ti prego. Ti vedo soltanto perché sono sveglia da tre giorni, non dormire fa brutti scherzi, cazzo".

Piegai la faccia sulla scrivania e mandai su un'altra striscia. Piano piano perse forma. Lo vedevo ancora bambino, al giorno del nostro compleanno, prima dell'incidente. I boccoli d'oro, il viso fanciullesco: andava bene così perché, dormendo, l'avrei visto ricoperto di sangue, il viso prima tanto allegro tumefatto dall'impatto; oppure grigiastro, dentro una bara.

Inserì nello stereo Death Magnetic dei Metallica. Chiusi le finestre; avrei preso una lametta, ma avevo già l'avambraccio ricoperto di ferite.

"Non ce la faccio più", mormorai, a bassa voce. "Sono distrutta, cado pezzo dopo pezzo. Non so che fare, Lucas. Uccidersi è più difficile di quanto si pensi..."

"Ti senti sola, Lou?"

"Molto sola. Hai sentito cosa mi ha detto Jared? Ha fatto un cazzo di male, proprio qui". Mi tastai il petto. "Di solito non mi sfiorano, lo sai, però l'altro giorno è stato orribile, non ne capisco la ragione. Era gelido, voleva calpestarmi. Quello che dice è vero, quindi non mi importa, ma ha toccato un nervo scoperto. Sono anni che dentro di me sento un incredibile vuoto..."

Non rispose, era andato via. Bene. Dovevo trovarmi qualcosa da fare.

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NOTA:

Come potete notare, Jared e Louise sempre molto carini e rispettosi fra loro... lol.

A vederli così sembrano un caso disperato ahahaha. Ma non finisce qui:) Il prossimo capitolo vi stupirà.😇😇😇

Un battito d'ali su un mare di cicatrici🍃Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora