40. L'ora del perdono

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NB: RAGAZZI lo so è martedì, sono pessima ma purtroppo sono giorni tremendi e anche se ho i capitoli pronti a volte non riesco a pubblicare. Comunque non faccio troppo tardi, eccomi✨ Buona lettura!

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Non ci vedemmo né sentimmo per settimane. Lorenzo mi propose di richiamarlo ed essere più gentile, per riparlarne. Preferivo che il discorso cadesse così.

Il festival. I Foo Fighters.

C'era a fine gennaio, e mi convinsi che avrei potuto farne a meno. Ci avevo speso soldi, per biglietto e alloggio, ma stare con Jared per ore mi avrebbe messo rabbia e disagio. Era impossibile ritornare al rapporto che avevamo prima della bomba.

"Non ci andrò", mormorai, allo specchio. "Semplice. Non ci vado. Tagliamo i ponti".

Perfino il mio riflesso sembrava deridermi. Volevo andarci con tutta me stessa. Per il festival e per lui. Questa situazione lasciata cadere, senza effettivi chiarimenti, era ardua da reggere.

"Ne farò a meno. Se continuiamo a uscire insieme, non finirà mai. Deve ritornare alla realtà. Stare senza di me gli farà comprendere che era soltanto confuso".

***

Roma era a un'ora di macchina da Sole, un'ora e mezza in treno. L'autobus costava anche meno. Tutto a favore loro; nonostante ciò, Jared aveva appurato il mio mal d'auto.

L'appuntamento era alla stazione dei treni alle otto e trenta: tempo di arrivare a Termini, fare il check-in e giungere al festival per mezzogiorno, orario di apertura.

La stazione di Sole contava una decina di binari. Dalle sette ne partivano molti: li avevo visti tutti passarmi davanti, fischi stridenti, uomini e donne indaffarati in fila, un sali e scendi.

Ferma e immobile alla panchina blu, uno spettatore esterno avrebbe pensato che stessi fissando il vuoto. Non fissavo il vuoto. Ero in un mondo alternativo, vivevo vite parallele.

Una vecchietta elegante, un cappottino rossiccio e un cappellino uguale, una borsetta. Dove va, signora? Pare così felice. Dubito arriverò a quell'età. Come sarebbe?

Parto per chissà dove: anzi, no, quello è il treno diretto per Firenze. Mi piace Firenze. Cosa faccio a Firenze? Incontro mio figlio che vive lì, forse un restauratore, forse una guida turistica, forse un gelataio. I gelati vicino Santa Maria del Fiore costano un accidente. Sette euro a gelato. Ci ero stata in gita con la mia famiglia, i nonni e gli zii. Avevo otto anni.

Vado a trovare i miei nipotini, porto regalini, cioccolatini. Mi ospitano, giriamo per la città e parliamo. La mia vita mi ha condotta lì, in una città meravigliosa, felice con mio figlio e i miei nipoti.

La signora dalla pelle scura era indaffarata; capelli gonfi, crespi, un misero elastico tenta di placarli. Tre buste in mano, la tipica straniera vista male. Da un paese africano, immigrata; l'espressione spaurita, nostalgica, affaticata.

Il treno è diretto per Bologna. Sono sei ore di viaggio. Che ci faccio a Bologna? Forse ho un colloquio di lavoro. Gli immigrati hanno difficoltà ad essere assunti. Sono palesemente a corto, mi domando quanto ho raschiato il barattolo per racimolare cinquanta euro per il biglietto.

Mi manca il mio paese. Da queste parti è pieno di senegalesi, spesso ne trovo e chiacchiero in francese. Vado a Bologna e mi fermo con un altro gruppetto di senegalesi e smetto di sentirmi sola in una città che non mi fa sentire accolta.

Un fruscio. Le otto e venti.

"Sei in ritardo"

"Sono sempre in ritardo". Un misero zainetto. Proseguii a fissare avanti, non mossi la testa.

Un battito d'ali su un mare di cicatrici🍃Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora