7. Sfida con me stessa

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Una sera, in secondo superiore, io, Mark e Yuri, non avendo voglia di rientrare, decidemmo di fare nottata vagando per la città. Tra chiacchiere, alcol e spinelli, finimmo davanti una struttura abbandonata da anni che già conoscevamo, ma che mai ci aveva allettati: il progetto fallito di un piscina.

Forse per la noia o la voglia di superare i limiti, entrammo. Erbacce e insetti ne avevano fatto la loro dimora. Scoprimmo che qualcuno la utilizzava per appartarsi o drogarsi: due materassi, un cucchiaio e una siringa. Era vuota, nel silenzio della notte fonda, la luce dai lampioni fiochi. Adrenalinica.

Divenne il nostro primo "covo", un malfamato luogo d'incontro dove fare ciò che volevamo lontani da occhi indiscreti. In seguito, iniziammo a cercare di proposito strutture abbandonate, accompagnati dal buio.

Randonautica.

Ad oggi ne avevamo cinque in cui incontrarci. Feci un salto dai ragazzi nella "casa maledetta", il sabato pomeriggio, verso le tre: una casa abbandonata da almeno dieci anni, dove si diceva che una coppia sull'orlo del fallimento avesse deciso di compiere un doppio suicidio. Al piano terra c'era una grossa macchia scura, in teoria quella che avrebbe dovuto essere il punto del suddetto suicidio, schizzi al muro di natura non identificabile e pezzi di corde a terra.

Da brividi, però nessun legame logico fra loro. Una sorta di leggenda metropolitana.

Ci incontravamo al primo piano, dove c'era un divanetto lasciato dai vecchi proprietari e una tavolo con un paio di sedie portati da noi.

Arrivata per ultima, notai che i miei quattro amici erano in compagnia delle tre sciacquette: Cloe, Clarissa e Martina. Il tipo di ragazze che cercava di imitarmi per avere le stesse attenzioni che ricevevo io.

"Ehi, barbie". Anche se immerso fra i capelli di Cloe, Mark mi fece l'occhiolino.

"Louise, ciao". Cloe allungò la "u" e la "s", con la sua voce stridula, e scosse la mano. Mostrò il sorriso più falso che avessi mai visto.

"Fumo?" Giovanni, con Clarissa spiaccicata addosso, mi porse lo spinello. Prima di prenderlo notai una bottiglia rosata.

"Vodka pesca! Chi l'ha comprata?". Presi un bicchiere e lo riempì fino all'orlo. Lorenzo alzò l'indice. "Oh, ti voglio bene". Lo tracannai.

"Mi vuoi bene solo quando compro lo vodka"

Gli lasciai un bacio sulla guancia. "Certo! Oggi poca roba. Alle quattro devo mollarvi, ragazzi, cause di forza maggiore"

"Il covo della briscola?, s'inserì Giovanni. "Non ti rompi il cazzo? Da Carlotta vanno vecchi e ludopatici per le slot machine".

Intendeva il bar in cui lavoricchiavo qualche fine settimana. Carlotta, la proprietaria, era una conoscente di zia, mi aveva raccomandata. "Paga bene e senza contratto, non c'è molto da fare. Portare birra e patatine a ultracinquantenni".

"Meglio di rubare o spacciare droga con i coglioni". Lorenzo lanciò una chiara frecciatina. Proseguì: "A proposito del coglione. Lou, senti. Wiston è a letto mezzo morto, non so come ci è arrivato, con Noemi che non la smetteva di ridere..."

"Ride sempre quando è fatta", notò Giovanni.

"Sì, sì, non è il punto. L'avete picchiato a sangue. Lo fai da sempre, ma mai così. Devi darti una calmata", mi rimproverò, serissimo.

"Falla finita, me l'hai già detto", riempì un altro bicchiere, "Wiston sta sul cazzo a tutti, se prova di nuovo a dirmi qualcosa ci penseranno gli altri"

"Stai andando fuori di testa. L'hai provocato tu!"

"Sei tu che ti stai prendendo troppe libertà", Mark si rivolse a Lorenzo, non a me. Io e Mark eravamo troppo simili: "Noi ci divertiamo. Abbiamo la nostra reputazione. Tu non c'entri niente, lo so, sei liberissimo di smettere di vederci se pensi che siamo fuori di testa"

Un battito d'ali su un mare di cicatrici🍃Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora