9. Degrado

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(trigger warning)

"Follow me now... and you, will not regret... living the life, you led... before we met..."

"You are the first..." sussurrai ad occhi chiusi, alzando il volume, "Your love for me has...". Ormai da mezz'ora buona ero rannicchiata alla parete a fumare, sussurrando testi di canzoni. Appoggiai la testa al muro, il sangue scendeva lungo le braccia passando sull'epidermide lattea e colando al pavimento. Un momento tranquillo, come la placida quiete dopo un'impetuosa tempesta. Le lacrime non c'erano, nemmeno le urla, neanche la tristezza: era stata trasformata in un interminabile senso di vuoto, accompagnato dalla sostanza rosso cremisi che scorreva sulla pelle.

"I'm going to...". Restai raggomitolata. Il mio intento era di aggiungere a questa pace una bella bottiglia di vodka: nelle mie scorte, nello spazio fra l'armadio e il muro, avevo vodka alla fragola. Non c'era più. Lucia doveva averla trovata; a volte aveva l'odiosa abitudine di pulire la mia camera.

Il sangue scorreva, scorreva, scorreva, la musica mi stordiva, la canna mi offuscava la vista. Smisi di sentire i miei stessi pensieri. Dolore, dolore, dolore, un bruciore terribile, tanto agognato; aggiunsi la bruciatura del mozzicone, giusto sul polso.

Fa male, fa male, fa male. Faceva troppo male. Avevo il vizio di esagerare, ogni volta di più. Ormai squarciare la pelle non mi faceva più nessun effetto.

La morte non è il male. Vivere, soffrire, l'eco degli ossessivi ricordi che mi ingombrano la testa... loro sono il male. Il dolore fisico placa il dolore mentale.

Cantavo, fumavo, sanguinavo e sanguinavo. Mi concentrai sul buio delle palpebre chiuse. Finché non riuscì a concentrarmi più nemmeno su quello.



Oscurità. Solo oscurità. Ovunque volti lo sguardo, vedo solo oscurità. L'oscurità immensa.

Roteo su me stessa, per avere una panoramica del luogo, ed ecco che appare una luce. Una luce? No, non è una luce. C'è qualcuno, sembrano dei mostri, dei mostri enormi. Indossano una tunica di colore rosso vermiglio, con un cappuccio che copre il volto. La testa bassa, le mani riunite in preghiera... le mani? No, non sono mani. Sono degli scheletri. Pare mi stiano pregando, non è così. Poco dopo mi compaiono dinnanzi le figure di Lucas e i miei genitori.

"Louise" richiamano il mio nome, in un sussurro non definito. "Louise, ma chèrie", ripetono. Sono vestiti come nella data della loro morte, e hanno un'aria quasi allegra. Con lentezza spariscono, dissolvendosi sotto la forma di polvere dorata.

Lo scheletro al centro si avvicina. Ad un passo di distanza da me, leva il cappuccio: nello stesso istante, mi afferra per il collo e comincia a risucchiarmi...

Acqua fredda mi investì il viso. Aprì gli occhi, mettendo a fuoco la figura di Lucia.

"Meno male, sei sveglia", sospirò, "stavo per chiamare l'ambulanza. Come ti senti?"

"La maga delle domande retoriche. Complimenti, Lucia". Posai le mani per far leva ed alzarmi dalla vasca dove ero sdraiata, sentendo un dolore lancinante.

"Stai ferma, non muoverti". Mi frenò. "Le ho bendate, ma sono ancora aperte, ti farai male. Ti ho trovata svenuta sporca di sangue"

"Dovevi lasciarmi lì a marcire", le dissi sprezzante, "non ti ho chiesto di aiutarmi"

"Louise, ascoltami. Devi prendere in considerazione di tornare dal dottore che avevi da bambina. Io non so più che fare...". Tirò su con il naso, le scappò una lacrima. "Ho promesso a tutti di prendermi cura di te, ma non ci riesco... e Alfonso non è un buon esempio... ho trovato la bottiglia in camera tua. Vuoi fare la sua fine? Per favore, chiama il dottore"

Un battito d'ali su un mare di cicatrici🍃Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora