6. Recita

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(trigger warning)

Tornai a casa non molto tardi, notando piacevolmente l'assenza di Alfonso e Margherita. Un sollievo mi adornò, avrei potuto volteggiare di felicità, perché non rischiavo interruzioni.

Salì le scale, per farmi un bagno veloce. Davanti allo specchio il sollievo si mischiò al senso di disgusto, un sapore amaro. Mi vorticavano mille pensieri.

Così non va.

Feci un salto in camera per prendere penna e diario. Mettere pensieri su carta mi aiutava a renderli tangibili; scrivevo pagine su pagine, da quando me l'aveva imposto il mio primo psicologo, a dodici anni.

"Sedici settembre, primo giorno del quinto superiore. Sono sollevata? Non direi. Non è la scuola il mio problema, anzi, semmai è il futuro a terrorizzarmi. Cosa diavolo ne sarà di me quando la finirò? Non ho idea di cosa voglio fare nella vita. Fosse per me la passerei sbronza da Yuri, così da dover smetterla di preoccuparmi o affrontare questi maledetti traumi. Cazzo. Andare nel panico mi viene così semplice. Chi lo direbbe? Cazzo..."

Mi spogliai. Sfilai gli elastici, mostrando il mio punto debole.

"Mi piace guardarmi allo specchio, fingere per un istante di essere una di quelle ragazzine adolescenti che trovano i propri difetti ovunque. A differenza che i miei difetti sono reali. Ho cicatrici dappertutto, cicatrici di quel venti aprile e cicatrici che mi sono procurata negli anni. Esco con gente considerata pessima da qualunque perbenista, eppure sembrano gli unici a capirmi. Yuri mi adora, posso contare su di lui. Posso piangere, ridere, sfogarmi, incazzarmi. Mi segue e condivide le mie stronzate. Con Lorenzo è diverso, mi sento giudicata. Mi mette davanti ai miei demoni. Yuri mi aiuta a scappare e nascondermi".

Ripensai alla rissa. Lorenzo aveva ragione: con gli altri tiravo il peggio di me.

"Come può quella ragazza smorta e spaventata essere artefice di tanta violenza? Sei tu? Sei tu o ti conformi? Ma chi sei tu?"

Non vedevo barlumi di vitalità nel riflesso. I miei capelli biondi, quasi bianchi, incorniciavano un volto spento.

"A volte parlo fra me e me. Mi chiedo: perché ti ostini a vivere? Passi la vita a scappare da te stessa, non hai sogni né speranze, non hai la minima idea di cosa farai fra un anno... ti ricordi quando ti piacevano le principesse? Quante stronzate. Però anch'io ero una bambina normale. Mi piacevano le fiabe e i travestimenti a carnevale, le torte colorate... ho ancora la foto della torta degli otto anni con la bella e la bestia. A Lucas ne avevano fatto un'altra, di Dragonball. Cazzo..."

Ero cresciuta in fretta. A undici anni il mio sogno era di cambiare, di vedermi in modo diverso; di dormire bene, smettere di avere incubi; di riuscire a prendere la patente; smettere di vomitare notte e giorno per via delle immagini nauseanti.

"Tra sette mesi avrò vent'anni. Venti. Quando ci sono arrivata? Come sarò tra qualche anno, sempre se ci sarò ancora?"

Stare sola mi autorizzava a porre fine alla recita. Cercai Nefti spasmodica, fra gli scaffali, nel beauty case, e la mirai con adorazione.

"Mi sei mancata, Nefti. Oggi giornata pesante, e qualcosa mi dice che domani sarà peggio. Mi aiuterai oggi e domani?".

Schiacciai la parte tagliente vicino la vena del polso.

Nefti era il nome della dea egizia della morte. L'avevo con me da tempo; le precedenti erano state beccate e buttate via da zia, con lei avevo escogitato nascondigli migliori. Spesso le parlavo. Ero malata e ne ero cosciente; Nefti mi era stata d'aiuto tante occasioni.

Il dolore si emanò in ogni fibra del corpo. Mi rilassai. Il sangue colò goccia per goccia nel lavandino, come la pioggia quando cade lentamente dal cielo per infrangersi nel terreno.

Un battito d'ali su un mare di cicatrici🍃Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora