33. Vite passate

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Lo compresi alla prima occhiata.

Era una donna secca, magra fino alle costole, le guance scavate. Gli occhi vacui, l'aria smarrita, come un bimba piccola che si guarda attorno cercando di comprendere il mondo attorno a sé.

Si trovava al centro della sala, in piedi, un sorriso nell'osservare il figlio entrare e stringerla con delicatezza, come se potesse rompersi in mille pezzi.

Marisa era impettita sul divano, gambe accavallate e sguardo vigilante come un poliziotto di guardia. Lo stelo di un calice di vino rosso fra le dita, uno soltanto; non l'aveva offerto a Carmela.

"Tesoro mio", cominciò, allungando le braccia al collo del ragazzo, che a sua volta le strinse la vita. "Tesoro mio... come sei bello". Lo guardò come fosse una meraviglia, continuando a tenergli le mani sulle spalle, come se non volesse lasciarlo mai.

Marisa non si sarebbe mai appellata a lui con nomi affettuosi. Apprezzava e teneva con chiarezza a Jared, ma non l'affetto tenero di una madre. Come potevo essere stata così cieca?

"Ciao, mamma", fece lui. "Come stai?"

"Adesso che ti vedo sto bene". Gli posò un palmo sulla guancia. Quella donna sembrava star tutto fuorché bene.

Era dotata di un amore spropositato per lui, eppure l'amore di un genitore non basta. Compresi la frase misteriosa.

Marisa era severa, gelida, ma era una donna seria, capace di prendersi cura di un ragazzino, con responsabilità.

Carmela, invece, sembrava non sapersi prender cura nemmeno di se stessa. Feci ipotesi istintive. Che gliel'avessero tolto da bambino? Forse i servizi sociali. Jared le voleva bene, ma era con Marisa e suo padre da parecchi anni; dubito si fosse separato dalla madre per sua volontà, da piccolo.

Da bambini non abbiamo coscienza di quanto un genitore sia incapace di crescerci. Gli vogliamo bene per quello che è, in base all'amore e all'affetto che ci dimostra; ed entrambi condividevano un legame affettivo.

"Lei è Louise". Le parole di Jared mi risvegliarono dal trance. Ci eravamo accordati per raccontare di essere buoni amici, ma lui volle improvvisare. "La mia fidanzata".

La donna mi salutò, mi abbracciò e si disse contenta di conoscermi. Ricambiai un sorriso. Jared, accorgendosi del calice di Marisa, si affrettò a prendere altri tre calici in cucina e la bottiglia di vino.

Seduti comodi in salotto, Jared iniziò a parlare del più e del meno. Lei sorrideva nel sentire come stesse filando, a detta sua, tutto liscio.

Buoni voti, amicizie, fidanzata, frequentava ottime compagnie. Era la verità. Rebecca e gruppetto erano una buona compagnia, a malapena bevevano alcol; semmai ero io parte di una stereotipata cattiva compagnia, di inferiore impatto nella sua vita. Già. Peccato che avesse omesso una parte.

Era una maschera, un ottimo attore che recitava un copione. Solo. Come me.

Quindi aveva mentito.

"Da quanto state insieme?"

"Non molto, da quando è iniziata scuola, più o meno".

"Oh...", fece lei, "e usate precauzioni?"

Sigillai le labbra per non scoppiare a ridere. Marisa si espresse per la prima volta, aprì la bocca e non per sorseggiare in modo inquietante il vino.

"Si sente bene che sei la figlia della vecchiaccia"

"Marisa". Per quanto in imbarazzo, Jared la riprese subito, risentito, lanciando una delle sue occhiatacce di fuoco.

Carmela fu imperturbabile. "Sono andata a vederla. La trovo bene", aggiunse, riferendosi alla "vecchiaccia" in questione.

Lui annuì. "Vado anch'io spesso. Brontola di non sopportare le infermiere".

Un battito d'ali su un mare di cicatrici🍃Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora