III capitolo _ La ballata dell'orso mannaro

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«Dobbiamo andarcene – provò a guaire Marco, ma Selene strinse ancora più forte intorno alla bocca. L'avrebbe soffocato se ce ne fosse stato bisogno.

Faceva bene ad aver paura. I mannari erano tutti innaturalmente forti, anche quando non erano trasformati. Ma affrontare un orso mannaro, persino con una pistola carica, persino se non si era trasformato, era come pretendere di combattere contro un leone a mani nude.

Selene sentiva il cuore pulsarle a mille, come quello di Marco. In altre circostanze la cosa li avrebbe condannati, i mannari infatti potevano percepire il battito cardiaco della loro preda. Ma per fortuna Iezzi era assordato da un altro suono: in strada avevano iniziato a battere i tamburi. Stavano cantando "L'ombelico del mondo" di Jovanotti.

Iezzi si tolse la giacchetta e l'appese all'attaccapanni. Si muoveva lentamente, con il gesto misurato di chi è all'erta. Dopotutto dovevano aspettarselo, Selene aveva scassinato la serratura d'ingresso. E Iezzi sapeva che erano ancora nei paraggi: sentiva l'odore fresco dei due cacciatori.

 E Iezzi sapeva che erano ancora nei paraggi: sentiva l'odore fresco dei due cacciatori

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Selene e Marco lo udirono annusare l'aria, con versi simili a grugniti. Le grosse mani, callose e artigliate, si agitavano impercettibilmente, seguendo e modellando l'essenza dei due cacciatori. Selene provò a sbirciare alla sinistra della stanza, focalizzandosi sulla finestra della camera da letto. Forse dovevano saltare da lì per tornare in piazza sani e salvi. Ma non era un salto senza rischi, c'erano almeno sei metri prima di raggiungere terra; e comunque battenti e persiane erano chiusi. Quando Selene tornò con gli occhi all'atrio d'ingresso, trovò Iezzi che puntava proprio nella loro direzione.

La cacciatrice raggelò. Li aveva percepiti? Lentamente la ragazza estrasse anche il suo di coltello. Forse sarebbe riuscita a piantarglielo in un occhio. Pensò anche al punteruolo di Marco, quello con cui avevano scassinato il portone; poteva spingerlo più a fondo di qualunque coltello, raggiungendo il cervello del mannaro. Un colpo fortunato li avrebbe potuti salvare entrambi.

Con suo sollievo uno squillo infranse la calma dell'appartamento; era il telefono a muro nel salotto. Non senza noia, Iezzi si voltò in quella direzione per andare a rispondere. Selene si trattenne da lanciare un sospiro di liberazione; era la loro occasione di uscire di lì e andare alla finestra per saltare giù. Stava per avvisare Marco del suo piano, quando sentì la puzza e si rese conto del danno... Bianchi si stava pisciando addosso.

La tensione gli aveva stretto la vescica e lo squillo del telefono l'aveva rilasciata. Ma se Selene poteva sentire l'odore... allora ci sarebbe riuscito anche Iezzi; che infatti era ricomparso nell'atrio. Il mannaro non aveva risposto al telefono che continuava a squillare, c'erano altre priorità ora. Come per esempio prendere la carica e sfondare l'armadio dove si nascondevano i due intrusi.

Selene fece appena in tempo a tirare un calcio a Marco e gettarsi lei stessa di lato; Iezzi mandò in schegge le ante atterrando in mezzo a loro due come una palla demolitrice. Selene arrancò in mezzo ai detriti strisciando lontana dal mannaro, ma l'uomo orso sembrava aver preso di mira proprio lei. Schiantava i pugni nel pavimento cercando di frantumarle le gambe, e ogni volta che la mancava bucava le mattonelle sotto la moquette. Selene indietreggiava nel passo del gambero mentre Iezzi la inseguiva su quattro zampe; la ragazza usava il tacco dello stivale contro il volto dell'uomo orso per tenerlo lontano. Ma al terzo calcio in faccia il mannaro le afferrò la scarpa tra i denti, trascinando la cacciatrice verso di sé. Selene cercava invano di aggrapparsi alla moquette o a qualunque cosa le capitasse a tiro. Optò per la soluzione di prendere il coltello e piantarlo nel dorso della mano di Iezzi. Il mannaro non lanciò neppure un lamento, se non di scontento, ma almeno Selene l'aveva fermato e questo le diede il tempo e il modo di sfilare il piede dallo stivale liberandosi dalla presa.

Il sentore del mostro _ I figli di AitaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora