15. Matassa

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"Ehi, Louise, codice rosso, Jared...", Erika arrivò trafelata, la interruppi.

"Sì, ho visto. Avevi ragione, stanno bene insieme", constatai, a lei non sfuggì il mio sguardo deluso.

"Dipende. Se lui ti piace sul serio, devi lottare. Se vuoi soltanto andarci a letto... perché rovinare la sua felicità per un capriccio?" mormorò, "scusa il termine"

"Nessuno mi piace sul serio, lo sai, sono una puttanella da cuore di ghiaccio. Stasera cercherò di indagare se è interessato alla bambolina di porcellana. Devo distrarmi per non strangolarla..."

Come distrarmi? Nel giro di mezz'ora, la situazione era rimasta la stessa. Dei vecchi, in confronto, avrebbero almeno ballato un valzer. Speravo che piano piano, avendo diciannove anni, si sarebbero scaldati un po', invece erano rimasti a parlare di cartoni giapponesi.

Come potevo distrarmi? "Intanto, posso movimentare un po' la tua festa? Ho qualche idea"

"Niente cose al limite del legale...".

Mi piazzai al centro della sala. "D'accordo, bei ragazzi", sventolai una mano, "spegnete gli One Direction e aprite le orecchie".

Tutti si voltarono confusi. La festeggiata spense le casse. "Avete vent'anni, dovete spassarvela. Diamo una svolta a questa mitica serata", ammiccai ironica, "riconosco qualcuno di voi. Comunque. Volete divertirvi, no? Scommetto, però, che non sapete come fare, visto che qui è un cimitero" proseguì. "In quanto una poveraccia invitata, mi sento in dovere di fare un regalo diverso. Obiezioni?"

Un attimo di silenzio. "Perché? Stiamo bene così". La prima a parlare fu Serena, una tipetta coraggiosa della mia classe, amica stretta di Erika. "Ognuno se la spassa a modo suo".

"Perché l'hai invitata?", chiese Marianna, Erika parve in difficoltà, "dopo quello che ti ha fatto..."

"Louise non è male con me...". Qualcuno sbuffò, facendomi ridere.

"Vedi di farti gli affari tuoi, stiamo bene così", continuò Serena, sprezzante.

"Ma sei stupida?". La rimproverò una ragazza da dietro, dandole una gomitata, con il tono che userebbe una mamma vedendo sua figlia raccogliere un mozzicone di sigaretta per strada.

"Oh, Gesù", reiterai, sarcastica, in realtà consapevole della gravità delle mie azioni; era giusto che non mi sopportassero. "Ascoltate, prometto che appena vi aiuto a divertivi, mi levo dalle palle. E' un regalino per Erika"

Lei annuì. "Benissimo!" Battei le mani. "Vediamo... Marianna, spegni la luce, accendi le lampade. Roberto, per quanto io adori gli One Direction – sarcasmo velato – cerca un cd che non sia Midnight Memories o di Cristina D'Avena. Erika, non è che avresti vodka e bicchieri di plastica?"

"Posso vedere!"

"Tu che non mi ricordo come ti chiami, togli questa robaccia dal tavolo".

Quando tutto diventò come da me ordinato, cioè con vodka lime, musica e stanza in penombra, mi schiarì la voce. "Okay, adesso vi spiego un gioco molto semplice per divertirvi. Tranquilli, niente orge o soft porn, è una stronzata al vostro livello. Sarebbe beer pong, ma per voi sarà vodka pong, scelta dettata dalla mia ossessione per la vodka". Gli spiegai in breve le regole del gioco.

"Va bene, chi vuole fare un giro di prova con me? Anche se vi avviso, sono molto, molto forte. La vodka mi accompagna da anni ed anni". Li sfidai, pur prevedendo un rifiuto dai presenti – forse tranne Erika –, eppure un certo qualcuno mi stupì di nuovo.

"Provo io, anch'io sono forte". Mi voltai, ed eccolo con la principessa di fianco. Da quanto era rientrato?

Ci mettemmo ai lati opposti del tavolo, mostrai un sorriso di sfida, lui parve divertito. Nel giro di poco gli feci scolare un bicchiere di vodka, e lo bevve come se fosse acqua. Sghignazzai. Stavolta fu lui a sorridermi furbo, infatti in tre minuti bevvi due bicchieri. "Ma non eri forte?", mi prese in giro.

Un battito d'ali su un mare di cicatrici🍃Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora