II capitolo _ Mannari furfanti

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Enzo Iezzi, il mannaro furfante. Iezzi era un assistente tecnico dell'università di Bologna. I portici di Bologna erano stati costruiti in età medievale proprio con quello scopo, fornire camere da letto a studenti e personale dell'università. Ancora oggi molte di quelle stanze a balconata venivano date in affitto a giovani universitari in trasferta.

Quell'appartamento tuttavia era una porcilaia. A quanto pareva Iezzi era un accumulatore seriale e un inquilino poco incline a pulire. C'erano scatoloni e pacchi ovunque, pile di giornali, sedie rotte accatastate, indumenti raccolti dentro i sacchi della spesa invece che nei cassetti, e nella piccola cucina in mattonelle verde acquamarina c'erano sacchetti dell'immondizia su ogni ripiano, intervallati da pile di piatti e pentole.

«Siamo sicuri che sia questo l'appartamento? - chiedeva Marco mentre tentava di non inciampare nell'ennesimo scatolone - Forse dovremmo controllare anche gli altri prima di escluderli--

«Siamo sicuri - tagliò corto Selene.

Anche con il filtro nasale riusciva comunque a percepire quel distintivo lezzo: l'odore di mannaro. L'appartamento ne era pregno.

Selene avvisò Marco: «Attento ai cavi.»

«Che cosa--?

La ragazza lo afferrò al volo prima che il collega si piantasse di faccia per terra. Il pavimento era ricoperto di cavi e materiale elettrico come fossero serpenti. Quando vide che Bianchi stava in piedi da solo, la ragazza mollò la presa; il giovane non ringraziò.

«Va bene - disse Marco guardandosi intorno disgustato - quindi che cosa cerchiamo adesso?»

«L'hai detto tu che Iezzi è coinvolto nel rapimento di cinque ragazzi, no?»

«Erano sette, e comunque sì, questa è l'ipotesi.»

«Eh, bene, vediamo che diventi più di un'ipotesi.»

Dovevano trovare prove schiaccianti per proseguire nell'indagine; senza di quelle, Selene non avrebbe mai ottenuto il nulla osta dalla società romagnola dei cacciatori di mostri.

La ragazza non capiva perché fossero così formali da quelle parti; Iezzi era un mannaro furfante - probabilmente abruzzese visto il cognome - e già solo per quello si era aspettata di ricevere il via libera. "Furfante" era il termine con cui identificavano i mostri latitanti, quelli che agivano in incognito fuori dalla loro regione di controllo, infrangendo ogni regolamento. Tutti i mannari dovevano essere schedati e assegnati a una comunità. Quando si trattava di un mannaro schedato, un cacciatore aveva le mani abbastanza legate, il mostro era protetto da troppe norme. Ma con i furfanti, invece, di norma significava caccia aperta.

Tuttavia il caso Iezzi era delicato. La scomparsa dei giovani universitari a Bologna aveva preoccupato per mesi la società dei cacciatori, e mentre le indagini proseguivano a vuoto, le vittime aumentavano. All'inizio credevano che fossero semplicemente stati uccisi; di solito era quello il destino che toccava alle prede dei mostri. Ma a seguito di due avvistamenti di due rispettive vittime, uno nel ferrarese e l'altro in provincia di Padova, e poi ancora di un terzo nell'alto Veneto... allora si era aperta la sorprendente ipotesi che si trattasse di rapimenti.

Ed era questa notizia che aveva interessato Selene: forse Iezzi era dietro anche alla scomparsa di Raoul.

Marco sbuffò e iniziò a mettersi i guanti mentre fissava un tavolo coperto di libri, fascicoli e fogli.

«Sarà come cercare un ago in un pagliaio - disse.

Selene invece non si mise i guanti; per non lasciare impronte preferiva lavorare con le mani in tasca, dopotutto non le serviva toccare le cose. Le bastava annusare.

Il sentore del mostro _ I figli di AitaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora