IV capitolo _ Cacciatori e pirati

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«Io ti faccio bandire dalla gilda! Posso giurarti che non farai mai più la cacciatrice in vita tua, hai capito mocciosa?!»

Spuntavano le prime luci dell'alba e Selene ascoltava gli improperi stringendo le labbra e le braccia. Erano nell'alcova della gilda dell'Emilia Romagna, un vecchio agriturismo abbandonato – solo all'apparenza – e nascosto tra i colli bolognesi. C'era un gran via via di gente, come spesso capitava nelle varie alcove regionali. Cacciatori impegnati a pianificare un'altra battuta di caccia al mostro, altri riuniti per rifocillarsi e per ammazzare il tempo insieme giocando una partita a "lupus in fabula". Qualcuno che cercava, inutilmente, di dormire. Infatti per quanto tutti facessero finta di non badare alle grida lanciate contro Selene, la giovane cacciatrice sentiva tutti gli occhi e le orecchie puntati verso di lei.

Il fatto era che Marco Bianchi non fosse un cacciatore qualunque; era il figlio del Mastro Cacciatore, ovvero il capo della gilda. E Selene l'aveva riportato a casa storpio, senza cinque denti, maculato di schegge, con il labbro rotto e un occhio contuso. Ma non era tanto il padre di Marco a urlare contro di lei; al contrario, il Mastro sembrava fare di tutto per proteggerla dagli artigli di quell'arpia di sua moglie.

«Tesoro, stai facendo una scenata... – provava a dirle l'uomo a denti stretti.

«Te la faccio vedere io la scenata! – rispondeva la donna – Quella scema ha fatto quasi ammazzare tuo figlio e tu non fai niente! L'hai visto com'è ridotto?! Gli hanno distrutto la faccia!»

Questa era una di quelle occasioni in cui Selene poteva scegliere tra due tipi di approccio: dire la sua e peggiorare le cose, oppure mordersi la lingua e lasciar correre.

«Almeno adesso ha una faccia interessante – rispose la cacciatrice optando per la prima opzione.

Se il Mastro non si fosse frapposto col suo stesso corpo, a questo giro la moglie l'avrebbe scorticata viva. Il Mastro guardò di sbieco Selene, sbuffando dalle narici. Non ce l'aveva con lei per le ferite di Marco, sapevano bene entrambi che andare a caccia di mostri era un mestiere pericoloso e quindi faceva parte del gioco: le cicatrici ti insegnano a non ripetere due volte gli stessi errori. Quello che il Mastro non comprendeva però era perché Selene avesse così poco spirito di preservazione davanti a sua moglie. Rischiare la vita contro un orso mannaro passi, ma affrontare in modo così sfrontato una madre inviperita era davvero da irresponsabili.

Con l'aiuto di due colleghi, il Mastro emiliano riuscì a far allontanare la donna evitando uno spargimento di sangue. Quando ebbe campo libero si voltò verso Selene mettendosi le mani sui fianchi. Quella ragazza lo metteva in seria difficoltà. Erano già cinque anni che dirigeva quell'alcova, eppure non gli era mai capitato di dover tenere testa a un cacciatore tanto cocciuto e impudente quanto quella ragazzina.

Le puntò il dito contro: «Io non so cosa ti passa in quella zucca vuota. Eravamo sulle tracce di Iezzi da tre mesi e adesso la pista si è freddata insieme al suo cadavere; eppure tu ti presenti qui come se non avessi nulla a spartirne, come se ti fosse dovuto qualcosa – la folgorò con gli occhi, o almeno ci provò – Se ancora non ti è chiaro provo spiegartelo meglio: l'unica ragione per cui ti abbiamo dato retta, l'unica ragione per cui ti abbiamo permesso di intrometterti in questa missione nonostante tu non abbia nemmeno l'età per votare, è per la profonda stima che provo per quell'uomo.»

Il Mastro stava indicando una persona sdraiata sopra un divanetto sdrucito e che nonostante il chiasso ancora riusciva a russare beatamente, con la faccia nascosta sotto un logoro cappello outback australiano.

«Lucas mi ha salvato la vita più di una volta – continuava il Mastro – e quindi per il momento chiuderò un occhio sul macello che hai combinato a Bologna. Ma per quanto ti riguarda dimenticati di continuare le tue indagini nella nostra regione. La tua collaborazione con noi si è interrotta ieri notte – e siccome Selene continuava a mostrarsi non reattiva, scelse bene di concludere con un dictat – Prepara il tuo bagaglio, entro stasera ti voglio fuori dalla nostra alcova.»

Il sentore del mostro _ I figli di AitaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora