XLII Capitolo _ Prova di forza

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Su Piazza Grande di Palmanova, Selene, Miro, Antonio e Ania stavano seduti ciascuno sopra un piloncino della lunga barriera esagonale. Eccetto la cacciatrice, che vestiva la sua classica divisa di pelle rossa, erano tutti tirati a lucido: Ania indossava stivali a zeppa, una giacchetta con spalline e paiettes, e un considerevole armamentario di collane e bracciali in finto oro. Antonio aveva scelto un look stranamente in rima con quello di Selene: indossava il chiodo nero, aperto sull'addome, incorniciando una maglietta con la stampa consumata dei Nirvana. Persino Miro si era fatto prestare una camicia dall'amico, sebbene ci navigasse dentro tanto gli stava larga. Ma qualche macchia di sangue, mista alle chiazze di sudore e un paio di maniche sdrucite, rompevano molta della loro eleganza.

Il figlio del macellaio teneva il mento alzato per fermare il sangue al naso, mentre la penumbra si massaggiava un labbro gonfio. Ania faceva tintinnare i monili cercando di ravvivarsi i capelli strappati, e persino Miro palpeggiava un occhio che minacciava di diventare presto violaceo.

Selene studiava i suoi compagni di rissa. E non seppe trattenersi dal ridere.

«Non ci vedo proprio niente di divertente, Selene – rispose acida Ania.

«Scusa, scusa – cercava di dire la cacciatrice tenendosi il fianco dolente; forse si era pure incrinata una costola.

Di certo non era quella l'idea di "serata tra amici" che si era fatta arrivando lì.


2 ore prima.

«Avanti, Bruto, cosa vuoi che succeda se fai entrare anche noi?»

Ania stava contrattando da almeno una decina di minuti con il buttafuori del locale. Selene non sapeva cosa fosse più incredibile: che i suoi genitori l'avessero chiamato Bruto, o che si fossero impegnati ad annaffiargli i piedi e la pancia per renderlo degno del suo nome. Ania non era esattamente alta come un lampadario, ma di fronte a quello scherzo della natura in giacca e maglietta nera, sembrava uscita da un episodio dei Puffi.

Intanto la fila di gente alle loro spalle borbottava di malcontento.

«Mi dispiace, Aniuska, ma non siete nella lista.»

«Perfetto – chiosò Antonio – tanto nemmeno ci volevo venire a 'sta festa.»

Ania lo fulminò: «Non dargli retta, Bruto, fa solo il prezioso perché oggi l'ha mollato la ragazza.»

Il buttafuori parve colpito da quella notizia: «Mi dispiace, amico. Ci dobbiamo passare tutti.»

«Ehi, non è vero che mi ha mollato--

Ma Selene gli fece mangiare la lingua pestandogli un piede. Ania intanto proseguiva ad allisciarsi il buttafuori come faceva con la sua giacca.

«Ma guarda te come è venuta bene – commentava passandogli le mani sull'abito – nemmeno una grinza, sembra proprio appena uscita dalla sartoria.»

«Tua mamma ha la migliore lavasecco della città – ammise il buttafuori.

«Perché noi abbiamo solo i migliori clienti – sorrise ammiccante lei puntellandolo con il dito.

Selene non voleva crederci, ma la strategia stava funzionando: lo scimmione sembrava prossimo a cedere. Poi però lo sguardo di Bruto cadde proprio su di lei.

«Vorrei farti entrare, Aniuska, però li riconosco i piantagrane quando li vedo. E quella lì è una piantagrane.»

«A chi dai della piantagrane, piantagrassa?»

Bruto aveva iniziato a ringhiare a bocca chiusa, ma ancora una volta Ania seppe disinnescare la situazione prima che esplodesse: «Selene fa la dura, ma in realtà è solo apparenza. Dentro è più tenera di una frittella di frico.»

Il sentore del mostro _ I figli di AitaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora