XXV capitolo _ Vernice e fumo

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«Mi rincresce davvero, dottor del Bon, non ho scusanti.»

«Via, Giacomo, poteva accadere a chiunque...»

Il professor Bortolussi sedeva nell'ufficio del preside con la testa tra le mani e il cuore ancora in gola. L'incidente di poco prima l'aveva scosso nel profondo, afflosciando la sua spina dorsale che per quarant'anni aveva saputo tenere dritta e rigida.

«Io invece non capisco come sia potuto succedere – bisbigliava affranto il professore – posso anche capire la vernice infiammabile, ma un fenomeno del genere...»

«L'importante è che nessuno si sia fatto male! – provava a tagliare corto il preside.

Intanto con la coda dell'occhio Amedeo guardava alla porta, dove Selena attendeva fuori spiando nell'ufficio. Bortolussi era dentro da oltre mezz'ora e la cacciatrice sperava di riuscire a parlare con il librario prima che la professoressa di storia venisse di persona a cercarla.

«E poi quell'implosione improvvisa – continuava il professore di chimica – ancora non me la so spiegare...»

«I misteri della natura e della scienza, eh! – diceva Amedeo alzandosi in piedi – Intanto siamo tutti molto grati che tu abbia saputo tenere l'ordine nella classe, la tua tempra fredda ha impedito che accadesse un disastro. Adesso perché non vai a casa a riposarti? Domani, vedrai, è un altro giorno.»

«Sì, forse...»

Così Bortolussi usciva mesto dall'ufficio, quasi nemmeno notò la presenza di Selene che entrava al posto suo. Appena ci fu campo libero, il preside tornò ad adagiarsi sulla poltrona sbuffando di sollievo.

«A essere Franco, signorina Silvestri, avevo sperato che fosse un pôc di plui atenta...»

Quindi Amedeo allungò una mano aspettando a palmo aperto. Non ci fu bisogno di spiegazioni: Selene comprese al volo e gli rese il medaglione maledetto.

«Grazie – disse il preside amabile – se lei è d'accordo questo lo chiudiamo a doppia mandata in una cassaforte e lo gettiamo in fondo al mare.»

Selene, che non era il tipo di persona incline a prendersi le colpe senza colpo ferire, provò a giustificarsi: «Be', intanto ho scoperto dove si nasconde il Benandante, no?»

«Sì... forse – le concesse il librario facendo il pappagallo al professore – Che dice, pensa potrebbe essere Bortolussi?»

«Eccià, non ci scommetterei due lire. Doveva vederlo mentre il vulcano andava in fiamme: una faccia da perfetto idiota, e peggio ancora quando si è spento tutto. Non aveva idea di cosa stesse accadendo.»

«Non sia frettolosa, signorina Silvestri, si ricordi che il benadante potrebbe non sapere di esserlo.»

«Allora diciamo che non so se lo vorrei un Benandante così scemo.»

Amedeo abbozzò a labbra serrate.

Selene proseguì: «Comunque adesso la lista degli indiziati si è ridotta a cinque. Della mia classe agli esami di riparazione c'erano Ania, Antonio, e i suoi due schiavetti: Riccardo e Filippo.»

«E Bortolussi.»

«Sì, "e Bortolussi" – mimò esasperata – ho detto cinque, giusto?»

«A questo punto come intende muoversi?»

«Come sempre. Con un po' di fiuto.»

E battendosi due colpi sul filtro nasale, Selene uscì dall'ufficio.

In realtà era solo una battuta a effetto, perché non aveva idea di come proseguire l'indagine. Di sicuro circoscrivere il numero di sospettati eliminava tanti dubbi inutili, ma si trovava comunque punto a capo: quello che le mancavano erano gli indizi.

Il sentore del mostro _ I figli di AitaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora