XXXVII Capitolo _ Randez vous all'eremo

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15 febbraio 1992, Abruzzo.

La prima volta che Selene aveva usato il suo coltello non era stato contro un nemico.

l'Eremo di San Bartolomeo era un luogo sacro scavato nella roccia del monte. Era situato nel cuore del Parco Nazionale della Majella, costruito nel XIII secolo da nientemeno che san Celestino da Morrone, il Papa del gran rifiuto. Si raccontava che l'Eremo proteggesse i pastori della zona dai lupi, un potere che gli era conferito dallo stesso Bartolomeo. Evidentemente però l'energia benevola del santo apostolo doveva essersi fiaccata nel tempo, perché un branco di mannari aveva deciso di fare nido proprio tra le pareti di roccia di quel romitaggio.

Ai piedi del monte, Selene e gli altri cacciatori stavano acquattati nella neve. I licantropi avevano fatto ritorno da ormai un paio d'ore, ebbri di una notte selvaggia sotto la luna piena. La squadra, accampata tra gli alberi, li aveva osservati fare ritorno alla tana; quindi erano rimasti in agguato, attendendo che gli ululati si spegnessero. Li avrebbero attaccati nel sonno, prima che sorgesse il sole.

Tremavano stringendosi nei colletti dei cappotti. Quell'inverno era stato particolarmente rigido, e l'unico sentiero che conduceva all'Eremo serpeggiava nascosto nel mantello candido. Soffiava un vento cattivo, che bruciava loro le guance infiammate. Anche Selene tremava; ma a differenza dei compagni, a farla vibrare non era il freddo ma l'eccitazione.

Sebbene non potesse vedere i lupi, ne sentiva l'inconfondibile sentore, e il sangue le ribolliva nelle vene: quella sarebbe stata la sua prima vera caccia al mannaro.

Raoul le si era fatto vicino: «Come ti senti?»

«Non sto nella pelle. Tu? – poi aveva colto la sua solita espressione lugubre – Ma che te lo chiedo a fare. Sembra sempre che arrivi da un funerale, guastafeste.»

«Stiamo per sterminare un nido di mannari, Nene, non ci trovo nulla di divertente.»

«Se ti consola almeno moriranno nel sonno – aveva risposto lei cinicamente.

Raoul aveva storto il naso: «Appunto... è sleale. Non è una caccia sportiva.»

«Qui non c'entra niente lo sport, Raoul. Sono mostri, e vanno eliminati.»

«Se fosse vero – sussurrava il ragazzo con indignazione – allora perché dobbiamo aspettare la luna piena per ucciderli? Tanto valeva farlo una settimana fa, quando erano umani. Però è sempre più facile uccidere un mostro. Il fatto è che qui nessuno vuole avere la coscienza sporca--

«Ti sbagli Raoul – l'aveva fermato Selene con un mezzo sorriso in volto, carico di malizia – aspettiamo che si trasformino perché così quando li uccidiamo siamo certi di mandarli tutti all'inferno.»

Il giovane cacciatore era rimasto senza parole. Conosceva l'alterigia della sua amica, ma alle volte persino lui rimaneva scioccato dalla cattiveria di Selene.

Un lieve fischio li aveva interrotti: era Gennaro, il Mastro.

«Selene: vieni avanti.»

La ragazza era avanzata abbandonando Raoul ai suoi scrupoli. Si era portata vicina al capitano, che scrutava la parete di roccia.

«Cosa dice il tuo naso? – le aveva chiesto.

Nonostante la sua giovane età, il capitano poneva grande fiducia nella dote di Selene, e aveva iniziato a usarla come segugio nelle battute di caccia più importanti. La ragazza aveva dunque annusato l'aria.

«Via libera – confermava la penumbra – i lupi sono tutti sul monte che aspettano di morire.»

Gennaro aveva sorriso, scompigliandole i capelli.

Il sentore del mostro _ I figli di AitaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora