XXII capitolo _ La fortuna è cieca

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«Silvestri, che cazzo ci fai lassù?!»

Selene si fermò, guardando in basso al professore di educazione fisica. "Ma che vuole questo adesso?".

«Me l'ha detto lei di arrampicarmi sull'asta... – gli gridò indietro.

«Ho, capito, per la miseria... però un paio di metri bastavano! Non ti ho detto di grattarmi le muffe dal soffitto!»

In effetti Selene aveva messo una distanza considerevole tra lei e i suoi compagni, e il professore a vederla là in alto pensava solo alla possibilità che la ragazza cadesse spezzandosi qualcosa e lui finisse soggetto a un – ennesimo – provvedimento disciplinare.

La cacciatrice si lasciò calare giù, confidente che gli altri studenti si sarebbero scansati per tempo. Arrivata a terra si batté le mani irritate dalla frizione e decise di farsi un giro per la palestra; lei il suo l'aveva fatto, e il professore preferiva averla lontana che non tra i piedi.

Selene si sforzava di lasciarsi scivolare addosso le occhiate degli altri studenti in pantaloncini, sebbene l'istinto le bisbigliasse di prendere il più grosso del gruppo e riempirlo di sberle pugni facendo valere la sua supremazia sul resto del branco.

La cacciatrice viveva la sindrome del pesce fuor d'acqua; era inquieta e anche la notte non dormiva bene. Era sicuramente complice il fatto che l'appartamento affidatole da Amedeo non era certo un'abitazione qualunque: era la casa della defunta scolta di Udine, Ottavio. Era un appartamento molto elegante e confortevole, forse un po' kitsch per i suoi gusti. Ma l'arredamento era l'ultimo dei suoi problemi: Selene non era a suo agio a vivere là dentro perché si sentiva compromessa; più passavano i giorni e più le pareva di non avere il controllo della situazione.

Mentre deambulava per la palestra, la cacciatrice cercava di ricordarsi perché si sottoponesse a tutto quel tedio, ma per fortuna la grande cicatrice a fulmine sulla parete glielo rammentava. Doveva trovare il Benandante; era il solo modo per salvare Raoul.

Tuttavia i risultati erano tutto fuorché promettenti. Era quasi passata una settimana e Selene non aveva fatto alcun passo avanti. Della lista di Amedeo aveva al massimo escluso qualche nome, ma non aveva ancora nessun indiziato.

Durante la mensa Selene si sedeva in disparte e si toglieva il filtro nasale. Cercava un sentore, un aroma, qualcosa che le dicesse che tra loro si nascondeva un essere più che umano. Però, eccetto il puzzo di ascelle sudate e denti poco lavati, non aveva ancora percepito nulla.

«Ciao, Selene! Posso sedermi con te?»

Una ragazza con le fossette e una cascata di ricci fumosi era comparsa al suo tavolo armata di vassoio.

«Ciao, Ania, fai pure.»

A quanto pareva qualcuno l'aveva saputa prendere in simpatia

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A quanto pareva qualcuno l'aveva saputa prendere in simpatia. Ania Comelli era una studentessa della sua classe, che aveva espresso un immediato interesse nella nuova arrivata. Da principio Selene si era dimostrata fredda e schiva. Non si fidava, né la reputava una compagnia degna di nota. Era affettata, parlava decisamente troppo, ed era pure superstiziosa; la prima volta che le aveva attaccato bottone, Ania aveva speso oltre mezz'ora a raccontarle del suo ciondolo portafortuna che portava al collo, e che aveva comprato quell'estate al mare sperando di essere ricambiata in un amore estivo.

Il sentore del mostro _ I figli di AitaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora