XXIII capitolo _ La sfiga ci vede bene

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Nel tempo di una settimana, Selene si rese conto che la sua idea non era stata tanto geniale quanto aveva pensato.

Le rimostranze di Bortolussi per aver abbandonato l'aula senza permesso non si erano fatte attendere. Al contrario invece la sua commissione fatta al librario aveva richiesto più tempo del previsto.

«Mi perdoni, signorina Silvestri, ma di solito non tengo una scorta di medaglioni maledetti a portata di mano – si era difeso il preside dopo le lamentele della ragazza.

In cambio però Amedeo aveva saputo ripagare la sua attesa. Il medaglione si era rivelato un oggetto assai intrigante. La pietra stregata era incastonata dentro un meccanismo ad apertura manuale, in piombo.

«Questo le consentirà di arginare il potere della pietra. Come una vera e propria diga: più apre, e... vede, mi ha punto un'ape, ma chi diavolo è che lascia sempre la finestra aperta?»

Infine la pietra incantata era di ottima fattura. Anche fin troppo "ottima". Il punto debole del piano di Selene infatti era che, a meno che non volesse punire qualche particolare studente o professore – sebbene un'idea o due le avesse – sarebbe stato a lei di portare il medaglione in giro per la scuola in attesa che si palesasse il Benandante. Se infatti lo stregone bianco funzionava come un "parafulmine" sarebbe stato sufficiente provocare vari incidenti a scuola finché i suoi poteri non si sarebbero manifestati. L'unico inconveniente era che fino ad allora Selene avrebbe dovuto subire ogni tiro mancino della sorte.

Cominciò con l'amuleto esposto al minimo. Quella mattina Selene si presentò a scuola con la pietra legata al collo e una fastidiosissima laringite.

«Ma che bella la tua pietra... – cercava di lusingarla Ania tra un colpo di tosse e l'altro della cacciatrice.

La tosse però era anche poco: Selene si era storta una caviglia sulle scale d'ingresso, la macchinetta delle merende le aveva mangiato 2.000 Lire, la bottiglia dell'acqua era esplosa nello zaino distruggendole i libri di testo – per fortuna però quelli erano di Amedeo – si era strozzata con un fazzoletto mentre inspirava, e in bagno aveva evacuato scoprendo tardi che era finita la carta igienica.

Tutto questo nell'arco di appena mezz'ora.

Non era sicura che sarebbe arrivata intera a fine giornata. Ma ancora una volta si preoccupò di ripetersi "per chi" lo stava facendo. Avrebbe avuto tutta la vita per chiedere a Raoul di renderle ragione di ogni suo sacrificio.

Entro l'intervallo delle 10.00, la cacciatrice abruzzese aveva sviluppato una sfogo cutaneo su faccia e schiena.

«Comunque Selene, posso dire che ammiro la tua forza di volontà? – commentava Ania facendo due passi indietro – Io non ci verrei mai a scuola conciata così.»

«Grazie – bofonchiava lei strofinandosi il naso irritato in un altro fazzoletto Tempo.

Eppure ancora niente del Benandante. Selene deambulava per i corridoi, davanti alle classi, nella mensa scolastica. Inciampava, si scontrava, pestava una cingomma, si mordeva la lingua masticando... niente. Era cominciato a salirle il ragionevole sospetto che quegli incidenti fossero troppo lievi per scatenare i poteri benefici di un Benandante. Avrebbe dovuto aumentare la dose di sfortuna...

L'indomani Selene si presentò con le ginocchiere e i vestiti imbottiti. Non fu un'idea stupida. Prima ancora di entrare a scuola venne infatti investita da un'automobile e un piccione le lasciò la firma tra i capelli corvini. Quella seconda mattina gli infortuni erano saliti di grado: qualcuno le rubò il portafoglio, le si strapparono i pantaloni, e lo sfogo cutaneo si trasformò in un herpes zoster coprendole tutto il braccio e la spalla destra di pustole.

Il sentore del mostro _ I figli di AitaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora