39. Innamorarsi

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Mi trascinai. Pensai di dargli buca, ma aggirare il problema non sarebbe stato funzionale.

L'inverno a Sole era rigido: la fascia oraria fra l'una e le quattro era l'ideale per sperare in qualche raggio a squarciare le nuvole. I bambini del quartiere spendevano quelle ore a giocare, addobbati con sciarpe, cappelli e cappotti: qualcuno tra loro mi salutò.

Mi sedetti all'altalena, ma il nervoso mi impediva di star seduta. Dunque poggiai un fianco al palo in legno delle altalene: una base d'appoggio mi serviva a sentirmi salda, a sorreggermi nella confusione che ora mi vorticava nella mente.

Sfrigolavo l'accendino a ripetizione, fissavo la fiamma accendersi e spegnersi. Pour ma belle, Yuri. Su, giù, su, giù. Cosa devo dire, come devo dirlo?

Giunse in ritardo, quando restavano giusto due bambinetti a godere degli ultimi colori del tramonto. Passo spedito, una certezza, nessun timore. Quasi allegria.

Ti ricordi quando uscire con me era una forzatura? Quando di rado mi guardavi per il disgusto?

Dov'è finito quel Jared? E' scomparso? Non è mai esistito?

Non era più cupo. Anzi. Ci avevo messo settimane per conquistare un suo sorriso; e in brevissimo, ora, mi sorrideva d'istinto. Non si era aperto; si era aperto con me. Non era più allegro, era più allegro con me. Non si era ambientato: stava bene con me. Non aveva voglia di uscire o vedere amici; voleva vedere me. Correva a chiedermi aiuto, desiderava condividere cose che lo riguardavano, con me.

Me.

La famiglia, la nonna, la sua storia. Lui usciva con altri compagni di scuola: forse amici di superficie, ma perché portare proprio me da sua nonna? E Rebecca?

Passo spedito che rallentò visibilmente a pochi metri: non appena, in mezzo secondo, realizzò cosa stavo sfrigolando. L'accendino che mi aveva regalato Yuri anni prima. L'accendino "di garanzia" per impedire che non gli restituissi il clipper.

Il mio volto era eloquente: fissavo la fiamma, braccia conserte, lui strinse i pugni. La valvola di sfogo. Non stringeva per rabbia, ma per puro nervosismo.

Sperai tentasse almeno di dire qualcosa, anche una balla messa in aria, ma sospirò.

"Marco! Si fa buio! Rientra!"

"Cinque minuti! Devo fare gol!"

Momenti e momenti taciti fra noi, il sottofondo ci salvava dal silenzio tombale. Smisi di sfrigolare quando si fermò a qualche metro, all'altro palo, le due altalene ci dividevano. Sussurrai.

"Non innamorarti di me, Jared".

Voltò il capo e si passò una mano fra le ciocche ribelli. Era così affascinante e non ne aveva idea. Irrequieto, si torturava le labbra, la felpa sgualcita, ma dall'aspetto sempre così aggraziato. Jared, Jared. Io non ti capisco. Ti voglio, ma non so come e perché ti voglio, e non voglio che finisca. Ti prego, ti prego, trova le parole adatte per convincermi che sbaglio, che può restare così com'è.

"Troppo tardi...".

Bastava che mi dicesse che avevo frainteso. Mi sarei bevuta qualsiasi stronzata, pur di non affrontare il discorso.

"Credo tu abbia vinto", continuò.

"Vinto? Che cosa?"

"Alla fine, mi sono innamorato di te".

Sono innamorato di te... innamorato...

"Sei solo confuso"

Si offese. "Non sono confuso, Louise. Puoi dirmi che non ricambi, che non lo accetti, ma non puoi sminuire ciò che provo".

Un battito d'ali su un mare di cicatrici🍃Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora